
Dalla routine confortante alla libertà in giro per il mondo: il racconto di una ragazza, Caterina Giordano, che ha trovato il coraggio di percorrere la strada del proprio destino.
Viaggiare per conoscere da vicino. Caterina Giordano vive in una piccola città a metà strada tra la Costiera Amalfitana e Napoli. È laureata in editoria, è giornalista e da dieci anni lavora nel settore dei social e della comunicazione. «Ho da sempre vissuto in questa piccola città di provincia che mi è sempre stata molto stretta. Ero diversa dal contesto in cui vivevo e sentivo di non riuscire a esprimermi pienamente, non riuscivo a trovare la mia chiave. E il mio spazio» racconta Caterina.
«Prima di cominciare a viaggiare, la mia vita era strettamente legata al paese in cui vivo, curavo i social e la comunicazione di differenti aziende e attività esclusivamente legate a quella zona. Tutto era circoscritto a esigenze e ritmi tutti uguali: le festività, le promozioni per i saldi, la chiusura estiva… Ero in un loop anestetizzante. Nella teoria ero libera, perché avevo la possibilità di organizzare il lavoro e la mia routine come volevo, ma nella pratica mi sentivo in una gabbia.»
Non hai bisogno di nessuno per realizzare i tuoi sogni.
«Il mio primo viaggio fuori dai confini europei fu in Giordania. Avevo da poco chiuso una relazione importante con il mio ex compagno, oggi il mio migliore amico. Avevamo viaggiato tantissimo insieme negli ultimi cinque anni tra Italia e Europa facendo street photography. Suggestionata dai miei studi giornalistici, ho sempre avuto una spiccata passione per il mondo arabo. Inoltre, in quel periodo mi stavo lentamente avvicinando alla cultura islamica, e l’idea di visitare per la prima volta un Paese mediorientale era per me una grande emozione. Partire da sola mi fece sentire libera e appagata.
Quel primo viaggio fuori dalle mie zone di comfort, mi fece capire che nella vita non avevo necessariamente bisogno di un appoggio per realizzare i miei sogni: da sola potevo fare tutto. Ricordo che mentre guardavo il sole tramontare, seduta sulla sabbia rossa del Wadi Rum, pensai: Cate, questa opportunità te la sei creata da sola e stai vivendo uno dei momenti più belli della tua vita, non hai per forza bisogno di qualcuno per essere felice. Comprendere questa possibilità fu un passo fondamentale, anche se non è stato quello il viaggio che mi ha convertita definitivamente a questo stile di vita.»
La rottura crea cambiamento.
«Il punto di rottura con la mia vecchia vita fu quando raggiunsi l’apice della mia attività da autonoma: avevo molti clienti, lavoravo sei giorni su sette dalle 8:00 di mattina alle 20:00 di sera e viaggiavo da turista solo quando potevo nei periodi di ferie. Era tutto abbastanza definito. Anche se ero sola, avevo deciso di comprare casa. Era quasi tutto fatto, la rata del mutuo era già prestabilita, ma poi l’accordo saltò per una serie di motivi.
Lì qualcosa si ruppe. Ancora oggi, ogni mattina, quando vado a correre in montagna, passo davanti a quella palazzina e guardo il terrazzo di quella che sarebbe dovuta diventare la mia casa. Mi domando sempre come sarebbe stata la mia vita se fossi riuscita ad averla; sicuramente non avrei cominciato a viaggiare per lavoro, non avrei a poco a poco lasciato buona parte dei miei clienti, non avrei conosciuto tante altre persone chiave della mia storia. Non sarei dove sono oggi. Non sarei chi sono oggi. Qualche mese dopo che l’accordo saltò, infatti, partii per il Marocco, il mio viaggio del maktub, il viaggio mio del destino.»
In viaggio verso il destino.
«Ero ormai demotivata dalla mia vita lavorativa e personale. Da più di un anno ero single e sfiduciata dall’amore, non ero riuscita a comprare casa e mi sembrava che impegnarmi tanto sul lavoro non avesse un fine logico. Non stavo costruendo nulla e, soprattutto, non ero felice. Vivevo senza stimoli reali. Il giorno prima di partire per Marrakech, passai davanti a una libreria e un libro attirò subito la mia attenzione. Era Maktub di Coehlo. Mesi dopo mi tatuai quella parola in arabo مكتوب sulla caviglia sinistra. Destino. Quando arrivai in Marocco, il mio cuore si aprì, letteralmente.
