L’Associazione SVS DAD, Donna Aiuta Donna, da quasi venticinque anni, offre assistenza legale alle vittime di abusi. Negli ultimi due anni vi è stato un aumento importante delle denunce. Nei primi nove mesi del 2021 le richieste di aiuto al “1522” sono state 12.305 (fonte ISTAT, novembre 2021). Ma effettuata la denuncia, che cosa accade? Come vengono aiutate e supportate le vittime? Abbiamo incontrato la dottoressa Adriana Ciccarone, che da anni ormai offre assistenza legale all’interno di SVS DAD.
Avvocata Ciccarone che cos’è l’Associazione SVS DAD?
SVS DAD, Donna Aiuta Donna, è una onlus privata nata circa venticinque anni fa con l’intento di fornire un sostegno legale alle donne e ai minori vittime di violenza e maltrattamenti. L’associazione è stata voluta fortemente dalla dottoressa Alessandra Kusterman, che già dirige il centro antiviolenza pubblico interno alla clinica Mangiagalli di Milano, SVSeD – Soccorso Violenza Sessuale e Domestica.
SVS DAD e SVSeD. Quali le differenze.
SVS DAD, appunto, fornisce assistenza legale, civile e penale, a tutte le vittime che ne hanno bisogno. Mentre SVSeD accoglie in ospedale le donne che hanno subito violenza e/o maltrattamenti e mette loro a disposizione, oltre che medici ginecologi, medici legali, neuropsichiatri infantili, psichiatri, ostetriche, psicologhe e assistenti sociali.
Quindi SVS DAD ha nel suo organico legali che offrono la loro consulenza in maniera del tutto gratuita?
Sì, all’inizio vi era solo l’ambito penalistico, poi è stata introdotta anche la sezione civilistica. Questa necessaria soprattutto quando nei contenziosi sono coinvolti dei minori, oltre a essere necessaria nel caso in cui una coppia decida di separarsi. Siamo una squadra ben rodata e le due realtà lavorano in perfetta sinergia. Il primo incontro di solito si svolge con la presenza di entrambi gli avvocati, così che la vittima possa comprendere sino in fondo chi si occuperà di cosa e in che modo e non sia costretta a ripetere più volte il suo racconto, riportando a galla traumi spesso non ancora pienamente elaborati. Questo approccio è molto utile. Noi avvocati riusciamo a coordinarci meglio e la vittima si sentirà più tutelata avendo un quadro completo di tutta la situazione. SVS DAD offre anche un supporto per il collocamento lavorativo, per un piccolo aiuto economico nell’emergenza e per le altre esigenze che si presentano nel percorso di uscita dalla violenza.
Lei, dottoressa Ciccarone, è un’avvocata civilista.
Come civilista mi occupo di tutte le questioni legate all’eventuale istanza di separazione sia per coppie coniugate che per coppie di fatto. Gestisco la parte economica, mai banale né tantomeno secondaria. Ci sono donne che non hanno una propria autonomia e proprio questo spesso le spinge a non denunciare. Mi occupo della tutela dei minori, che comporta un lavoro sinergico quindi anche con il tribunale dei minori. In seguito a denunce di maltrattamenti, laddove ci siano minori vittime di violenza assistita, si apre un procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni che svolge un ruolo di tutela per i minori e dove spesso viene avviata un’indagine sulla capacità genitoriale di entrambi i genitori.
Ma questo tipo di procedimento non potrebbe essere un’arma contro la vittima che ha sporto denuncia e che si rivolge a voi per avere un supporto?
Apparentemente potrebbe sembrare così, ma in realtà la questione è molto più complessa. Le donne vittime di maltrattamenti, come ormai ben sappiamo, quasi mai denunciano tempestivamente il maltrattante. I fattori sono molteplici: minacce psicologiche, e non solo, di portare via i figli, ma anche di non avere più un supporto economico. Capita anche che vi sia una sorta di pentimento da parte del maltrattante. La vittima, spesso ambivalente invece, tende a minimizzare i fatti convincendosi che sicuramente quella sarà l’ultima volta. Per un po’ potrà essere effettivamente così – le così dette lune di miele. Noi rappresentiamo tutto ciò al tribunale dei minori, in modo da sostenere la vittima, aiutandola a far valere le sue ragioni di madre che non ha avuto la forza di denunciare prima.
Come arrivano da voi le vittime? Sono direttamente segnalate dall’ospedale?
Noi legali offriamo la nostra tutela legale a donne che ci vengono segnalate dall’ospedale. Abbiamo anche segnalazioni di abusi su uomini, una percentuale molto bassa, di cui noi comunque ci facciamo carico. La nostra presenza in sede è organizzata su turni, civilisti e penalisti. Fissiamo di comune accordo il primo incontro gratuito, così da essere presenti entrambi in modo da offrire alla vittima un’informazione su quelli che sono i suoi diritti. Il nostro è un approccio dedicato, basato sull’ascolto non giudicante che presuppone una competenza tecnica specifica e un’attenzione etica e relazionale.
