Numero sconosciuto, chiamata insistente (il telefono continua a squillare nonostante tu impieghi tre minuti ad aggrapparti alla cornetta), incipit incerto, timidezza o, al contrario, ingenua sfrontatezza: ecco l’identikit di chi ha appena spedito o sta per spedire un manoscritto in casa editrice. Niente panico, ce n’è davvero per tutti i gusti (e orecchie).

Editore Cercasi. L’aspirante scrittore è l’interlocutore telefonico più temuto proprio per la sua imprevedibilità e la sua (comune a tutti i tipi di aspiranti scrittori) sensibilità al rifiuto editoriale.

Sensibile anche ai mesi di attesa “durante i quali il comitato editoriale avrà modo di valutare con attenzione i manoscritti ricevuti e dare risposta sia in caso di esito positivo che negativo”, sensibile a qualunque incrinatura della voce, all’entusiasmo o all’aplomb con il quale viene salutato, pronto (carta e penna alla mano) a scrivere il nome della persona con cui ha parlato per poi ripercorrere in una mail mandata “all’attenzione del comitato editoriale” tutto il contenuto della telefonata.

Ecco, il dramma esistenziale.

Che siano tre, quattro o sei, l’attesa è sempre snervante, genera facili illusioni o, al contrario, dissipa ogni speranza. Non c’è pace per chi scrive, che solitamente inizia a parlare della stesura del libro usando il condizionale: “Buongiorno, io avrei scritto un libro e pensavo che voi potreste pubblicarlo – e termina con un pirandelliano – se vi pare”.

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L’oggetto di questo post è uno degli aspetti più divertenti del mestiere. In questo modo si “conoscono” persone, lettori il più delle volte, che hanno messo un pezzo di sé in quelle parole scritte che, con umiltà, presentano a un editore. Ed è un privilegio essere i destinatari di queste confessioni romanzesche, che il manoscritto diventi libro oppure no.