Si risvegliarono in me sensazioni ed emozioni che credevo perse o sopite per sempre. Contemplai lune e minareti, ascoltai il richiamo alla preghiera, ma soprattutto capii che un altro stile di vita era davvero possibile. Al ritorno dal Marocco, la mia vita cambiò: cominciai a fare sport, a dedicare del tempo a me e al mio benessere psicofisico, a lavorare molto meno e con più equilibrio, mi avvicinai sempre più alla religione islamica, cominciando in un certo senso a vivere da musulmana.
Vivevo con l’idea di trasformare la mia vita in un viaggio, ma non sapevo bene come fare, fino a quando non incontrai una persona che faceva il mestiere di travel designer già da diversi anni. Mi aprì un mondo che non credevo esistesse, insegnandomi come trasformare quelle mie idee confuse in un lavoro vero e proprio e, con il tempo, in una realtà da vivere. Ancora una volta, quell’incontro fu questione di Destino.»
Il destino esige coraggio.
«Cominciai a usare il mio profilo instagram per raccontare i miei viaggi, mi divertiva, mi piaceva. Il progetto @iviaggidi_cate è nato come un passatempo che univa la mia passione per la scrittura a quella per le foto. Solo dopo quell’incontro speciale, decisi di provare a intraprendere la stessa strada. Da un anno organizzo viaggi personalizzati in mete insolite che ho visitato io per prima e che ho amato particolarmente. Non è il classico viaggio di gruppo o di coppia: voglio che le persone vivano un’esperienza autentica, che tornino a casa cambiati e con un bagaglio di sentimenti nuovi, proprio come è accaduto a me in ogni mia meta. Non a caso, per il nuovo anno ho scelto destinazioni particolari come il Gambia, il più piccolo stato dell’Africa continentale.
Nei miei viaggi, le persone vivono con i local, cucinano con i local – la cucina occupa sempre una parte essenziale nei miei viaggi perché il cibo dice tantissimo di un popolo ed è per me un linguaggio d’amore –, vivono la vita non come turisti ma come persone del posto. Anche per il viaggio in Vietnam, generalmente una meta super turistica, ho scelto di disegnare un itinerario che segua una specifica idea di immersione nella storia e nella cultura vietnamita oltre ogni pregiudizio e cliché: non porto a vedere i tunnel dei Vietcong, ma faccio conoscere l’altra storia del Vietnam, quella della dominazione francese a cui pochi si interessano, ma che può insegnarci tanto su tutto ciò che è accaduto dopo.»

In viaggio verso le paure.
«Il ricordo più bello che ho in viaggio riguarda proprio la mia prima vera grande esperienza come guida in Irlanda del Nord, sulle Giant’s Causeway, il Selciato del Gigante. Nel gruppo vi era persona che soffriva di vertigini. Inizialmente c’era molta nebbia. Lei cominciò il percorso senza rendersi conto di quello a cui sarebbe andata incontro. Quando la nebbia si diradò, eravamo sul punto più alto della scogliera. Lei guardò giù e solo in quel momento si avvicinò e mi disse di soffrire di vertigini. Era terrorizzata, ma io rimasi lucida e non mi persi d’animo; la presi per mano e, passo dopo passo, scendemmo dal punto più alto del percorso fin giù alle rocce. Riuscii anche a portarla sul punto panoramico per una foto. Quando stavamo tornando verso il pullman, mi disse: “Sono troppo felice di esserci riuscita.
Ho superato una mia grande paura e ho fatto questa incredibile esperienza grazie a te. Non so come ringraziarti. Voglio fare altri viaggi con te!” La felicità che aveva negli occhi fu per me impagabile. Aver guidato quella persona per mano oltre le sue paure, fu per me un regalo meraviglioso. Senza saperlo mi diede la motivazione per continuare e perseverare in questo mio nuovo progetto di vita. Non poteva saperlo, ma ero io a ringraziare lei infinitamente.»
Viaggiare ti mette in discussione.