Le vittime sono obbligate a incontrarvi oppure possono decidere se avere un supporto legale o farne a meno.
Le vittime decidono in piena autonomia, anzi sono loro stesse spesso a farne richiesta. L’ospedale che le accoglie, dopo un primo screening, fornisce loro l’opportunità di poter parlare con noi.
Questo è molto importante perché di fatto quando una vittima si presenta in ospedale, l’SVSeD, che è un servizio pubblico, deve immediatamente segnalare l’accaduto alle autorità competenti: procura, tribunale ordinario e se vi sono minori coinvolti anche tribunale dei minori.
La vittima di tutto questo non ha idea né percezione. Non sa quali siano i suoi diritti e una consulenza legale e un primo incontro con noi le aiuta a capire come si procederà, quali saranno i passi successivi. L’assistenza legale civile, poi, copre un ulteriore ruolo importante nel momento in cui la vittima non ha intenzione di denunciare il maltrattante, ma vorrebbe avviare procedimenti di allontanamento dallo stesso oppure aprire l’iter di separazione.
Quante donne con cui avete un primo incontro decidono di avvalersi della vostra consulenza.
Purtroppo ancora non sono la totalità, la paura spesso prevale, soprattutto se sono coinvolti dei minori. Molte ritrattano anche quando il reato è perseguibile d’ufficio e il procedimento penale segue la sua strada. In questi ultimi anni c’è sicuramente una maggiore presa di coscienza anche tra le donne straniere, che se ben accompagnate e seguite riescono a uscire da situazioni di completa sottomissione al proprio compagno. Ma in generale le resistenze e le paure sono ancora molto forti. La paura, la dipendenza economica, l’isolamento, la mancanza di alloggio, la riprovazione sociale spesso da parte della stessa famiglia di origine, sono alcuni dei numerosi fattori che rendono difficile per le donne interrompere il ciclo della violenza.
Quanto dura l’iter giudiziario dal momento della denuncia.
La questione è molto complessa e dipende da chi sono i soggetti coinvolti. L’iter di separazione dura di media circa tre anni; se vi è già una sentenza penale di condanna i tempi si velocizzano. Quando è coinvolto il tribunale dei minori, invece, i tempi si allungano, la tutela dei minori viene messa al primo posto.
Quando vi sono poi due tribunali coinvolti, bisogna capire quale procedimento è stato radicato prima. Se parte il giudizio di separazione dinanzi al tribunale ordinario, allora è questo tribunale che ha competenza su tutte le istanze, comprese quelle relative all’affidamento dei minori. Se viene radicato prima il procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni è quest’ultimo a pronunciarsi sull’affidamento dei minori e sulla capacità genitoriale, mentre il tribunale ordinario può pronunciare sulle istanze economiche.
La proposta di riforma del diritto di famiglia, si propone di superare queste lungaggini e questa pluralità di procedimenti con l’apertura di un unico tribunale della famiglia, che dovrebbe occuparsi di ogni aspetto. Ma siamo ancora parecchio lontani: troppi gli aspetti non ancora analizzati e molti gli ambiti di cui si occupa il tribunale dei minori che il tribunale della famiglia non ha ancora contemplato: le adozioni, per esempio.
Quando mi parla di minori coinvolti in maltrattamenti si riferisce alla così detta violenza assistita.
Sì, è la violenza indiretta, ma a volte anche diretta, che subiscono i minori da parte del maltrattante della propria madre. Finalmente la violenza assistita è stata riconosciuta come una forma di reato a tutti gli effetti sia a livello penale sia a livello civile. Ora è possibile richiedere anche un risarcimento economico.
Chi sono le vittime dei maltrattamenti, degli abusi?
Tutte noi possiamo essere vittime. Certo, lo status sociale, economico, culturale incidono, ma non bisogna rimanere legati a certi stereotipi. Le donne, in generale, fanno fatica a riconoscere e prendere coscienza dei maltrattamenti. Sono molte le donne italiane, così come anche le straniere, con un aumento fisiologico di queste ultime essendovi un aumento della popolazione straniera in generale.
Nel loro caso inoltre gioca un ruolo preponderante l’aspetto culturale. Molte quelle che subiscono perché la loro cultura presuppone la sottomissione totale all’uomo. Questo comporta un passaggio in più che loro devono fare: comprendere che le vessazioni che subiscono sono violenze vere e proprie, dalle quali si può uscire. Raggiunta questa consapevolezza per certi aspetti divengono ancora più determinate e decise a trovare una loro autonomia.
