
In occasione dell’inizio del progetto L’eredità di Edipo tra classico e innovazione, la direttrice artistica del Teatro Hamlet di Roma racconta la sua esperienza nel mondo del Teatro di Ricerca e del suo incontro con il Maestro Mamadou Dioume che si è consolidato negli anni fino a diventare una collaborazione.
Dal 24 Febbraio al 18 Maggio 2025 si svolgerà presso il Teatro Hamlet il progetto L’eredità di Edipo tra classico e innovazione sotto la direzione artistica del Maestro Mamadou Dioume, attore e collaboratore di Peter Brook, un progetto che si basa sul fondamento che i grandi classici possono acquisire una nuova dimensione artistica attraverso il Teatro d’Innovazione. Un viaggio tra workshop, laboratori, conferenze, eventi divulgativi, e performance finale.
Esplorare la figura di Edipo.
La storia di Edipo è stata per me un amore, fin dal primo istante. Qualche anno fa abbiamo cominciato l’esplorazione di questo personaggio sul testo di Edipo a Colono, il vecchio Edipo. Abbiamo realizzato uno spettacolo che ha girato tutta l’Italia con il maestro Mamadou Dioume. Da allora abbiamo avuto sempre in mente di riprendere questa storia con un progetto di ricerca perché è un testo che si presta perfettamente per essere oggetto della ricerca profonda sull’essere umano: quanto l’essere umano è effettivamente fautore delle proprie scelte, del proprio destino, della propria vita? Con il progetto di ricerca vogliamo andare a sperimentare proprio l’emozione del non essere pienamente consapevoli del nostro potere. Abbiamo veramente la vita nelle nostre mani? Cosa ci fa provare il pensare di averla? Qual è l’impatto emotivo sull’essere umano? Edipo permette un profondo viaggio all’interno dell’essere umano.
Il lato intimo dell’attore.
Noi del Teatro Hamlet facciamo teatro di ricerca, quindi per noi non esiste teatro senza ricerca soprattutto interiore, senza cercare di scavare dentro l’animo umano, senza un coinvolgimento totale dell’attore a livello fisico, vocale, emotivo, psicologico. L’attore qui fa un lavoro totale in questo senso. Noi lavoriamo tantissimo con il corpo che va inevitabilmente a lavorare anche sul campo emotivo. Se l’attore non è in grado o non ha voglia di fare questo tipo di lavoro, a mio parere non può chiamarsi attore.

Mamadou Dioume alla direzione artistica di questo progetto, un rapporto con il Teatro Hamlet consolidato ormai da tempo. Qual è stato il vostro incontro, sia a livello personale che professionale?
Ho incontrato Mamadou dopo averlo studiato sui libri di storia del teatro. Per me era questo grandissimo nome, accostato a quello di Peter Brook, al Mahabharata, questa tournée mondiale ed epocale durata moltissimi anni, a questo nuovo modo di concepire il teatro che per me era davvero affascinante. Di persona ho incontrato Mamadou per la prima volta proprio a Roma, era qui con uno spettacolo per cui firmava la regia fondata proprio sul teatro di ricerca. Sono passati più di dieci anni e ancora mi ricordo tutto l’impianto teatrale del suo spettacolo.
Per me fu un’emozione grandissima incontrare un uomo che stimavo moltissimo e ricordo che la prima impressione visiva fu di un uomo molto alto e bello. Con lui ho cominciato da allieva frequentando i suoi laboratori: ho toccato con mano ciò che avevo studiato sui libri e mi sono detta “ok voglio fare questo”. Ero un’attrice già formata che aveva fatto il suo percorso, però volevo sperimentare questo mondo e vedere dove mi avrebbe portata. Infine Mamadou mi ha scelta per un suo spettacolo. Dopo alcuni anni si sono capovolti i ruoli: ho cominciato a fare regia e lui aveva tanta fame di palcoscenico, aveva il desiderio di ritornare sulle scene, dopo aver fatto per tanti anni solo formazione in tutto il mondo.
Cosa ci insegna la storia di Edipo?
