Arriva in sala, dal 22 dicembre, il film d’esordio in solitaria della regista Shih-Ching Tsou. La pellicola, quasi interamente femminile, racconta la storia di una famiglia a Taiwan e il segreto che nasconde

Diciamolo subito, si rimane conquistati dalla piccola protagonista che racconta la sua vita a Taipei, la capitale di Taiwan, dove arriva in auto con la mamma e la sorella più grande. Per loro è un ritorno, per lei la magia della prima volta. La bambina, I-Jing, è intelligente e sensibile, ha grandi occhi aperti sul mondo e si muove nella città e nel mercato notturno con la grinta di un’adulta.

Ha un piccolo problema, almeno per il nonno, è mancina e, come accadeva una volta in Italia (è successo anche a chi scrive), viene subito rimproverata e spinta a correggere “il difetto di nascita”. «La mano sinistra  è quella del diavolo» le dice convinto l’anziano.

Dovrà usare, almeno in sua presenza, solo la destra. La convinzione di avere un arto diabolico spingerà la piccola a fare cose proibite, arrivando però, per puro caso, a salvare la famiglia da un grave problema legale. La pellicola “La mia famiglia a Taipei”, che ha vinto il premio per il miglior Film alla Festa del cinema di Roma ed è candidata agli Oscar da Taiwan, doveva proprio intitolarsi così :”La bambina mancina”.

La pellicola è come un viaggio per scoprire un’altra cultura, dal mercato notturno ai cognomi cambiati.

Il racconto, delicato come la regista Shih-Ching Tsou, nata a Taipei ma da anni residente negli Stati Uniti e naturalizzata americana, è un vero e proprio viaggio nella cultura orientale. Attraversiamo il mercato notturno dove la mamma di I-Jing ha aperto un banco ristorante, con scene girate con l’Iphone per praticità, ma anche per restituire il ritmo dinamico degli spazi, spesso osservati con lo sguardo della piccola protagonista. 

Scopriamo che molti giovani cambiano il loro cognome, appena hanno sostenuto l’esame di maturità.  La mamma lo aveva proposto anche a Shih-Ching Tsou, dopo il suggerimento di un’indovina, sostenendo che avrebbe avuto più fortuna, ma lei non ha voluto.

«Forse aveva ragione – commenta ora sorridendo- ho impiegato venticinque anni per realizzare questa pellicola».

L’idea del film infatti è cresciuta nel tempo dentro di lei, aveva scritto la sceneggiatura in inglese già nel 2010, con il premio Oscar Sean Baker, (il regista diAnora) che di questo film è produttore, co-sceneggiatore  e montatore. Si incontrarono in America, a un corso di montaggio, hanno firmato insieme, nel 2004, il film Take out e avviato un lungo sodalizio.

I ricordi personali di un mondo al femminile.

Tornare a girare nella sua città natale ha permesso a Shih-Ching Tsou,  di riscoprire la cultura e la bellezza della sua terra, attingendo esperienze e immagini dai ricordi personali. Anche il personaggio di I-Jing è ispirato a una bambina conosciuta durante le sue passeggiate da ragazza nel mercato notturno.

Un film girato in appena 37 giorni, che la regista ha coprodotto. Il poco tempo a disposizione ha fatto sì che scegliesse su Instagram la giovane Shin-Yuan Ma, l’attrice che interpreta la sorella maggiore, mentre, solo dopo aver letto un’intervista,  ha contattato per il ruolo della madre Janel Tsai, che era alla ricerca di lavori più importanti.

Scelte che si sono rivelate felici, in questa pellicola dove il mondo si snoda quasi interamente al femminile – i due uomini presenti sono sullo sfondo- perché a Taiwan sono principalmente le donne a sostenere il peso, spesso anche economico, della vita quotidiana.

Inevitabile il colpo di scena finale, che continua a spiegare una società dove l’apparenza e la dignità sono tutto anche se questo spinge le famiglie a mantenere segreti per anni, a mostrare all’esterno solo il lato migliore.

«Mi sono trasferita negli Stati Uniti- ha spiegato la regista- perché cercavo più spazio per esplorare chi sono. A Taiwan, soprattutto per una donna, ci sono molte regole non dette su come comportarsi e quali percorsi sono accettabili.»

Ecco perché nel film riecheggia sempre questa complessità, il contrasto tra tradizione e individualità. «Spero di incoraggiare le persone – conclude Shih-Ching Tsou, a sua volta mancina – a riflettere sulle origini e a sentirsi in grado di tracciare il loro percorso anche se non è lineare»

Quanto alla bambina, l’adorabile Nina-Ye, ha visto il film tutte le volte che è stato possibile, lancia ai potenziali spettatori l’invito ad andare a vederlo. «E’ bellissimo» dice convinta. Possiamo crederle.

Entra nella nostra community clicca qui: Newsletter

Sostienici, clicca qui: PINK