
Lo spettacolo scritto dall’autrice e drammaturga Arianna Cozzi in scena al Teatro Marconi di Roma per la regia di Felice Della Corte. Dal 13 al 16 febbraio 2025 sul palco del Teatro Marconi di Roma.Un testo che nasce dall’urgenza di comunicare l’inutilità e l’assurdità della guerra. Ne abbiamo parlato con la giovane autrice Arianna Cozzi.
Linee, tra i bordi.
Arianna, com’è nato il tuo amore per la scrittura? Qual è la tua formazione?
L’amore per la scrittura non è mai “nato” nel senso letterale del termine, è qualcosa che è venuto da sé. Sono sempre stata una persona interessata, che si poneva domande e cercava risposte, fin da bambina. Questa mia curiosità, quasi morbosa a volte, mi ha portato a voler capire come funzionavano le cose; dalle più semplici e meccaniche a quelle più complesse come il comportamento umano. Mi definisco una persona che ha delle opinioni ragionate e, con un pizzico di presunzione, vorrei venissero ascoltate. Come formazione, io inizio il mio percorso nel mondo del teatro alle scuole medie con il corso del MicroTeatro La Fiaba di Saronno del Maestro Anzani.
Volevo uscire da un momento brutto in cui subivo bullismo e il teatro mi ha dato la possibilità di guardarmi dentro e darmi il valore che merito. All’università studio mediazione linguistica e culturale portando una tesi sperimentale sulla trasposizione di Cuore di Tenebra di Conrad a testo teatrale e le implicazioni del teatro come mezzo comunicativo per la veicolazione dei messaggi e delle scoperte in campo di studi culturali. La magistrale la concludo nel 2022 all’Università Cattolica in Art and Industry of Narration e, successivamente, entro al master di drammaturgia e sceneggiatura dell’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio d’Amico, dove mi diplomo nel 2024 con una tesi in drammaturgia scenica.
Si deve parlare di ciò che si fa finta di non vedere.

Cosa ti ha spinta verso la drammaturgia teatrale?
La concreta possibilità di evocare la realtà sul palcoscenico creando una dimensione collettiva del momento che si sta vivendo. Non solo gli attori, ma il pubblico tutto è ricevente e partecipante del momento evocato e credo che questa dimensione di intima collettività si stia perdendo quando è, in realtà, essenziale.
Da quale esigenza nasce questo testo e perché parlare proprio di guerra?
Il testo nasce da un’urgenza rispetto a una tematica profondamente divisiva che non dovrebbe destare dubbi: un genocidio. Non è perché io sia appassionata di politica, storia o sociologia che ne voglio parlare, sia ben chiaro. Ne voglio parlare perché se ne deve parlare. Questi sono un po’ gli anni in cui la filosofia comune è “se non mi riguarda, non mi interessa”. Il problema, però, è che ci sono argomenti che sono talmente generali che non possono non riguardare tutti. La guerra è uno di questi argomenti. Mi chiedo come sia possibile che ad oggi ci siano persone che sostengono una guerra di invasione, che sostengono e rivendicano il diritto al massacro e alla reclusione di un’intero popolo solo in funzione del fatto che quel popolo non è il proprio. Si deve parlare di ciò che si fa finta di non vedere.
I protagonisti.
Questa storia parla di chi la guerra la fa attivamente: i soldati. Sono i soldati da prima linea, quelli divorati dalla propaganda che non riescono più ad accedere alla loro dimensione di umanità. Uomini che sono partiti per la guerra con degli ideali in cui, ora non riescono più a credere ma che non possono tirarsi indietro. Jacob Smiter, il nostro protagonista, è uno di questi soldati. Un soldato che combatte la morte, che non ha paura, che vince, un eroe con onore… questo è quello che si racconta, come se volesse mettere dei paraocchi. Perché quando si vede la verità, poi non si può più dire “non mi riguarda”.
Il regista.
