Il 26 Ottobre di 150 anni fa nasceva a Roma Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, in arte Trilussa.
Questo nome d’arte non è altro che l’anagramma del suo cognome e lo ha reso celebre per i suoi sonetti e le poesie in dialetto romanesco.

Trilussa fu il terzo grande poeta dialettale romano comparso sulla scena dall’Ottocento in poi, dopo Belli e Pascarella.

Alla Roma “popolana” sostituì quella borghese, alla satira storica l’umorismo della cronaca quotidiana.

LA VITA

Il padre di Trilussa, Vincenzo, era un cameriere originario di Albano Laziale e la madre, Carlotta Poldi, una sarta bolognese.

Un anno dopo la nascita di Carlo, che era il secondogenito della famiglia, la sorella Elisabetta morì alla tenera età di tre anni a causa di una difterite. Due anni dopo, il 1º aprile 1874, morì anche il padre Vincenzo.

 Come spesso accade nella vita, il successo è dato anche da un pizzico di fortuna e da una serie di incontri fortuiti e fortunati. Carlotta Poldi, dopo la morte del marito, decise di trasferirsi con il bambino nel palazzo del marchese Ermenegildo Del Cinque, padrino di Carlo. Proprio alla figura del marchese Del Cinque Trilussa dovrà la conoscenza di Filippo Chiappini, poeta romanesco seguace del famoso Belli.

Il talento delle persone non sempre coincide con una brillante carriera scolastica. Anche per Trilussa fu così. Nel 1877 Carlotta iscrisse suo figlio alle scuole municipali dove Carlo frequentò la prima e la seconda elementare. Nell’ottobre 1880 sostenne l’esame per essere ammesso al Collegio Poli dei Fratelli delle scuole cristiane, ma, avendo sbagliato una sottrazione, fu costretto a ripetere il secondo anno. A causa della sua indolenza e dell’impegno minimo dovette ripetere anche la terza classe per poi, nel 1886, abbandonare definitivamente gli studi formali.

Trilussa conosceva tutti i dirigenti della Lazio ed era amico di Giggi Zanazzo e di Nino Ilari, noti poeti e commediografi che frequentavano assiduamente la società biancoceleste. Sandro Ciotti, calciatore delle giovanili della Lazio, tifoso della medesima e futuro radiocronista sportivo nato a Roma, avrebbe avuto come padrino di battesimo proprio Trilussa.

Nel 1887, alla giovane età di sedici anni, Carlo presentò a Giggi Zanazzo, poeta dialettale direttore del Rugantino, un suo componimento chiedendone la pubblicazione. Il sonetto, intitolato “L’invenzione della stampa”, partendo dall’invenzione di Johann Gutenberg, si concludeva  con una critica alla stampa dell’epoca.

Zanazzo accettò di pubblicarlo e così il sonetto apparve nell’edizione del 30 ottobre 1887 firmato in calce con lo pseudonimo Trilussa. Da questa prima pubblicazione iniziò un’assidua collaborazione con il periodico romano, grazie anche al sostegno e all’incitamento di Edoardo Perino, editore del Rugantino, che porterà il giovane Trilussa a pubblicare in soli due anni, tra il 1887 e il 1889, cinquanta poesie e quarantuno prose.

LE PRIME PUBBLICAZIONI

Tra le tante poesie stampate tra le pagine del Rugantino, riscossero un successo clamoroso le Stelle de Roma, una serie di circa trenta madrigali che omaggiavano alcune delle più belle fanciulle di Roma. Esse costituiranno la sua prima raccolta di poesie pubblicata nel 1889 da Cerroni e Solaro.

Quest’improvvisa popolarità portò con sé le critiche dei belliani, che lo attaccarono per i temi trattati e lo accusarono di utilizzare un romanesco troppo amalgamato all’italiano.

Trilussa rimase fortemente legato all’editore Perino con il quale pubblicò, nel 1890, l’almanacco Er Mago de Bborgo. Lunario pe’ ‘r 1890. Trilussa scrive per l’almanacco un sonetto per ogni mese dell’anno, con in aggiunta un componimento di chiusura e alcune prose in romanesco.

