“I racconti di Parvana” (conosciuto anche col titolo di “Sotto il burqa”) è un film d’animazione diretto dalla regista irlandese Nora Twomey. Il film, frutto di una co-produzione internazionale tra Canada, Irlanda e Lussemburgo, è stato distribuito in tutto il mondo nel 2017 ed è ora disponibile nel catalogo di Netflix. Basato sul romanzo “Sotto il burqa” della scrittrice canadese Deborah Ellis, “I racconti di Parvana” ci mostra con estrema onestà cosa significa veramente vivere in un Afganistan dominato dall’oscurantismo, in particolare se si è una donna.

Parvana (pronunciato /pàrwana/) è la protagonista di questo film. È una ragazzina di appena undici anni che vive a Kabul sotto il regime talebano. La sua famiglia è composta dalla madre Fattema (un tempo una scrittrice prima che arrivassero i talebani), la sorella Soraya, il padre “Baba” (un ex insegnante) e il piccolo Zaki.

Il padre di Parvana è un padre diverso dagli altri: tiene moltissimo all’istruzione delle sue figlie e, anche se adesso le donne non possono più frequentare nessun tipo di scuola, insegna e racconta loro tutto ciò che egli conosce.  

Baba, proprio per questa ragione, sembra ricalcare il personaggio di Babi, il padre di Laila, una delle protagoniste del romanzo “Mille Splendidi Soli” di Khaled Hosseini (per saperne di più clicca qui).

Il padre di Parvana ha conosciuto la pace ma, immediatamente dopo, anche la guerra, il colpo di stato, la morte e il prezzo altissimo pagato dalle donne afghane: nessuna istruzione, nessuna libertà, segregate in casa alla mercé dei loro mariti. Non vuole che questo accada anche ad entrambe le sue figlie.

Tuttavia, l’oscurantismo e la cieca violenza del regime talebano non risparmiano nessuno. Baba viene brutalmente arrestato e portato in prigione perché possiede dei libri “proibiti” con i quali insegna alle sue figlie.

L’arresto di Baba innesca una serie di dinamiche che cambieranno completamente la vita di Parvana

Insieme alla madre Fattema, esce da sola (cosa proibita dai talebani) per andare a cercare Baba in prigione. Qui Parvana assiste a un atto di efferata violenza ai danni della madre: Fattema viene picchiata e malmenata da un talebano fino a non riuscire più a reggersi in piedi. La sua colpa? Essere uscita di casa senza il marito o un parente maschio.

La condizione delle donne

Non poter fare più niente, nemmeno semplicemente uscire o andare al mercato da sole, è un totale annichilimento dell’identità di tutte le donne afghane, della loro autodeterminazione e del loro potenziale.

Vengono attuate una discriminazione e una subordinazione di genere aberranti che porteranno Parvana – spinta da estrema necessità – a diventare qualcun altro, ad annientarsi completamente. In che modo? Parvana decide di tagliarsi i lunghi capelli neri lucenti e di indossare abiti maschili, diventando un ragazzo. Così facendo può lavorare e non far morire lei e la sua famiglia di stenti.

Il travestimento di Parvana

La decisione di Parvana di travestirsi da ragazzo, oltre ad essere un punto importante nello sviluppo narrativo, possiede un sottotesto più profondo.

Fa capire a Parvana (e anche a noi attraverso i suoi occhi) l’abissale differenza tra l’essere nati maschi e femmine in Afghanistan. Dopo il suo travestimento, infatti, Parvana viene trattata in modo nettamente diverso rispetto a prima (“Ora che sei un ragazzo puoi andare ovunque tu voglia”).

Paradossalmente, l’essersi travestita da ragazzo le dà un’ulteriore spinta in avanti per capire chi è e le fa prendere ancora di più coscienza e consapevolezza della brutale condizione nella quale le donne afghane sono costrette a vivere.
Il potere dei racconti e delle storie

Se, da una parte, ci vengono raccontate le atrocità della guerra e tutto ciò che ne consegue, l’altro grande tema che il lungometraggio affronta è il grande potere che hanno le storie, le fiabe e le favole di illuminare tutto quell’oscurantismo in cui Parvana e la popolazione afghana sono immersi.

Parvana, che per la sua decisione di travestirsi da ragazzo potrebbe farci venire in mente Giovanna D’Arco, non impugna armi, non guida eserciti. La sua arma è la parola, il suo esercito sono i personaggi dei suoi racconti.

Parvana racconta le fiabe al fratellino Zaki per distrarlo dalla fame e dalla paura. Ma racconta storie anche a se stessa per cercare di infondersi coraggio durante il suo viaggio verso la prigione alla ricerca di Baba.

Le storie, i racconti e le fiabe sono le uniche cose che rimangono alla popolazione afghana e ai bambini. Come dice Baba, infatti, all’inizio del film: “Le favole rimangono nel cuore quando tutto il resto se ne va”.

Perché consiglio questo film

Indubbiamente “I racconti di Parvana” è un film che suscita emozioni forti fin dall’inizio. È particolarmente interessante la contrapposizione della gentilezza e della dolcezza di Baba e Parvana alla furia cieca dei talebani.

Come si è detto all’inizio, si tratta di un film d’animazione (candidato, tra gli altri, anche ai Premi Oscar 2018 nella sezione “miglior film d’animazione”). Ma non pensiate che sia rivolto esclusivamente ai bambini. È un film che fa riflettere tutti i tipi di pubblico proprio perché usa il linguaggio audio-visivo più semplice ma anche più profondo che ci sia: quello dei bambini.

Ai bambini cerca di spiegare e far conoscere una barbarie che sta avendo luogo ancora oggi, dati i recenti infausti avvenimenti; agli adulti fa comprendere, proprio attraverso gli occhi di una bambina, che tutto ciò che sta accadendo ancora oggi in quella terra un tempo così ricca di arte, di Storia e di cultura che è l’Afghanistan è una catastrofe e una sconfitta su ogni fronte, in special modo su quello umano.

Lì adesso, in questo momento, ci sono molte Parvana, molte Fattema e molti Baba che vivono un inferno sulla terra che noi, per vari motivi, facciamo fatica a comprendere. Ma “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.

La nostra terra ha come più grande tesoro la sua gente. […] Innalza le tue parole, non la tua voce. È la pioggia che fa crescere i fiori, non il tuono.

(Baba e Parvana in una scena del film)