Si parla tantissimo di crisi climatica e di cambiamenti climatici che ridisegneranno l’assetto geografico del nostro pianeta. Ma si parla ancora troppo poco di migrazioni climatiche, ovvero dell’uomo costretto a spostarsi a causa del clima che muta.

Di crisi climatica ne parlano i movimenti, le associazioni e anche i capi di stato. A breve ci sarà la Cop26 dove verranno discussi a lungo i provvedimenti per ridurre l’innalzamento della temperatura globale, causa dei maggiori disastri ambientali. Ci auguriamo che, i potenti della terra, discutano anche delle migrazioni climatiche.

L’uomo costretto a migrare

Popolazioni nel mondo sono costrette a migrare, dunque a spostarsi dal loro luogo di origine, a causa di guerre, conflitti civili o difficoltà a procacciarsi acqua e cibo. Un’attenzione particolare a questi ultimi pericolosi fattori che rientrano a pieno diritto nelle migrazioni climatiche. Soprattutto in paesi sottosviluppati come l’Africa, famiglie e popolazioni sono costrette a spostarsi da un luogo all’altro, principalmente interno, per scappare dalla desertificazione che riduce le possibilità di sopravvivenza di adulti e, purtroppo, bambini.

Un problema che deve essere associato alla crisi climatica

Quando si parla di crisi climatica, tendiamo a pensare agli stravolgimenti naturali a cui assistiamo. Anche l’Italia è stata colpita da fenomeni atmosferici sempre più violenti che causano, a volte, anche delle vittime. Questa emergenza da codice rosso, però, deve essere percepita come un pericolo più grande che non riguarda soltanto la natura in sé per sé. L’emergenza deve essere vista come una crisi che si riflette sull’uomo, sull’habitat in cui vive e di conseguenza sulla sua politica ed economia interna. Il problema dei cambiamenti climatici è un problema planetario nel senso più ampio del termine. Là dove si avverte di più la crisi climatica con la mancanza d’acqua ad esempio, la presenza di terreni incolti, desertificati o andati in fumo per gli incendi, l’uomo sarà costretto a compiere una scelta che si rifletterà poi su scelte umanitarie, politiche ed economiche.

I migranti del clima

L’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacciai, i fenomeni naturalistici sempre più violenti, alterano gli ecosistemi. Ciò accade soprattutto in quelle parti del mondo dove l’economia è ancora locale. Il cambiamento del clima è legato dunque non soltanto alle colture, ma anche alla sopravvivenza dei popoli che sono costretti a spostarsi in altre parti del mondo, o a restare nello stesso Stato di appartenenza generando, delle volte, dei veri e propri scontri civili. Si stima che, se la situazione non cambierà, saranno ben 660.000 i richiedenti asilo in più all’anno soltanto in Europa. Numeri che andranno a pesare anche sui Paesi che accoglieranno i nuovi profughi. Ciò a riprova che il cambiamento climatico, che si abbatte con maggiore violenza su un luogo specifico del mondo, avrà un effetto domino sul resto del mondo stesso.

Condizioni di vita e di lavoro inaccettabili

L’uomo si adatta facilmente ai cambiamenti, o almeno è quello che sarà costretto a fare se la situazione non migliorerà. Ma in quelle zone in cui la temperatura e l’umidità salgono, sarà anche difficile restare a lavorare e dunque a sostenersi. In paesi come la Somalia, dove la malnutrizione è causa diretta dell’insufficienza del raccolto, intere famiglie sono costrette a spostarsi altrove alla ricerca di condizioni di vita migliori. Un dramma umano che si lega dunque, con un filo diretto, a quello climatico.

Siamo tutti coinvolti

Le conseguenze ambientali, dunque, diventano conseguenze sociali poiché, nell’arco di qualche anno, come già sta accadendo, il clima minaccioso causerà sempre più la circolazione di un gran numero di persone, e non soltanto in Europa. La migrazione climatica sarà causa di tensioni in tutto il mondo, visto che si sta parlando proprio in queste ore di innalzare muri per bloccare l’avanzata dei migranti. Ci auguriamo soltanto che i leader mondiali trovino nuove strategie, qualora non riuscissero ad arginare il problema ambientale, almeno per gestire le comunità nomadi che scappano non soltanto dalla fame e dalla guerra ma anche da una casa e un territorio che non è in grado di offrire loro più nulla. Un dramma che coinvolge tutti.