«Non sento di aver mai avuto vere e proprie difficoltà in viaggio. Momenti difficili sicuramente sì, ma fa anche questo parte del percorso. Nessuno sceglie delle montagne russe piatte. Il ricordo più brutto vissuto finora è stato sicuramente in Pakistan. Il Pakistan è per me il posto più bello al mondo, i suoi laghi e le sue montagne sono scolpite nel mio cuore e non c’è giorno che non desideri tornarci. Eppure, durante quel viaggio ho anche vissuto delle emozioni molto forti ed esperienze dure da elaborare. Alcune sono state più mistiche: ho guardato negli occhi il male, mi sono persa, mi sono ritrovata.
Altre più reali: ho visto una persona del gruppo stare molto male per un’intossicazione alimentare, svenire ed essere rianimata. Quella scena mi turbò perché è qualcosa che non pensi quando prendi un aereo e parti, non pensi mai possa succederti qualcosa di brutto lontano da casa e dalle persone che ami. Il viaggio per me era sempre stato associato a emozioni belle e positive. Non avevo mai messo in conto altro.
Quello e altri episodi di quel viaggio molto complesso, misero molto in discussione me stessa e le mie scelte, facendomi seriamente dubitare di voler continuare nella direzione che avevo intrapreso. È rimasta una specie di maledizione sul Pakista, sogno di tornarci eppure, per un motivo o per un altro, non ci riesco mai. C’è una forza sconvolgente e forse sovrannaturale che mi avvicina e mi allontana da questo posto. Chissà se un giorno riuscirò a spezzare questa maledizione e a ritornarci finalmente…»
Definizione della parola “viaggiare”.
«Viaggiare per me è una sola cosa: conoscere, da vicino. Parafrasando Terzani: “Andare a vedere”. Viaggiando ho imparato che tutto è estremamente relativo. Quello che può sembrarci insormontabile da questa parte del mondo, da quell’altra parte può essere un semplice granello di sabbia. E quello che qui spesso diamo per scontato, da quell’altra parte può rappresentare un’inestimabile ricchezza. Questo percorso non è stato, non è e non sarà privo di insidie e momenti out, ma rifarei ogni cosa. Anche il dolore, anche la conoscenza del vuoto e del male, durante il mio viaggio in Pakistan, anche quell’esperienza così forte che ha confuso e cambiato tutte le carte in tavola della mia vita, mi è servita per diventare chi sono ora. Quando mi guardo allo specchio vedo una Cate che mi piace, e questo mi basta per accettare tutto il bello e il brutto della vita che ho scelto.»
Viaggiare risolve i problemi?
«Io credo che prima di cominciare a viaggiare sei intero e quando poi cominci a viaggiare – a viaggiare davvero, non a fare vacanza all’estero – perdi un pezzo di te alla volta. Viaggiare ti mette proprio dal lato opposto della tua zona di comfort. Ti spezza, ti divide, ti mette in discussione. Viaggiare davvero non è scappare dai problemi, anzi: ho imparato sulla mia pelle che quasi sempre il viaggio sa metterti di fronte a tutti i tuoi fantasmi e alle tue più grandi domande. Io mi sentivo completa prima di cominciare a viaggiare; poi ho cominciato a lasciare pezzi del mio cuore in giro per il mondo, a ogni sguardo che ho incrociato, a ogni abbraccio, ogni bimbo che ho tenuto per mano.»
Ci saluti con un consiglio per chi vorrebbero viaggiare ma ha paura?
«Sono da sempre stata convinta che sia più da temere il rimorso dell’averci quantomeno provato. Inoltre, credo fortemente nel destino: tutto è stato scritto, in tutto ciò che ci accade c’è un disegno, da qualunque parte del mondo lo leggiamo. Ma mi sento anche di dire una cosa: ultimamente viaggiare, lasciare tutto e partire, sembra essere diventata la famosa ricetta per la felicità insegnataci da qualche guru di turno, sembra essere diventata quasi una moda più che un’esigenza o una vocazione. Il consiglio che mi sento di dare è di farlo solo se lo si crede davvero. Le mode passano, ma solo la passione vera dura tutta la vita.»
Letture consigliate: Maktub di Paulo Coehlo
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