“One Child Nation” è un documentario presentato in anteprima al Sundance Film Festival del 2019, dove si aggiudicò il Gran Premio della Giuria, ed è ora disponibile alla visione su Amazon Prime Video. Si tratta di un documentario che, con crudo realismo e senza filtri, affronta un periodo molto oscuro della recente storia cinese di cui molti di noi sanno poco o niente: la politica del figlio unico e il dramma di coloro che l’hanno vissuta sulla propria pelle.
A differenza di quello che ci si potrebbe aspettare da un documentario del genere, “One Child Nation” non è per nulla un documentario politico: è l’intima e brutale testimonianza delle conseguenze a livello umano e sociale che questa politica ha generato. Diretto a quattro mani dalle registe cinesi Nanfu Wang e Jialing Zhang (entrambe nate sotto la politica del figlio unico), il documentario vede la stessa Nanfu Wang raccontare e intervistare in prima persona tutti coloro che sono stati direttamente toccati e coinvolti nell’attuazione di questa politica, partendo dal suo villaggio e dalla sua famiglia.
“One Child Nation” non è un semplice documentario ma è, prima di tutto, il racconto di un viaggio che la regista compie all’interno di ricordi e testimonianze per riportare a galla una realtà che oggi tutti vogliono dimenticare, oscurare. Infatti, dopo la sua abolizione nel 2015, ogni traccia della politica del figlio unico è stata cancellata. Lo scopo di Nanfu è stato proprio quello di mettere la gente a conoscenza delle atrocità commesse in nome di un “bene” più grande.
Ma perché è stata messa in atto questa politica? La causa principale, secondo il Partito, era la sovrappopolazione: se ogni famiglia avesse avuto più di un figlio, le risorse per sfamare tutti sarebbero state insufficienti; con un solo figlio, invece, le condizioni della famiglia (e della Cina) sarebbero migliorate.
La politica del figlio unico fu istituita nel 1979 e nel 1982 diventò parte integrante della costituzione cinese. Nanfu, nata nel 1985, ci racconta tutti i modi messi in atto dal governo per incentivare e persuadere la popolazione ad avere solamente un figlio: dalle multe, agli aiuti economici, alla propaganda. Wang si sofferma molto su questo ultimo punto.
La propaganda nei confronti della politica del figlio unico era un vero e proprio indottrinamento: dai cartelloni pubblicitari, alle carte da gioco, ai calendari, agli spettacoli, perfino le canzoni per bambini e i libri di testo per l’asilo si facevano promotori di questa politica e ideologia.
Come già annunciato, Nanfu Wang non opera nessuna censura e ci mostra la vera e cruda realtà: ci mette a conoscenza delle sterilizzazioni forzate per impedire che le neomamme mettessero al mondo altri figli, donne costrette ad abortire, levatrici che uccidevano i bambini appena nati avvolti, poi, in sacchi di plastica e gettati tra i rifiuti, bambini venduti ai trafficanti di esseri umani…
Wang, dunque, vuole mettere in primo piano l’aspetto umano: questa politica è stata attuata per evitare lo spreco delle risorse… ma a che prezzo? Attraverso le interviste a ex ufficiali del governo, ex ostetriche ed ex trafficanti di esseri umani, veniamo messi di fronte alla completa distruzione dell’umanità di una persona, della sua individualità e della sua coscienza. La frase che tutti loro continuano ininterrottamente a ripetere è “non avevo scelta”, “stavo solo eseguendo degli ordini”, frasi che dovrebbero ricordarci un altro oscuro periodo della storia del XX secolo.
Sentir raccontare come tutte queste atrocità fossero eseguite quasi con nonchalance, quasi fossero prassi normale fa davvero rabbrividire, per non parlare del fatto che molte persone ritengono tutt’ora che la politica del figlio unico sia stata necessaria per la sopravvivenza e la futura grandezza della Cina.
Ma è stata davvero necessaria? Questa è una delle domande che il documentario si pone. Ad oggi, proprio a causa della politica del figlio unico, non ci sono abbastanza persone giovani per lavorare e per occuparsi degli anziani. Proprio a partire da questa constatazione, dal 2015, ad ogni famiglia è permesso avere due figli.
Un’altra questione importante che Nanfu Wang solleva è che l’idea di fondo di questa politica sia il non permettere alle donne di avere il controllo del loro corpo. Le donne venivano rapite, legate con corde strettissime sul tavolo operatorio per la sterilizzazione o l’aborto. Alcune si ribellavano e riuscivano a scappare ma venivano subito catturate. Inoltre, la maggior parte dei neonati uccisi o abbandonati erano bambine: le femmine erano considerate inutili e non potevano portare avanti il nome della famiglia. Quando l’unico figlio che era permesso avere era una bambina, la piccola veniva uccisa seduta stante o lasciata marcire in una discarica per dare la possibilità ai genitori di avere un altro figlio, maschio stavolta.
“One Child Nation” è un’opera cinematografica difficile da guardare ma, anche, difficile da dimenticare. Nanfu Wang voleva proprio questo. La memoria è, dunque, lo scopo principale di questo documentario: se, da un lato, è il viaggio di Nanfu alla ricerca della verità, dall’altro è anche un modo per mantenere viva la memoria di ciò che è stato, delle atrocità commesse, delle innumerevoli vite strappate e sacrificate, di famiglie separate e distrutte. Senza la memoria storica, non c’è futuro.
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