Non c’entra la moda, non c’entrano le modelle della Milano Fashion Week, e neppure Dario Ballantini di Striscia la Notizia. Il fondotinta di Valentino non è il presupposto per l’utilizzo del software, perché di software stiamo parlando. Di Indesign, in particolare.

Indesign, o chi ne fa le veci nelle redazioni, è uno dei tanti programmi di impaginazione. È lì che i libri prendono forma. Diventano un Palatino, un Perpetua, un Times, un Bookman. O qualunque altro font, si spera con le grazie, che traduce in grafica, mette nero su bianco, il testo ricevuto.

È lì che vengono buttate le basi della formattazione, delle pagine che sfoglierete, dell’indice, del colophon (eh?). Lì che tutte le “e” apostrofate anziché accentate, le virgole attaccate alla parola che seguono, i po’ accentati e la fiera dei doppi spazi vengono violentati senza pietà.

È lì che il testo mandato dall’autore, spesso in formato word, assume le sembianze che prenderà con la messa in stampa. L’impaginatore/editor/correttore di bozze, uno e trino nelle piccole realtà editoriali, può finalmente dare il meglio di sé. E del testo, modellandolo e plasmandolo, come un sarto con una stoffa grezza.

adobe_indesign

Ma tutto in una volta?! Non c’è una regola da seguire. Spesso le divinità sono molto più terrene di quanto leggiamo (ok, leggono) nella Bibbia. E qualcuno parte dalla grafica, mentre il vicino di scrivania dal testo. In ogni caso, essere uno e trino, oggi, è la prassi. C’è chi sceglierà di “buttare in Indesign” tutto quello che ha ricevuto, iniziare a impaginare, poi correggere il testo. E infine montarlo, come se fosse un film.

Ma spesso queste strane divinità siedono in una postazione accanto al telefono. Aprono il portone se squilla il campanello, fanno una battuta con la collega social media manager e il loro grado di multitasking si abbassa notevolmente. Per non parlare di chi fa questo mestiere a distanza, in veste di “professionista esterno”. Mentre gira il sugo, accarezza il gatto e avvia una lavatrice.

Ma, un momento, come siamo arrivati qui? Non c’entrava la moda?

Foto di Vlada Karpovich