Le origini della Giornata Internazionale della Donna sono controverse e per tanti anni si è attribuita la ricorrenza a un incendio scoppiato nel 1908 nella fabbrica “Cotton” di New York dove il proprietario avrebbe rinchiuso più di un centinaio di operaie che morirono bruciate. Ma la verità intorno all’istituzione di questa giornata è più articolata.
L’8 marzo è in realtà una data convenzionale che ricorda vari eventi collegati alle lotte di emancipazione delle donne.
E per i loro diritti di lavoratrici in varie parti del mondo. Dagli Stati Uniti alla Russia, all’incirca dal 1907 in poi. Tra questi eventi c’è la storia delle 126 operaie morte nel rogo della Triangle Waist di New York, il 25 marzo 1911.
Il 25 marzo 1911 centoventisei operaie rimasero uccise nell’incendio della Triangle Waist di New York, la “fabbrica delle camicette bianche”: trentotto italiane, ottantotto tra russe, americane, ungheresi e austriache. A partire dalle precedenti indagini condotte da Michail Hirsch e Leon Stein, la siciliana Ester Rizzo è riuscita a trasformare questi numeri nelle concrete sembianze di quelle donne, diverse per età, provenienza geografica e religione, ma accomunate dal coraggio dell’espatrio, dalla condizione di operaie in terra straniera, e purtroppo anche della stessa morte. E approda così alla stesura del libro “Camicette bianche” (Narrativa Editore, 2014).
Ester Rizzo ha ricostruito il profilo delle protagoniste di quella drammatica vicenda.
A partire dagli atti di nascita. Ha visitato i loro paesi di origine. Ha seguito il loro viaggio verso gli Stati Uniti. Fino a un attimo prima della tragedia. Con l’intento di riportare a galla un episodio gravissimo della nostra storia, in cui confluiscono diritti dei lavoratori e diritti di donne. Le loro piccole storie s’intrecciano alle storie più grandi dell’emigrazione e delle lotte per le conquiste dei diritti dei lavoratori.
«Non erano balle preziose di stoffe quelle che i passanti videro volare dall’Asch Building. Erano i corpi delle operaie della Triangle Waist Company. Cadevano giù a d noecine, alcune con i vestiti e i capelli in fiamme. Dissero che assomigliavano a delle comete.»
Tuttavia si trattava delle donne che persero la vita in quello che si può considerare ancora il peggiore incendio scoppiato in una fabbrica nella storia dell’America capitalista. L’Asch Building si ergeva nel cuore di New York City, in Washington Place, dove all’ottavo, nono e decimo piano Max Blanck e Isaac Harris avevano la loro fabbrica. Erano due migranti russi che già nel 1908 facevano un fatturato di milioni di dollari con la loro produzione di mille camicie al giorno. Confezionavano le cosiddette “shirtwests”: camicette a vita stretta e a maniche a sbuffo molto di moda in quel periodo. Da qui il soprannome: “i re della camicetta”.
Quella tragica mattina, erano a lavoro oltre cinquecento operaie. Alle ore 7 in punto, del 25 marzo 1911 entrarono in fabbrica. La maggior parte erano immigrate russe e italiane, alcune avevano soltanto tredici o quattordici anni.
Ciascuno aveva preso il proprio posto come di consuetudine, lungo la fila di macchine da cucire meccaniche, cinque volte più veloci di quelle a pedale. Tutte curve sul proprio lavoro, attente e concentrate, circondate da modelli di carta velina, scarti di tessuto e libre di cotone sul pavimento. Poche fortunate potevano lavorare vicino alle finestre e godere della luce del sole, le altre invece dovevano accontentarsi della luce delle lampade a gas. Sembrava una giornata come tante altre. Gli stessi ritmi, la solita routine lavorativa, solo uno spuntino veloce, e poi finalmente alle 16.30 si andava verso la fine del lavoro. Uscendo, erano sottoposte al rito del controllo delle loro borse da parte dei caposquadra. Bisognava constatare che le operaie non avessero rubato un rocchetto di filo, piccole forbici o un pezzetto di merletto.
Tutto accadde in poco tempo. Alcune avevano già preso cappotti e cappelli e conservavano i soldi della paga settimanale, essendo quel giorno sabato. Ma d’improvviso, all’ottavo piano, Eva Harris, sorella di uno dei proprietari, avverte la puzza di bruciato. Volge lo sguardo verso il tavolo, al taglio delle stoffe. E vede le fiamme. In appena una ventina di minuti la tragedia si era consumata: centoquarantasei vittime, tra le quali centoventisei donne. Costrette a operare in un contesto difficile, spesso umiliante, le lavoratrici della Triangle sono state mandate al rogo dall’incuria, dalla superficialità e dall’avidità umana.
L’incendio durò circa mezz’ora, come racconterà il “New York Times”. La folla era inerte a Washington Place, inebetito dall’orrore dei corpi in fiamme che precipitavano nel vuoto. Nell’aria le grida delle donne e i pianti degli uomini. Perfino i vigili del fuoco affermarono di non aver assistito mai a una simile sciagura.
La storia delle operaie perite nell’incendio della Triangle Shirtwaist Company merita di essere ricordata nell’individualità di ciascuna delle vittime, ove è stata possibile l’identificazione certa.
È questo il principio alla base del lavoro di ricerca di Ester Rizzo, che si è sempre occupata di tematiche del mondo femminile, referente per la provincia di Agrigento del “Gruppo Toponomastica Femminile” e responsabile della Commissione Donne, Pari opportunità e Politiche sociali del distretto Sicilia FIDAPA.
L’autrice ha cercato di sottrarre dall’oblio un intero capitolo di storia, per evitare che l’indifferenza lo ricopra di nuova polvere.
Il libro di Ester Rizzo, “Camicette bianche”, non è solo un saggio di divulgazione. Né si tratta di un’opera di propaganda contro le discriminazioni di genere, di lotta femminista e per i diritti delle donne. Nasce essenzialmente da un atto d’amore.
«Amore verso le giovani vite spezzate che trovarono la morte in modo così terribile e quasi del tutto dimenticate.
Amore per i migranti di tutti i tempi e di tutti i mari per ricordare che i confini sono solo delle “invenzioni umane” e che la Terra appartiene a tutti.
Amore per tutte le donne che hanno lottato con tenacia per migliorare il mondo.
Amore per tutti quelli che alimentano la fiamma del ricordo affinché il passato possa servire per migliorare il presente.
Amore per la giustizia ma anche amore per il perdono, affinché l’odio non prevalga mai e non soffochi la nostra umanità.
Amore per tutte le donne ultime fra gli ultimi, vittime di quotidiana violenza e discriminazione.»
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