Il fotoreporter americano Steve McCurry ha legato la fotografia al viaggio (“Se dovessi smettere di fotografare, penso che continuerei a viaggiare. Viaggio e fotografia sono come intrecciati. E sono affascinato da entrambe le cose. Così, se non mi dedicassi alla fotografia, farei il nomade di professione.”)

Queste sono le parole che McCurry pronuncia per descrivere il suo lavoro e la sua vita. E’ per questo che consiglio a tutti coloro che ne hanno la possibilità di visitare “ICONS”, una mostra che raccoglie circa 130 fotografie esposte presso il Gil di Campobasso dal 26 gennaio al 28 aprile 2019. L’evento è stato organizzato dalla Fondazione Molise Cultura e curato da Biba Giacchetti che, in un susseguirsi di immagini, racconta lo straordinario viaggio trentennale di questo fotografo lungo le strade del mondo.

Pochi come lui hanno saputo fare della voglia di muoversi, di conoscere il mondo e di osservarlo con occhi sempre nuovi, una professione riuscendo a cogliere le bellezze, la magia del mondo ma anche i suoi drammi, come le guerre o i disastri naturali.

Le fotografie esposte lungo le sale del Gil di Campobasso, rappresentano il suo operato, la sua incessante ricerca dei segreti della terra e degli uomini che la abitano. Osservando le immagini si ha la sensazione di fare un viaggio intorno al mondo, di salire sopra la vetta più alta per guardare la vastità della terra e del cielo, un viaggio attraverso le razze, il folklore, la cultura e quella spiritualità che divide l’Oriente dall’Occidente. Un cammino nelle emozioni nascoste nei dettagli, perché sono quelli che ama catturare McCurry nel suo lungo peregrinare da una parte all’altra, dall’America all’Asia, dall’Europa all’Africa con la speranza, nel cuore, di raccontare l’essere umano ed il contesto nel quale vive. Uzbekistan, Kashmir, Yemen, Mozambico, Birmania, India, Nepal, Tibet, Ecuador, Gambia, Cina ma anche un po’ d’Italia sono una parte della realtà fotografica che si svela ai nostri occhi una volta all’interno dell’ambiente espositivo.

Il lavoro di McCurry unisce varie ricerche, a partire da quella antropologica che rappresenta il primo nucleo fotografico, fatto di volti dove il fotografo coglie la grande capacità comunicativa di quei visi che sembrano parlare nel loro silenzio. Sguardi che ci trapassano, ci trafiggono nella loro spontaneità, occhi curiosi, spaventati, fieri o interrogativi che entrano in comunicazione con McCurry e con noi spettatori. Ecuador, Mongolia, Gambia, India, una sequenza di volti che spiegano la diversità della razza. È lo stesso McCurry a portare avanti quella che lui chiama una vera e propria ricerca antropologica (Sono sempre stato interessato a ritrarre le persone, mi affascinano le differenze somatiche della grande famiglia dell’uomo. I volti hanno proporzioni diverse, colori, misure diverse. Ma soprattutto hanno la capacità di raccontare un’esistenza, una condizione, una vita.). Non a caso la sua fama si deve allo scatto che, nel 1984, ha segnato la sua carriera di fotoreporter: La Ragazza afgana, con quegli occhi color smeraldo che lo osservano, rappresenta lo sguardo più famoso del XX secolo. Se gli antropologi hanno scritto dell’evoluzione umana e tutt’oggi continuano a studiare le culture e le tradizioni, McCurry ha trasformato questo viaggio in immagini dalla bellezza sfrontata e decisa.

Un trionfo di colori, dall’oro al rosso, dal verde al blu, tonalità cangianti e colori vivi che imprimono nella nostra mente immagini da tutto il mondo. La natura umana e le sue declinazioni sono fondamentali nella ricerca del fotografo, il quale rimane affascinato dalla capacità di reazione della natura umana davanti determinati contesti e situazioni e lo fa attraverso una ricerca paziente del momento esatto. Momento che, per l’occhio di chi osserva, diviene un andare oltre, come se si volesse dilatare lo spazio ed il tempo. I suoi meravigliosi scatti paesaggistici sono il frutto di una paziente attesa, lunghi appostamenti per lo scatto perfetto. Ma la fotografia è fatta anche di attimi fuggenti da cogliere istantaneamente. Se si ha la pazienza di osservare a lungo, prima o poi qualcosa di inaspettato accadrà davanti a noi.

Quello che però, mi ha maggiormente colpito e portato a riflettere, oltre la bellezza degli scatti e una carrellata di posti meravigliosi nel mondo, è la spiritualità che emerge dagli scatti asiatici. Un senso di pace, di meditazione e di serenità che pervade la mia persona. E ci accorgiamo di come noi occidentali stiamo perdendo quel tocco semplice, la frugale semplicità e un modo riflessivo di osservare la realtà circostante. Camminare tra questi scatti è un cammino attraverso il folklore, stili di vita e realtà che spesso abbiamo ignorato. La normalità di un gruppo di bambini, in uno scatto fatto in Libano nel 1982, che giocano con una macchina da guerra abbandonata, è una faccia del mondo che spesso ignoriamo. I bambini che giocano con la spontaneità che li contraddistingue e vivono quella che per loro è normalità. Perché se per noi convivere con una guerra o con i suoi effetti è impensabile, per loro è una cosa assolutamente naturale. Le grandi verità del mondo, dalle terre del Sol Levante fino ai ghiacciai dei Poli sono il meraviglioso scrigno che McCurry ha deciso di portare in Molise, preparando per l’occasione un paio di fotografie assolutamente inedite da mostrare per la prima volta a Campobasso.

La mostra sarà al Gil, sede della Fondazione Molise Cultura dal 26 gennaio al 28 aprile 2019, in via Gorizia, Campobasso

Telefono: 0874 437807

Orario di apertura: dal Martedì alla Domenica. Mattina ore 10/13; Pomeriggio ore 17/20