Artia di Camelot viene spesso definito un retelling della Spada nella roccia e di Artù di Camelot.
Contrariamente a questa definizione, il romanzo di Randall non è assolutamente questo, nello specifico, è un retelling del “mondo arturiano”, in quanto è presente più di un personaggio della celebre leggenda, ma Artia non è Artù al femminile, Artia, infatti, nasce cronologicamente prima di Artù, e d’altronde questa nascita è anche annunciata nel romanzo stesso.
Artia di Camelot ha sedici anni, orfana di entrambi i genitori, viene affidata alle cure dello zio, il quale le vorrebbe imporre di sposare un uomo molto più anziano. Artia si sente una squallida fattrice, una pedina in un mero gioco di alleanze e si rifiuta di sposare l’uomo impostole dallo zio.
La ragazza decide quindi di fuggire in cerca del ragazzo di cui è segretamente innamorata. Inizia così il viaggio di Artia, durante il quale scoprirà misteri e magie e si imbatterà in una spada incastrata in una roccia che cambierà per sempre la sua vita.
Il romanzo è classificabile come fantasy youg adult, ma godibile da tutti gli amanti del genere arturiano.
Personalmente lo definirei anche un romanzo di formazione.
Il punto focale della storia è la ricerca della libertà. Sono espliciti e chiari i rifermenti all’ideologia femminista di emancipazione, in contrasto con la realtà maschilista e patriarcale medievale.
Artia di Camelot non è assolutamente classificabile come “eroina classica” che veste i panni di un cavaliere e combatte come un uomo.
Cecilia Randall ha voluto creare una nuova figura femminile che combatte e ragiona come una donna. Questo è l’aspetto del romanzo che ho apprezzato maggiormente.
La narrazione è al presente e in prima persona, a differenza dei precedenti lavori dell’autrice, e risulta in questo modo più intima, nonostante la stessa Randall ha dichiarato in presentazione di non descrivere mai se stessa attraverso i suoi personaggi.
Un romanzo godibile e un’eroina decisamente originale.
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