Il cliente moderno, che potremmo definire millennial, pensa di essere davvero avanti e mette in fila una serie di domande che contengono nell’ovvietà della risposta l’altissimo livello del loro quoziente intellettivo. Sono quei clienti che all’improvviso, senza un perché preciso, pongono domande a cui neanche la mente più brillante e veloce riesce a formulare una risposta se non dopo i primi dieci secondi. A volte possono essere giustificati dal fatto che non sono del posto ma per i nostri affezionati clienti di una piccola cittadina certe domande non hanno davvero scusanti. Più che indovini loro, lo diventano le commesse a furia di rispondere a domande che perfino la loro madre ignorerebbe, ritrovandosi così in un vortice di assurdità degno della migliore sitcom americana.

Avete presente quella fiction televisiva andata in onda anni fa su Rai Uno “Tutti pazzi per amore”, dove i protagonisti agivano al limite dell’ordinario dicendo quello che davvero pensavano per poi scoprire che era solo frutto della loro mente? Ebbene, questo è quello che accade quotidianamente tra le quattro mura di un negozio, dove la commessa non si sente completamente libera di essere sé stessa per assestare un paio di risposte degne delle domande. Più fai questo mestiere e più senti l’esigenza di contattare la Rowling per dirle che non c’era bisogno di sforzarsi per partorire il prequel di Harry Potter, perché il protagonista, il timido ed incompreso Newt Scamander – impersonato da quel gnocco di Eddie Redmaine – doveva solo entrare in un negozio per ritrovare i suoi famosi animali fantastici. Ecco, “Animali fantastici e dove trovarli”, a questo punto, avrebbe avuto la stessa lunghezza della celebre poesia di Ungaretti che recita “Mi illumino di immenso.” Fine. Figo eh?Invece quell’ingenua della Rowling ha scritto tre libri, perché la saga di Harry Potter da sette volumi pareva corta, per spedire il povero Scamander di qua e di là ad acciuffare questi animali inesistenti. Non sarebbe stato più affascinante se nella rete del protagonista ci fossero finiti un po’ dei nostri clienti più particolari? Ahi ahi cara Rowling, avresti fatto più soldi con i “Clienti fantastici e dove trovarli” perché, come dice sempre mia madre, non sempre le cose migliori sono quelle più complicate.

E così, visto che nessuno reclama questi curiosi esseri umani, siamo costretti a vederli nel negozio, spaesati, a volte impauriti al solo dire “buongiorno”, terrorizzati da un po’ di folla durante i periodi festivi, che sbraitano al telefono mentre ti chiedono di fargli vedere quel maglione o quel pantalone, quelli che sembrano che parlano da soli perché la tecnologia ha creato le cuffiette invisibili, quelli che se non vengono accolti già da fuori la porta si indignano, quelli che protestano con te perché non è stato tolto il ghiaccio lungo tutta la strada, – ma non è competenza del comune?- quelli che ti chiedono se lavori anche nel giorno del capodanno cinese perché restare aperti sei giorni su sette sembra poco o quelli che ti domandano che promozioni ha la Wind per il mese corrente perché nello store Wind dall’altra parte della strada c’è fila.

Lo so che vi starete chiedendo se assumo sostanze stupefacenti vista l’assurdità delle situazioni, e forse anni fa qualche domandina me la sarei fatta anche io, ma vi assicuro che è tutto vero, la normalità come la intendiamo noi non esiste, ci hanno mentito a scuola, a casa. I nostri genitori ci hanno raccontato un mare di frottole sulle persone perché quando diventi una commessa inizia il peggiore degli incubi e il video di “Thriller” al confronto è una puntata degli “Orsetti del Cuore”. Gente che dà per scontato che tu conosca il figlio, il genero, il cognato, il trisavolo, il suo lontano discendente apache, le taglie più disparate dette più a caso che per diretta conoscenza. Ma anche il fatto che tu lavori nel negozio diventa l’arcano mistero del cliente che non ti riconoscerebbe neanche se tu avessi una maglietta con sopra scritto “staff” e una serie di lucette natalizie che ti avvicinano al peggior albero di Natale mai addobbato. Ed inizia così un circolo vizioso di domande e risposte senza alcun senso, con l’unico desiderio di tirare una mattonata a tutti quelli che pongono domande così stupide da indurre il mitico Darwin a rivedere la sua teoria sull’evoluzione e facendoti così sembrare una mente eletta.

1) Giorno di scarico in negozio e in un batter d’occhio mi ritrovo incastrata fra scatoloni, maglie, maglioncini, pantaloni, scarpe, borse e tutta una serie di articoli a me sconosciuti. Mi ritrovo con una pila di maglioncini mentre la mia collega finisce dentro uno degli scatoloni, perché quelli che arrivano in negozio non sono scatoloni semplici, ma buchi neri, quando come dal nulla compare una elegante signora e si rivolge all’anziana tutta ricurva vicino a noi che sta osservando alcune giacche.

Cliente 1: «Scusi lei lavora qui?»

