Molti genitori e molti insegnanti si chiedono: «A cosa servono oggi le fiabe? Non riproducono ruoli superati e stereotipati?». Con il suo saggio Le fiabe non servono a niente per Laterza Editori, Paola Zannoner ci spiega cosa si nasconde dietro i racconti della nostra infanzia.
È vero che le fiabe non servono più a niente? Che perpetuano solo stereotipi, e che arrivano a essere anche nocive? E cosa ce ne dovremmo fare, allora, delle fiabe? Sono domande legittime, soprattutto nell’era della fruizione facile, dei creator digitali, dell’informazione a portata di mano. Che senso ha ancora raccontare o leggere le fiabe ai bambini, quando il potere ora è tutto in mano all’immagine?
A darci una risposta seria, profonda e necessaria è Paola Zannoner, pluripremiata autrice di letteratura per l’infanzia, critica letteraria e saggista di chiara fama. Le sue opere sono principalmente rivolte ai giovanissimi e spaziano per generi e temi. Ma Zannoner è anche autrice di saggi, novelle, libri per adulti, apprezzati dai lettori e dalla critica di tutto il mondo, che ci raccontano storie che sono frammenti di vita, riflessioni profonde su quello che ci accade e sull’evoluzione della società in cui viviamo.
Le fiabe non servono a niente (Laterza Editori) arriva al momento giusto, analizzando con una intensa riflessione il vero significato delle fiabe, che spesso arrivano a noi edulcorate, mutilate per ben altri intenti. Zannoner non si ferma in superficie, analizza le radici culturali e sociali che hanno portato anche alla mutazione della fiaba, accompagnandoci per mano nella giungla di motivazioni, alcune meschine altre avvenute in buona fede, che hanno portato alcune fiabe a incarnare stereotipi che si sono radicati nella nostra società. E che hanno portato a infelici incomprensioni e malintesi riguardanti l’intento primario di certi racconti.
Il saggio.
Ci si immagina che nel mondo nuovo, dove la tecnologia domina il nostro immaginario, sia necessario ripensare totalmente anche il mondo fantastico in cui introduciamo i nostri bambini nei primi anni della loro vita. Paola Zannoner, studiosa della fiaba, romanziera e formatrice nel campo della letteratura giovanile, prova a rispondere a queste domande, sfatando pregiudizi e luoghi comuni.
Negli anni Settanta dagli Stati Uniti partì un attacco alle fiabe da parte di scrittrici e attiviste femministe, che in questo genere vedevano il propagarsi di modelli tradizionali e punitivi per le donne.
Il ‘C’era una volta…’ è sempre stato per i bambini una molla dell’immaginazione che produce una mente aperta in tutte le direzioni del possibile. La fiaba è senza tempo e senza spazio, è astratta eppure molto concreta nella rappresentazione di emozioni profonde e inespresse, di sentimenti contrastanti, incarnati non da eroi ma da figure umane, semplici, spesso bambine e bambini che devono affrontare prove e avventure ignote.
Nella sua varietà e multiculturalità, la fiaba rappresenta un’educazione sentimentale di bambini e adolescenti alla complessità della vita e soprattutto prevede la condivisione della lettura creando una indispensabile ‘relazione del racconto’ in famiglia e a scuola.
Abbiamo intervistato Paola Zannoner per capire, assieme a lei, cosa c’è dietro il suo profondo e puntuale lavoro sulle fiabe.

Le fiabe non servono a niente è un saggio a mio avviso necessario, quanto provocatorio che ci aiuta a vedere oltre, a scardinare certi stereotipi, anche legati alle fiabe stesse, che spesso sono arrivate a noi “adattate” e non nella loro versione originale. Quando e perché hai avvertito la necessità di dover scoperchiare questo vaso di Pandora?
Forse questo piccolo saggio ha covato dentro di me per molti anni. Uno dei primi incarichi che ho ricevuto dopo la laurea è stato un corso sulla fiaba all’Università di Firenze, chiamata dall’allora docente di pedagogia ed esperto di letteratura per ragazzi Franco Cambi. Erano i lontanissimi anni ottanta, avevo ventisei anni e non avevo mai smesso di leggere le fiabe, ignorando chi le considerava un genere per bambini.
