Il coraggio di denunciare. Spagna. La storia della prima donna che ha denunciato un uomo politico per molestie sessuali sul lavoro. Il film ha ottenuto 4 candidature al Premio Goya,

«Nevenka, per favore, cosa diresti alle donne che si trovano in una situazione simile a quella che hai vissuto?» chiede la cronista alla giovane che ha appena testimoniato, in tribunale, la violenza subita. Lei sente finalmente un riconoscimento femminile, si gira e  mormora poche parole: «Che non rimangano in silenzio, che raccontino».

Sarà l’unica risposta che darà alla stampa, quella che meglio descrive la sua scelta, coraggiosa, dolorosa, passata attraverso una lenta presa di coscienza, consapevole di aver messo in difficoltà anche l’attività economica dei suoi genitori. Perché, nonostante tutto e più di quindici  anni prima del #MeToo, la protagonista, consigliera comunale a Ponferrada in Spagna, ha  scelto di denunciare per molestie sessuali sul lavoro il sindaco, Ismael Álvarez, amato dalla popolazione e difeso a spada tratta dai suoi fedelissimi.

Non era mai successo prima, nessuno aveva osato portare un uomo politico sul banco degli imputati con queste accuse. Stiamo parlando del 2001.

“Io sono Nevenka”, firmato dalla regista spagnola Icíar Bollaín.

Il film ci racconta il prima e il dopo, in un crescendo che segue il copione che ben conosciamo. Quando Nevenka, giovane, preparata e molto prestante, decide di interrompere la brevissima relazione avuta con il primo cittadino, l’uomo non si dà pace, comincia un lavoro di tortura fisica e psicologica, cerca in ogni modo di riaprire il rapporto, la umilia davanti ai colleghi, la costringe a un viaggio di lavoro per poi abusare di lei.

«Non potevo muovermi» spiegherà la donna, in tribunale, a un pubblico ministero che le domanda, con arroganza, perché ha permesso tutto questo. «Non potevo muovermi» risponderà di nuovo, questa volta difesa dal giudice. «La signorina non è l’imputata» e ce ne sarebbero voluti, negli anni a seguire, di giudici così.

L’interpretazione di Mirela Oriol è perfetta, il suo corpo racconta la sofferenza, il viso si  affina, le mani prendono a tremare, ha attacchi di panico, nasconde con un soprabito lo specchio per non vedersi più, rasenta l’anoressia. Sarà una dottoressa a spiegarle che è vittima di violenza, che può denunciare, quando lei ancora non riesce a uscire dalla trappola mentale, non sa se sta impazzendo, non riesce a capire il suo comportamento.

Il volto marcio del patriarcato.

Altrettanto convincente è Urko Olazabal che, nei panni del sindaco, riesce a mostrare il volto del maschio prevaricatore, sia dal punto di vista umano sia da quello professionale, lavorando contemporaneamente per ottenere il consenso popolare e professarsi innocente, A fianco di Nevenka Lucas (Ricardo Gomez), il giovane che sposerà, quello che le fa cadere un altro velo davanti agli occhi: «Ti parla come un padrone, non come un datore di lavoro.»  

Sarà nel pieno di questo processo di presa di coscienza che la donna riuscirà ad urlare, finalmente,  «Io sono Nevenka» al manipolatore che la chiama, al telefono, con nomignoli infantili, per ribadire la sua presunta superiorità. Tutt’intono la follia dei luoghi comuni, anche questi tristemente noti, «Ma se c’era stata una relazione come si può parlare di violenza?» Su tutto, però, la splendida parabola di Nevenka che ripete costantemente di agire per la sua dignità, che non può lasciare il lavoro con il marchio dell’incapace come vorrebbero, che deve avere giustizia.

Una storia vera.

La storia è vera, tutta, la fine è comunque amara: il sindaco è stato condannato, ma Nevenka ha dovuto lasciare la Spagna perché non riusciva più a trovare lavoro e oggi vive in Irlanda con il marito e due figli. Solo dopo venti anni da quel processo ha trovato la forza di tornare a parlare in pubblico della sua storia, prima con un documentario, ora con questo bel film. Va anche sottolineato che non è stato possibile girare a Ponferrada, perché il Comune non ha risposto alle richieste, ma a Zamora. La pellicola,  che prosegue il lavoro intorno alla figura della donna portato avanti dalla regista Icíar Bollaín, è in sala in occasione della Giornata contro la violenza alle donne.

E raggiungerà molti comuni italiani grazie alla campagna annuale 16 giorni di attivismo con una serie di iniziative realizzate in collaborazione con Una, nessuna e centomila  e Women in film, Televison e Media Italia

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