Pochi giorni fa, nel mio intento di leggere integralmente alcuni classici, anche e soprattutto quelli dei quali conoscevo già le trame, sono andata a curiosare nella libreria degli ebook.
Ahimè, i classici non sono il mio genere letterario preferito e devo leggerli con concentrazione perché sono quasi sempre scritti in un linguaggio diciamo “aulico”, o comunque tipico della cultura del tempo, spesso con frasi molto lunghe e complesse, se non addirittura “arzigogolate”. A volte, perfino il famoso humor all’inglese mi resta un po’ ostico, anche perché va sempre contestualizzato. Proprio per questo ho deciso di attuare la più ingenua delle strategie: iniziare a leggere dei veri classici sì, ma, tra questi, scegliere prima i più brevi. Ecco il motivo ben poco romantico per cui la scelta è caduta su “Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf.
Questo libro breve, in realtà un saggio che doveva inizialmente chiamarsi “Le donne e il romanzo”, è stato scritto nel 1928, quasi cento anni fa. E’ probabilmente il primo manifesto esplicito del movimento femminista, che si interroga sul perché le madri non riescano mai ad accumulare un proprio patrimonio non solo economico, ma anche culturale. Perché in così poche sono istruite, lavorano (fuori casa), sono ricche? Le risposte e le riflessioni sono semplici: solo pochi anni prima, nell’Inghilterra del tempo, le donne potevano detenere un patrimonio (prima era completamente gestito prima dal padre poi dal marito), avere accesso all’Università, votare. I più basilari diritti, per le donne, sono insomma poco più che centenari, in Inghilterra (in Italia essi sono ben più giovani!).
È normale quindi capire perché non si trovino eccellenze femminili in molti campi, almeno fino ad una certa epoca. La donna non era incoraggiata a leggere, a scrivere, a studiare, a capire il mondo finanziario, né quello della scienza o sportivo. Tutti questi argomenti erano appannaggio dei fratelli, piuttosto, anche quando esse dimostravano spiccate e migliori doti naturali. Quasi sempre queste venivano troncate sul nascere, interrotte piuttosto dall’organizzazione di un thè, da un rammendo di calzini, dalla preparazione di un pasto o dall’accudimento dei parenti più giovani o anziani.
La parte iniziale del libro è un’introduzione alla vita del tempo, per una giovane donna. È Virginia stessa che ci racconta in prima persona la sua ricerca sul perché – almeno fino al 1928 – esistano così poche donne scrittrici al mondo. Le motivazioni partono da molto lontano ed è ovvio che si faccia perno anche sulla maternità in quanto prerogativa esclusivamente femminile. Siamo state noi le genitrici di tanti scienziati, ideatori, scopritori, geni. Li abbiamo concepiti, partoriti, allattati, allevati, curati, guariti, sfamati in un processo lungo decenni e spesso ripetuto per un numero alto di bambini. Nulla di male in tutto ciò, se non la perdita di grandissima parte di tempo, utile magari ad approfondire una curiosità, ad allenare un talento, a mettere in pratica qualche colpo di genio, qualche ispirazione.
È proprio a questo punto che viene fuori il concetto, sia fisico che metaforico, della stanza. La donna non aveva una stanza tutta per sé. La sua stanza era il salotto, dove era costantemente interrotta dalle faccende di casa, dall’intrattenimento degli ospiti, dalle richieste dei figli e del marito. Le sue stanze erano le stanze di tutti, quelle comuni, quelle dei pasti, della convivialità. Le stanze del marito invece erano quasi sempre gli studi, dove poter stare soli in silenzio a riflettere, ed erano quasi sempre munite di chiavi. Che bella immagine per rendere l’idea del bisogno e della necessità di un po’ di tempo per sé! Un stanza tutta per sé. Almeno per qualche momento, da poter chiudere a chiave. Dove poter dare respiro agli affanni, poter riordinare le idee. Ascoltare musica o scriverla o realizzarla, leggere, scrivere, studiare o anche semplicemente dove riposare in santa pace, senza interruzioni.
Forse proprio questo è il regalo più bello, ancora oggi, per una donna che è anche mamma e lavoratrice, sia fuori che dentro casa. Del tempo tutto per sé, uno spazio intimo dove ricaricarsi e ricrearsi. Dove poter accendere quella lampadina di una delle tante idee geniali non ancora realizzate, non ancora pensate. O anche, soltanto, dove tener spente tutte le luci e chiudere gli occhi, qualche minuto. Una stanza del riposo fisico e mentale. Perché, ancora oggi, ne abbiamo tanto bisogno.
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