Ma avevo avuto la grande fortuna di crescere con la lettura di Italo Calvino, romanziere per grandi e piccoli e fondamentale raccoglitore delle fiabe italiane, che ha salvato dall’oblio. Ho sempre raccontato le fiabe ai miei figli, ai nipoti, ai figli delle amiche, mi sono divertita a riscriverle e a raccogliere quelle che ho sempre raccontato con il mio personale stile ai miei nipoti (ne ho tanti e di tutte le età) nel volume “Ti racconto una fiaba” pubblicato da Giunti (2020). Le fiabe fanno capolino nei miei romanzi, come citazioni, e rappresentano un punto focale nella mia produzione.
Sono un meraviglioso e sempre sorprendente tesoro che proviene da tutto il mondo, da tutte le culture, da tutte le lingue e anche solo per questo ho deciso di scrivere questo libro: perché la fiaba ci unisce, ci permette di riconoscerci e di rispecchiarci uno nell’altra.
Quanto sono importanti e chi sono ancora oggi le “narratrici” di storie?
Le fiabe contengono archetipi e sono necessarie alla crescita e all’autostima, come nutrimento del pensiero, dell’intelletto e della psiche. Non lo dico io, ma la psicanalisi che ha indagato in modo approfondito le storie popolari tutt’ora utilizzate nella terapia. Le narratrici che un tempo erano le donne anziane oggi sono le insegnanti e le bibliotecarie che si assumono il compito di raccontare fiabe ai più piccoli, magari servendosi dei meravigliosi albi illustrati che ho consigliato nel mio libro, albi di artiste e artisti che della fiaba sanno cogliere gli aspetti simbolici e allegorici.
Come e quanto sono cambiate le fiabe, oggi?
Le fiabe contemporanee svolgono temi moderni, ad esempio la donna guerriera, la ricerca di identità sessuale, la diversità culturale. Alcuni di questi temi sono già stati sviluppati da importanti autori dell’Ottocento, ad esempio Hans Christian Andersen: pensiamo al celebre Brutto Anatroccolo, il diverso che si rivela cigno.
Nel nostro mondo abbiamo “sdoganato” e rielaborato i mostri, diventati molto simpatici come Shrek, o il lupo che nella nostra sensibilità ecologista rappresenta un animale da difendere. A mio parere, è giusto che le storie abbiano versioni contemporanee, utilizzando la forma narrativa di base offerta dalla fiaba, ma è essenziale conoscere le versioni originali perché forniscono la matrice di tante storie e addirittura generi narrativi come ad esempio l’horror che spesso si avvale di personaggi o luoghi tipici della fiaba.

“C’era una volta” è la frase che apre il mondo dei sogni per tanti bambini, ma come racconti nel tuo saggio, anche la chiave per capire emozioni, paure e incertezze. La fiaba fa ancora paura?
Come ho cercato di spiegare, la fiaba ha sempre “fatto paura”, è sempre stata considerata indegna: non appartenente alla “vera”letteratura rappresentata da poemi o saggi, piuttosto storia popolare un po’ volgare, e che osa trattare temi ancestrali e scomodi, come ad esempio l’incesto (in Pelle D’Asino, il padre vuole sposare la figlia che scappa nascosta sotto una lurida pelle d’asino), la violenza sulle donne e l’uxoricidio (Barbablù), la pedofilia (gli orchi e le streghe divoratrici che vivono nei boschi come in Pollicino e Hansel e Gretel, il lupo di Cappuccetto Rosso), la rivalità tra fratelli o sorelle, i sentimenti distruttivi some l’invidia, l’orgoglio, la gelosia.
Senza tempo, senza un luogo definito, la fiaba è lo scenario in cui si incarnano le pulsioni e le emozioni, un paesaggio sentimentale.
A cosa stai lavorando, adesso? Puoi darci qualche anticipazione?
Sono molto onorata di scrivere un romanzo sulla scrittrice che ha significato molto per me, la maestra direi di tutte noi scrittrici e cioè Virginia Woolf. Grazie all’amico Guido Sgardoli che dirige una collana di narrativa per la scuola dell’editore Erickson, sto lavorando a una storia su Virginia ragazzina: si nasce o si diventa scrittrici? E qual è la stoffa per esserlo? Lo saprete presto, il romanzo sarà pubblicato nei primi mesi del 2026.
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Immagine di copertina di Cristian Jako
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