
Una delle artiste più affascinanti della storia, Artemisia Gentileschi. Nata in un’epoca dove essere artiste era impossibile, in un mondo monopolizzato dagli uomini.
Una figura come Artemisia Gentileschi non avrebbe fatto fatica ad emergere oggi, mostrando al mondo il indiscutibile talento. D’altro canto, se non fosse nata nel XVII secolo, forse oggi non avrebbe intorno a lei quell’aurea mistica di artista donna che ha dovuto aspettare la sua morte per essere consacrata nell’Olimpo dell’arte.
Artemisia e l’arte.
Figlia di Orazio Gentileschi, famoso artista amico di Caravaggio. Fin da piccola entrò in contatto con l’arte. Tele, pennelli e colori erano i suoi giochi e il mondo che la circondava era ricco di quadri e artisti che frequentavano la casa paterna. In alcune sue biografie, si racconta che , da piccola, assistette con il padre e Caravaggio alla decapitazione a Ponte Sant’Angelo di Beatrice Cenci e da episodi come questi abbia appreso come riprodurre scene forti e realistiche sulla tela. Mostrò subito un grande talento che, però, si scontrava con una realtà che non accettava donne artiste, a meno che non si provenisse da una famiglia aristocratica. Ma l’amore per l’arte avrebbe superato qualunque ostacolo.
La tragedia.
Artemisia conobbe molti pittori, amici del padre, tra i quali Agostino Tassi, l’uomo che avrebbe stravolto la vita per sempre. Tassi dava lezioni di pittura ad Artemisia e un giorno la stuprò, marchiandola a vita e condannandola alla vergogna. Nonostante le denunce, Tassi non fu mai punito. Artemisia, da quel momento visse un inferno in terra, soffocata dalla vergogna e dal giudizio impietoso della gente. Ma forse, questo evento, ha segnato una svolta per la sua pittura, che dal realismo caravaggesco, passò a una forza intrisa nella tela e racchiusa all’interno di corpi femminili forti e fieri.
Una rottura con il passato.
Il vero contributo di Artemisia alla pittura consiste nell’inserimento nelle tele di un elemento femminile forte e prorompente. Niente più donne spaventate e soggette agli uomini, ma eroine potenti ed indipendenti, una vera rivoluzione di approccio in un periodo in cui anche le figure femminili più forti della Bibbia venivano rappresentate in una chiave di debolezza o sottomissione. Un esempio formidabile è rappresentato da Giuditta che decapita Oloferne (1614-1620). In questo quadro non c’e solo l’evento biblico in tutta la sua forza ma anche un urlo metaforico di Artemisia. Giuditta si vendica così come spesso avrebbe voluto fare l’artista per tutto il male che le era stato causato. Giuditta, per alcuni può essere una sorta di alter ego di Artemisia: l’eroina biblica ha uno sguardo coraggioso, vigile e attento mentre decapita Oloferne, alter ego di Agostino Tassi. Artemisia si è fatta giustizia con l’unica arma che aveva: il pennello. La sua Giuditta è la donna forte e risoluta che prende in mano una situazione e la risolve, anche con il sangue se necessario.
Un universo femminile.
La forza femminile di Artemisia Gentileschi si incarna nelle fattezze di donne bibliche e religiose. Sono donne fiere che mostrano una loro posizione e determinazione. Artemisia trasporta sulla tela tutto ciò che la società del XVII secolo impedisce di essere: passione, sensualità e forza sono troppo per una società che, moralmente e culturalmente, non è pronta ad accettare queste connotazioni. Per tali motivi il destino di Artemisia è simile a quello di molte artiste che hanno avuto il giusto riconoscimento solo dopo la loro morte. Per Artemisia ci sono voluti secoli ma ciò non le ha impedito di diventare una delle più grandi artiste della storia.
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