Pro-Choice è una rete di attiviste di qualsiasi estrazione professionale – ginecologhe, giornaliste, antropologhe, sociologhe, psicologhe. Danno il loro contributo affinché il tema della salute sessuale e riproduttiva acquisti il giusto spazio e coinvolga il maggior numero di donne. Perché una giusta e consapevole conoscenza di sé oltre che medico è anche un fatto sociale e culturale. Ne abbiamo parlato con la dottoressa ginecologa Marina Toschi.
Dottoressa Toschi cos’è Pro-choice?

Pro-choice è una rete formata da più associazioni. Ci sono tante realtà che si occupano del tema della salute sessuale e riproduttiva. E portano avanti molte attività in maniera indipendente, ma spesso c’è bisogno di condivisione e unità di intenti, per questo è nata una rete nella quale trovarsi e confrontarsi. Le diverse realtà, quando hanno delle idee possono portarle in assemblea e lì si trova una linea comune da adottare. Un coro a più voci è di certo più forte e incisivo rispetto a una voce sola. Pro-choice è proprio questo: una rete a cui tutte possono fare riferimento.

Marina Toschi
Lei come tante altre attiviste, che ruolo avete?

A Pro-choice possono aderire anche persone singole, di diversi ambienti professionali, come me, che non appartengono a una associazione in particolare, ma in quanto attiviste, politiche, femministe, vogliono portare il loro contributo sia umano sia professionale. Attraverso di esso cerchiamo di promuovere l’applicazione e il miglioramento delle leggi, che ci sono, a favore di una libera scelta nell’ambito sessuale e riproduttivo.

Detto questo il primo pensiero va alla legge 194, la legge che promuove l’interruzione volontaria di gravidanza. Di fatto è la legge sulla quale si hanno più controversie.

Sì, sappiamo quanto spesso e volentieri l’applicazione di questa legge sia osteggiata dagli stessi nostri colleghi medici. Ma chi di noi fa parte della Rica – Rete italiana contraccezione e aborto – cerca di promuovere e di far applicare nell’interezza la legge e soprattutto l’art.2, articolo che sancisce la contraccezione gratuita a chi ne fa richiesta, che invece è pesantemente ostracizzato se non del tutto ignorato. Basti pensare che in Italia sono solo quattro le regioni che applicano l’art. 2: la Puglia, la più ligia, in cui i consultori si fanno carico di tutte le donne che richiedono la contraccezione gratuita; l’Emilia Romagna, Toscana e Piemonte che si fanno carico solo di alcune categorie. Il resto delle regioni fa finta di niente.

Come se lo spiega.

C’è l’erronea convinzione che la contraccezione influenzi negativamente la natalità. Del tutto falso! La Francia, dove è molto utilizzata, è il paese con il maggior numero di figli per donna, forse perché le donne trovano lavoro! Poi vi è una erronea informazione sui metodi di contraccezione, sul proprio corpo e la sua fisiologia e il “terrore” all’uso di ormoni, la paura di ingrassare. Questo fa sì che solo il 14% delle donne in età fertile usi una contraccezione ormonale in modo continuativo. Più utilizzati coito interrotto e preservativi e quindi poi, in caso di incidenti, si usa la così detta “pillola del giorno dopo”, che non avendo bisogno di prescrizione medica può essere acquistata in qualsiasi farmacia senza problemi anche dalle minorenni. E se da una parte ben venga la possibilità di un acquisto immediato e libero per la donna che ne ha necessità. Le medesime donne devono sapere che poi spesso si sregola l’ovulazione.

Pillola del giorno dopo: ma esattamente che cos’è?

La pillola del giorno dopo di sicuro non è un metodo abortivo. Chiariamo questo punto una volta per tutte. La pillola del giorno dopo o meglio contraccezione d’emergenza, è un metodo contraccettivo: blocca o ritarda l’ovulazione. È un metodo di emergenza che però non è detto funzioni al cento per cento. Perché se l’ovulazione era già in atto, il concepimento potrebbe essere già avvenuto, vanificando così l’efficacia della pillola. Come ho già detto prima, meglio che ci sia, perché oltre alla libertà di acquisto, come metodo emergenziale con la sua buona ma non totale efficacia, ha fatto sì che la percentuale di aborti si riducesse. Ma rimane sempre un metodo contraccettivo e non assolutamente un metodo abortivo, e non bisogna abusarne altrimenti il ciclo mestruale si sregola. Meglio ricordarlo sempre.