Cliente 2:

Io e la collega ci guardiamo e se non scoppiamo a ridere in faccia alla signora, elegante quanto intelligente secondo il principio matematico dell’inversamente proporzionale, è un miracolo. Ma dico io,  può mai quella vecchina tutta ricurva che trema – non credo per il freddo – e vicina, con molta probabilità, all’incontro con la luce eterna, lavorare? È mai possibile che l’ossigeno bisogna darlo davvero a tutti? Perché a me, in alcuni casi, sembra davvero sprecato. Davanti alla negazione della nonnina, si rivolge a noi che stiamo cercando di vincere la battaglia con i maglioncini che sembrano riprodursi come funghi.

Cliente 1: «Scusa tu lavori qui?»

Io: (nella mente) «No, faccio volontariato gratis qui.»

(nella realtà) «Sì, ha bisogno di qualcosa?»

2)Cliente: «Buongiorno, mi può dare un jeans per mio figlio?»

Io: «Sì, mi segua. Ha in mente il modello?»

Cliente: «Eh?»

Io: «Sì, il modello. Lo vuole a vita bassa, normale, aderente o taglio classico?»

Cliente: «Boh?»

Cominciamo bene. Non mi pare che la signora abbia le idee chiare sul taglio di jeans che usa il figlio. Nel frattempo attendo che, per grazia concessa, mi dica almeno la taglia di riferimento e la osservo. Dopo svariati secondi, avendo casualmente intuito che non ha nessuna intenzione di darmi tale informazione, lo faccio io.

Io: «Ma di che taglia avrebbe bisogno?»

Cliente: «Per mio figlio, no?»

Già, suo figlio. A meno che non sia Johnny Depp o un calciatore famoso non capisco perché sarei obbligata a conoscere il figlio. Non ho la più pallida idea di chi sia ma, per qualche arcano motivo, non so perché la cliente dà per scontato che io conosca non solo il figlio, ma anche la sua taglia di pantaloni.

Io: «Signora, non so che taglia porta e non penso neanche di conoscerlo suo figlio.»

Cliente: «Ah non lo conosci? Peccato, è un gran bel ragazzo. Però non mi ricordo che taglia porta. Aspetta che lo chiamo.»

Di bene in meglio, è passata in un attimo da Alberto Castagna ai tempi di Stranamore alla Fata Smemorina che non ricorda niente. Sospiro mentalmente e mi rassegno al peggio, perché la signora apostrofando il figlio con termini mielosi che neanche mia madre quando ero in fasce, gli dice che gli sta prendendo il pantalone che le aveva chiesto di acquistare per mancanza di tempo. E questo tempo deve essere davvero nullo perché, la povera donna, non termina neanche l’ultima frase che il figlio attacca il telefono non prima di essersi fatto sentire da tutto il negozio e dintorni.

Cliente: «Signorina, mio figlio era molto occupato a lavoro, troppe responsabilità e l’ho chiamato in un momento sbagliato. Ripasso più tardi o domani appena mi dice la taglia. La ringrazio.»

Io: «Ma si figuri. Arrivederci»

La saluto con un’espressione che la dice lunga sul fatto che il figlio sia un pezzo grosso. Magari lo è ma la sua risposta che era occupato con la sua ragazza l’ha sentita, ripeto, tutto il negozio e dintorni.

3)Una ragazza entra nel negozio e mi spiega che deve andare ad un matrimonio e ha bisogno di un abito carino e non troppo vistoso. Le faccio vedere qualcosa visto che l’evento sarà a metà settembre. Siamo ancora a giugno e quindi al momento disponiamo di abiti molto scollati o comunque adatti per l’estate. Lei ne prova alcuni e si innamora di uno di questi, a maniche corte ma di un tessuto molto leggero. Nonostante le piaccia moltissimo non riesce a decidersi, finché non fa la seguente domanda:

Cliente: «Ma secondo te, il 17 settembre pioverà? Oppure dici che il clima sarà troppo freddo per questo abito?»

Ed io, in un batter baleno, mi vedo trasformata nel colonnello Giuliacci, con una bacchettina in mano a spiegare il moto dei venti e la quantità di precipitazioni previste per tale giorno. Ma come faccio a saperlo se persino il Meteo.it arriva ad un massimo di 15 giorni per le previsioni? Io non so neanche cosa farò domani.

Io:«Ma non credo. A settembre il clima è ancora gradevole. Al massimo puoi mettere sopra una stola abbinata oppure un giacchino corto, giusto per l’evenienza. Che ne pensi?»

Cliente: « Mmm…non è un’idea malvagia. Però questo fatto di non sapere che tempo farà mi destabilizza. Ti dispiace se ci penso un po’ mentre osservo meglio i vestiti?

Io: (nella realtà)«No, figurati, fai con calma e se hai bisogno mi chiami.»

    (nella mente) «Puoi continuare a guardare quanto vuoi, ma i vestiti non parleranno per svelarti che           tempo farà il 17 settembre!»