Che violenze subiscono le donne.
Violenze fisiche accompagnate da violenze psicologiche; talvolta solo violenze psicologiche, molto pericolose e più sotterranee, perché la donna subisce e ha paura di non essere creduta non essendoci prove fisiche del maltrattamento, ma solo la sua parola. Ci sono anche delle violenze fisiche non visibili: tirare per i capelli per esempio. I maltrattanti non sono tutti uguali, ma in genere sanno molto bene come agire senza essere scoperti e spesso le loro azioni sono premeditate.
Tra le violenze psicologiche possiamo annoverare anche il ricatto economico?
Certo, sono molte le donne che subiscono per una mera questione di dipendenza economica. Queste vittime non hanno autonomia economica e dunque sono costrette a subire perché non saprebbero cosa fare e dove andare. SVS DAD ormai è attiva anche su questo fronte: cerchiamo di aiutare le donne a reinserirsi nel mondo del lavoro. Se sono donne straniere cerchiamo di aiutarle anche a seguire corsi di italiano; aiutiamo le donne a trovare corsi propedeutici, le aiutiamo nella stesura dei curricula, nella ricerca di un lavoro.
Dato che alcune violenze non sono visibili fisicamente, le vittime possono ugualmente passare dall’ospedale, così da denunciare i fatti?
Devono! Le violenze psicologiche non si vedono e provocano spesso traumi profondi, ma ormai tutti i centri antiviolenza hanno equipe di psicologi preposti a capire che cosa stanno subendo le vittime; inoltre, spesso il maltrattante può lasciare tracce anche attraverso messaggi registrati nelle segreterie telefoniche, nelle chat: sono tutte prove molto importanti che possono aiutare le vittime.
Che cosa è bene che le vittime tengano, così da incastrare il maltrattante.
Mai cestinare foto, messaggi scritti e vocali inviati dal maltrattante. Sarebbe bene cercare di tenere anche un diario, nel quale riportare tutto ciò che accade. Importante, se si riesce, poter parlare di ciò che sta accadendo con qualcuno, confidare a un amico/a, ma anche un estraneo alla famiglia. Oppure andare direttamente, se si è in grado di farlo, dalle forze dell’ordine.
Le forze dell’ordine spesso appaiono come istituzioni non in grado di capire quando vi è un caso di maltrattamenti, tanto che anche sui giornali è capitato di leggere di poliziotti o carabinieri che davanti a una presunta vittima abbiano sminuito l’accaduto consigliando alla stessa di tornare a casa e di risolvere la cosa con il marito/compagno. Non vi sono nuclei formati appositamente per far fronte a questi episodi?
Posso dire con certezza che a Milano, la città in cui esercito, le forze dell’ordine sono molto preparate e formate. Vi sono nuclei appositamente formati, come la squadra presente alla Questura di via Fatebenefratelli. In generale sono stati organizzati molti corsi di aggiornamento in tal senso. Milano e il suo hinterland comprendono non poche persone e dunque i casi di maltrattamenti in percentuale rispetto ad altre città sono più alti. Da qui è scaturita la necessità di essere preparati e pronti su ogni fronte: medico, legale, sicurezza. Detto questo una buona preparazione da parte di tutte le forze in campo in ogni realtà territoriale sarebbe un enorme aiuto per le tante vittime che il più delle volte si sentono sole e indifese.
Da qualche anno a questa parte le sezioni di cronaca nera dei giornali riportano spesso casi di femminicidio. La troppa informazione invece di sortire un unico effetto – una maggior presa di coscienza del problema e dunque una maggior sensibilizzazione a tutti i livelli – non potrebbe essere anche un detonatore e fare da cassa di risonanza per i maltrattanti?
La questione dell’informazione non è un tema semplice. Parlarne, far emergere i femminicidi e tutto ciò che sta dietro di essi è giusto, perché solo così si può prendere coscienza di un fenomeno che troppo spesso è stato delegittimato e fortemente sottovalutato.
Il problema forse non è tanto nel parlarne, ma di come parlarne. Ancora frequentemente si legge di “raptus della gelosia”, di “amore malato”; oppure si parte dal presupposto che la vittima in qualche modo “se la sia andata a cercare”, per una frase, un abbigliamento sbagliato.
Forse è in questo che dovremmo cercare di migliorare: non si può e non si deve colpevolizzare e in alcuni casi rendere le donne vittime due volte per ciò che hanno subito dal maltrattante prima e dalle istituzioni poi, la così detta vittimizzazione secondaria. Il linguaggio, in qualsiasi circostanza ci si trovi, ha un’importanza fondamentale; in casi di femminicidio ancora di più. Sarebbe bene ricordarlo sempre.
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