Ma un minore uso di contraccezione porta effettivamente a una maggiore natalità?

Direi proprio di no! La natalità in Italia è ai minimi storici e non perché vi sia un’alta contraccezione, ma più drammaticamente perché non c’è lavoro. Mi capita spessissimo di incontrare donne che hanno intenzione di abortire perché non si possono permettere di gestire e mantenere il figlio dopo la nascita: o lavoro o figlio, entrambe le cose pare siano ancora quasi impossibili da conciliare. Un aiuto alla scelta contraccettiva spiegata bene e chiaramente e la contraccezione gratuita aiuterebbero molto… oltre a un mondo del lavoro più sicuro e accogliente per le famiglie con figli.

La contraccezione in Italia come è percepita.

In Italia non abbiamo una reale e vera cultura della contraccezione. Questa è la verità. E la cosa ancora più impressionante è che la contraccezione e il councelling non vengono realmente insegnati né nelle aule della facoltà di Medicina prima né durante la specializzazione in Ostetricia e ginecologia dopo. Si può finire la specializzazione senza essere in grado di inserire una spirale o di fare un colloquio sui metodi contraccettivi con le proprie pazienti. Siamo il Paese europeo che dopo la Grecia ha il più basso uso di contraccezione ormonale! Nessuno raccoglie dati su quale sia il numero delle spirali inserite e pochi ginecologi le inseriscono perché inserirle richiede una assicurazione specifica. Solo sulla contraccezione ormonale e su quella d’emergenza è possibile avere dei dati abbastanza certi, basta mettere assieme le informazioni sulla vendita delle scatole.

L’Italia sta dunque facendo passi indietro invece di evolvere o comunque consolidare diritti ottenuti strenuamente?

Sì, stiamo facendo passi all’indietro. Non molto tempo fa parlando con il rappresentante di una importante e ben nota casa farmaceutica ho saputo che l’utilizzo dei contraccettivi nel nostro Paese è calato ancora, eravamo già a un misero 17%, ora siamo scesi al 14%. In diverse regioni, Sicilia, Calabria, Campania, per esempio, i rappresentanti farmaceutici non promuovono nemmeno più gli ultimi ritrovati delle pillole contraccettive, non c’è richiesta e per loro quindi non ha senso presentare un prodotto che non ha di fatto un mercato. Questa è la situazione attuale.

Che cosa non convince della contraccezione per averne una così bassa o del tutto assente percezione?

I motivi sono molteplici, ma di sicuro al primo posto dobbiamo mettere l’arretratezza culturale del nostro Paese. Culturalmente l’Italia è contraria alla contraccezione. Si pensa: “La contraccezione è una brutta cosa, fa male”; è vero il contrario: la contraccezione è a favore delle donne, le aiuta nella loro emancipazione affettiva e sociale, e negli studi epidemiologici retrospettivi, le donne che assumono contraccezione ormonale vivono più a lungo delle altre. Una cultura sessuale consapevole e strutturata in Italia è del tutto assente: non si insegna nelle scuole. Capita di sentire ragazze laureate che non sanno come sia davvero fatta la vagina e non sanno disegnare da dove uscirà il loro bambino alla nascita. Le mie parole potrebbero apparire esagerate e non veritiere, ma lavoro da 38 anni nei consultori, quando ancora si poteva ho tenuto corsi nelle scuole, faccio corsi in preparazione al parto, la situazione è questa: le donne di qualsiasi ceto, estrazione sociale, più o meno istruite non hanno alcuna consapevolezza del proprio corpo e della sessualità in generale. Se non è arretratezza culturale questa.

Quindi la rete Pro-choice è una reale e concreta necessità a questo punto.

Sì, direi che Pro-choice è fondamentale. Oltre a noi medici vi sono anche giornaliste, sociologhe, antropologhe. Bisogna poter aiutare le donne in qualsiasi percorso esse vogliano intraprendere. La salute sessuale e riproduttiva non può e non deve essere affrontata solo da un punto di vista medico, è anche un fatto sociale e culturale. Una consapevolezza profonda e ben strutturata è la base per una giusta presa di coscienza di se stesse e dei propri diritti come persone prima e cittadine poi.