Ho conosciuto Felice a Luglio del 2024 durante un concorso di corti teatrali. Io portavo un corto che poi sarebbe diventato la scena 5 di Linee, tra i bordi e Felice era in giuria durante la seconda serata. Ricordo che, finita la messa in scena, i giudici davano il loro parere e discutevano con gli autori. A Felice il mio corto era molto piaciuto. Ci siamo scambiati i contatti e poi abbiamo messo su questo progetto.
Il Messaggio.
Il messaggio di fondo è che le guerre non si vincono. Mai. Le guerre si perdono e basta. La violenza come mezzo di affermazione è aberrante e genera altra violenza. La guerra la vinci se non la fai.
Mi fa arrabbiare che io non posso fare nulla di concreto per farla smettere. Mi fa arrabbiare che io sia impotente. Mi fa arrabbiare che la mia rabbia non venga presa sul serio. Non posso parlare per “i giovani”, parlo per me e per tutte le persone che si riconoscono negli ideali di libertà, uguaglianza e parità. La guerra è la sconfitta dell’essere umano.
Tra i giovani d’oggi si parla di violenza? Alcuni la vivono?
Come no! Si parla eccome di violenza, ma è sempre più spostata verso la violenza di genere o la violenza discriminatoria di tipo razziale o omofoba. Vivere la violenza è all’ordine del giorno. Quante donne vivono la violenza psicologica dell’essere donne in un posto di lavoro a maggioranza maschile? Quanti uomini che scelgono una professione a maggioranza femminile vengono definiti dispregiativamente “gay”? Quante persone di etnia diversa da quella caucasica si vedono additare come malintenzionati senza motivo? La viviamo tutti, sempre. Ma questo discorso sulla violenza, soprattutto quella di genere, si sta trasformando in una lotta degli estremi per cui non c’è un vero dialogo, non c’è voglia di ascoltare l’altro, non c’è interesse nel mettersi in dubbio perché non c’è più la necessità di impegnarsi davvero al miglioramento. Si ricercano costantemente conferme senza porsi domande… e non ci sarà altro risvolto se non uno scontro violento.
Cosa manca ai giovani d’oggi?
Non saprei cosa manca ai giovani. Bisognerebbe anche definire cosa s’intende per “giovani”. Posso dire cosa manca a me ad oggi. A me manca il lusso di dire “ce la posso fare”.
Cosa possono fare concretamente le persone per evitare i conflitti?
Mettersi in discussione. Chiedersi se sia giusto tutto quello che ci è stato detto che lo era. Poi, questa bestia nera che spaventa le società ipercapitalistiche: l’empatia. La capacità di ascoltare attivamente l’altro. E ancora, informarsi, leggere, leggere tanto. Leggere bene di cose che hanno come premessa il contrario di quello che è il tuo pensiero. Farsi delle idee e non assumerle come dogmi.
Le donne.
In questo testo le donne hanno due compiti fondamentali: riportare alla realtà e scollare dall’individualismo. Sheyla è una bambina che, nella sua ingenuità più pura, mostra i contrasti interni del pensiero propagandistico fatto di slogan senza contenuto. Sara, invece, riporta il marito alla dimensione di famiglia: non sei solo tu a soffrire perché qui a soffrire con te ci sono pure io.
Le letture.
Ultimamente sono innamorata della scrittura di Kundera e della semplicità con cui sbatte in faccia al lettore delle verità profondissime. Delle autrici donne mi inchino alla potenza della scrittura di Elsa Morante. Con lei poi altre come Woolf, Plath e in ultimo Michela Murgia. Ora sto lavorando su due testi al momento. Una commedia sulla mediocrità e un dialogo sulla stanchezza del vivere per sempre.
Vi invitiamo ad assistere a Linee, Tra i Bordi al Teatro Marconi di Roma dal 13 al 16 febbraio 2025. In scena i talentuosi Anania Amoroso, Alessio Antelmi, Alice Corti, Kevin Di Sole, Francesca Faccini, Riccardo Musto
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