COLLABORAZIONI GIORNALISTICHE

Nel frattempo il poeta romano collaborò con vari periodici pubblicando poesie e prose su Il Ficcanaso. Almanacco popolare con caricature per l’anno 1890, Il Cicerone e La Frusta. Ma la collaborazione più importante giunse nel 1891, quando iniziò a scrivere per il Don Chisciotte della Mancia, un quotidiano di diffusione nazionale, alternando articoli satirici che prendevano di mira la politica di Crispi e le cronache cittadine. La produzione sul giornale si infittì nel 1893, quando il quotidiano cambiò denominazione diventando Il Don Chisciotte di Roma, e Trilussa, a ventidue anni, entrò a far parte del comitato redazionale del giornale.

Fu in questo periodo che Trilussa preparò la pubblicazione del suo secondo volume di poesie, Quaranta sonetti romaneschi, una raccolta che, a dispetto del nome, contiene quarantuno sonetti, selezionati prevalentemente dalle sue recenti pubblicazioni; la raccolta, pubblicata nel 1894, segnò l’inizio della collaborazione tra Trilussa e l’editore romano Voghera, rapporto che si prolungherà per i successivi venticinque anni.

IL TRILUSSA FAVOLISTA

Tra il 1885 e il 1899 nasce il “Trilussa favolista”: dodici favole del poeta comparvero sul Don Chisciotte; la prima tra queste fu “La Cecala e la Formica”, pubblicata il 29 novembre 1895 che, oltre ad essere la prima favola scritta da Trilussa, è anche la prima delle cosiddette “favole rimodernate”, che Diego De Miranda, il redattore della rubrica Tra piume e strascichi in cui la favola fu pubblicata, annunciò così concludendo:

«… E ha avuto (Trilussa) un’idea, fra l’altro, arguta e geniale: quella di rifare le favole antiche di Esopo per metterci la morale corrente».
Una delle più belle e famose è certamente questa:  

La tartaruga
Mentre una notte se n’annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo più lungo
de la gamba e cascò giù
cò la casa vortata sottoinsù.
Un rospo je strillò: “Scema che sei!
Queste sò scappatelle che costeno la pelle…”
“lo sò” rispose lei “ma prima de morì,
vedo le stelle”.
   


UNA VICENDA CURIOSA
Una raccolta di Trilussa che vedrà la luce solamente nel 1898, stampata presso la Tipografia Folchetto col titolo “Altri sonetti. Preceduti da una lettera di Isacco di David Spizzichino, strozzino”, ha origine da un episodio che i biografi considerano reale: Trilussa, in difficoltà economiche, chiese un prestito a Isacco di David Spizzichino, un usuraio, garantendogli di restituirlo dopo la pubblicazione del suo successivo libro. Ma il libro tardò ad essere pubblicato, e Isacco mandò una lettera perentoria al poeta; Trilussa decise di riportare la vicenda con l’allegria e l’ironia che lo contraddistinsero sempre: inserì nella raccolta una dedica al suo usuraio e la lettera intimidatoria a mo’ di prefazione dell’opera.  

Nel frattempo il poeta romano iniziò a declamare i suoi versi in pubblico nei circoli culturali, nei teatri, nei salotti aristocratici e nei caffè, luoghi da lui prediletti e simbolo della Belle Époque
Sulla scia del successo iniziò a frequentare i “salotti” nel ruolo di poeta-commentatore del fatto del giorno. Fu quindi una sorta di precursore dei moderni “commentatori” ospiti dei tanti attuali talk show televisivi.  

RAPPORTI CON IL FASCISMO
Durante il Ventennio fascista Trilussa evitò di prendere la tessera del Partito, ma preferì definirsi un “non fascista” piuttosto che un “antifascista”. Pur facendo satira politica, i suoi rapporti con il regime furono sempre improntati sul reciproco rispetto.  