In realtà forse più che insegnare suggerisce, credo che la storia di Edipo non è mai una lezione, è più un’idea che sorge, un’emozione che cresce, qualcosa che in qualche modo viene seminata dentro di te e poi piano piano si sviluppa. Non c’è una morale, una lezione, ma in base a chi sei, a come vivi la vita, a mio avviso puoi cogliere dalla storia di Edipo un diverso significato, un diverso valore. Il lavoro interiore dipende dalla persona che va a lavorare su questa storia. Anche dal momento particolare che sta vivendo attecchisce in diversi modi: comincia quindi a crescere un’idea, e anche una suggestione forse. Edipo può dire tanto con la sua storia.
Che tipo di lavoro fai nei laboratori che dirigerai in questo progetto?
Mentre Mamadou si occuperà della formazione di ricerca, quindi del lavoro sull’attore, io lavoro su come l’attore si può aprire al testo e alla messa in scena, quindi lo step successivo. L’attore che ha guardato dentro di sé, ha cominciato a lavorare su se stesso e deve portare questa nuova modalità sulla scena. Partiamo dal corpo, io lavoro totalmente su creare delle partiture fisiche su musica che raccontino la storia sia dal punto di vista intellettuale, quindi razionale, ma anche dal punto di vista emotivo, quindi umano, cercando di ridurre al minimo la parola.
Io amo molto la parola ma se l’attore vuole cercare di raccontare qualcosa con una modalità nuova, togliendogli la parola lo obblighi a non nascondersi dietro a qualcosa e deve trovare dentro di sé il modo per arrivare al pubblico. Il mio corpo può comunicare ciò che sto sentendo in questo momento, ciò che è la dinamica emotiva che voglio andare a raccontare. Soprattutto in Italia, dove si usa prettamente il teatro di parola, non c’è l’abitudine a lavorare con il corpo, provando a creare una partitura fisica in cui si ha solo il corpo per raccontare e il sonoro, che è diverso dalla parola. Tutto ciò mette l’attore fuori dalla sua “comfort zone”, ed è costretto a far uscire più di quanto avrebbe dovuto fare se avesse usato la parola, che è comunicativa di per sé.
A chi è rivolto questo ciclo di laboratori?
Attori professionisti e non, danzatori, performer, qualsiasi tipo di artista nel campo dell’utilizzo del corpo, della voce. Questo è molto importante, Mamadou ci tiene sempre a sottolinearlo, che non è importante per fare ricerca essere attori professionisti nel senso italiano del termine: non è necessaria la tecnica, perché questo è un lavoro sull’essere umano. Quello che è più importante è essere disposti a lavorare su questi livelli. Ho lavorato con degli attori bravissimi, a cui togli la parola e tornano bambini.
Se dovessi definire il teatro di ricerca in una frase?
È un tipo di approccio al teatro che utilizza una narrazione su più piani: scavando in ognuno di essi è possibile riuscire a comunicare tutto ciò che si desidera.
Il Teatro Hamlet e la sua storia
La storia del Teatro Hamlet è quella di un gruppo di persone totalmente folli si trovano a riflettere su un fatto: il punto non è soltanto fare teatro, ma portare avanti un sentire teatrale. Sono passata dall’essere un’attrice ad essere una regista anche per questo: essere attori per me è abbracciare qualsiasi tipo di esperienza teatrale. Quando invece dentro di te nasce l’urgenza di dire qualcosa e di dirla in un determinato modo pensi che non si tratta più di fare uno spettacolo, ma di portare avanti un sentire teatrale, una visione teatrale. Serviva un posto che accogliesse questo bisogno e abbiamo trovato questa struttura a Via Alberto Da Giussano a Roma nel quartiere Pigneto.
Era totalmente fatiscente, da zero abbiamo riqualificato tutto, da soli con le nostre mani. Da allora sono passati diversi anni e il 15 febbraio 2025 abbiamo festeggiato undici anni di Teatro Hamlet! Sapere che in questi anni il nostro lavoro è cresciuto e sta tuttora crescendo dona un senso ciò che si è costruito. Sono contenta che la nostra idea di teatro sia riuscita ad andare anche oltre le mura del Teatro Hamlet, facendo diversi progetti con il sostegno del Ministero della Cultura, della Regione Lazio e con il Comune di Roma. Per noi avere questi sostegni è importante perché è anche una sorta di riconoscimento per il nostro lavoro. Anche la partecipazione delle persone ci dà molta soddisfazione: questo progetto “L’Eredità di Edipo” è già al completo da settimane.
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