ALTRE CURIOSITA’
-Nel 1922 la Arnoldo Mondadori Editore iniziò la pubblicazione di tutte le raccolte di Trilussa;
-Carlo Alberto Salustri fu membro della Massoneria;
-Era alto quasi due metri, come testimoniano le foto a corredo della notizia della sua morte, pubblicate dal settimanale “Epoca” nel 1950;
-Fu padrino di battesimo del giornalista e radiocronista sportivo Sandro Ciotti;
-Il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nominò Trilussa senatore a vita il 1º dicembre 1950, venti giorni prima che morisse (si legge in uno dei primi numeri di Epoca dedicato, nel 1950, alla notizia del suo decesso, che il poeta, già da tempo malato e presago della fine imminente avesse commentato così la sua nomina: “M’hanno nominato senatore a morte”);
-Trilussa, benché settantanovenne al momento del trapasso, si ostinava con civetteria d’altri tempi a dichiarare di avere settantatré anni;
-È sepolto nello storico Cimitero del Verano in Roma, dietro il muro del Pincetto sulla rampa carrozzabile, nella seconda curva. Sulla sua tomba in marmo è scolpito un libro, sul quale è incisa la poesia Felicità:  

C’è un’ape che se posa
su un bottone de rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.
 

-La raccolta di Tutte le poesie uscì postuma, nel 1951, a cura di Pietro Pancrazi, e con disegni dell’autore stesso.  


Morì il 21 dicembre, lo stesso giorno di Giuseppe Gioachino Belli, altro poeta romanesco, e di Giovanni Boccaccio. Era il 1950.

Nel noto sonetto Er cane moralista, all’iniziale comportamento censorio e critico verso comportamenti riprovevoli, segue un finale in cui l’accomodamento e il reciproco interesse richiamano situazioni non rare nei comportamenti umani. Qui la riportiamo:

Er cane moralista
Più che de prescia er Gatto
agguantò la bistecca de filetto
che fumava in un piatto,
e scappò, come un furmine, sur tetto.
Lì se fermò, posò la refurtiva
e la guardò contento e soddisfatto.
Però s’accorse che nun era solo
perché er Cagnolo der padrone stesso,
vista la scena, j’era corso appresso
e lo stava a guarda da un muricciolo.
A un certo punto, infatti, arzò la testa
e disse ar Micio: — Quanto me dispiace!
Chi se pensava mai ch’eri capace
d’un’azzionaccia indegna come questa?
Nun sai che nun bisogna
approfittasse de la robba artrui?
Hai fregato er padrone! propio lui
che te tiè drento casa! Che vergogna!
Nun sai che la bistecca ch’hai rubbato
peserà mezzo chilo a ditte poco?
Pare quasi impossibbile ch’er coco
nun te ciabbia acchiappato!
Chi t’ha visto?—Nessuno…
— E er padrone? — Nemmeno…
— Allora, — dice — armeno
famo metà per uno!
 

Se volete farvi delle belle risate, andate a leggervi (o a rileggervi) la famosissima e irriverente “L’uccello in chiesa”.  

Infine, mi piace concludere questo ricordo di Trilussa con un sonetto che ci invita a guardare sempre in alto, sempre al meglio, né con invidia né con rabbia, ma con la forza e la volontà di fare davvero quel salto di qualità utile principalmente a noi stessi, di esempio per i nostri figli, che riguarda la nostra coscienza e la nostra onestà, oltre che la Bellezza della vita.

L’uguaglianza
Fissato ne l’idea de l’uguajanza
un Gallo scrisse all’Aquila: – Compagna,
siccome te ne stai su la montagna
bisogna che abbolimo ‘sta distanza:
perché nun è né giusto né civile
ch’io stia fra la monnezza d’un cortile,
ma sarebbe più commodo e più bello
de vive ner medesimo livello.-
L’Aquila je rispose: – Caro mio,
accetto volentieri la proposta:
volemo fa’ amicizzia? So’ disposta:
ma nun pretenne che m’abbassi io.
Se te senti la forza necessaria
spalanca l’ale e viettene per aria:
se nun t’abbasta l’anima de fallo
io seguito a fa’ l’Aquila e tu er Gallo.