“Due Vite” di Emanuele Trevi è appena stato proclamato Premio Strega 2021.

Breve, asciutto, eppure ricco di sentimento nella sua cronistoria, “Due Vite” forse non è un libro per tutti.

Non è un saggio o un libro di narrativa in senso stretto, con una sua trama, ma un ricordo. Il ricordo di due Amici che non ci sono più – nel senso fisico del termine – ma che ci sono anche troppo, anche più dell’autore stesso, in certi frangenti.

Rocco Carbone e Pia Pera vivono e vivranno per sempre attraverso questo tributo e memoriale.

E sebbene si parli, infine, tranquillamente, delle loro morti, rispettivamente un incidente in motorino e una malattia terribile, la sclerosi, il libro parla molto, soprattutto, di Vita.

Vita inquieta, cercata, vissuta, sopportata, tormentata, appassionata, esasperata. Due caratteri all’apparenza opposti: il “buco nero” di Rocco, il giardino di Pia. E, per tutti, sullo sfondo e all’inizio del percorso, senza alcuna distinzione di sesso, etnia, estrazione sociale, l’ “Origine del mondo”. Quel quadro che vidi a Parigi accanto a mia cugina e che, appurato dopo qualche minuto di sconcerto di cosa si trattasse, destò in noi risatine soffocate da ragazzine spensierate e pudiche.

Il bisogno di amore e approvazione di Rocco – e quel modo particolare di chiederlo, quella sua insoddisfazione di fondo – e il ritorno alla natura di Pia, chissà se appartengono a tutti, almeno un po’, a un certo punto della vita.

INFORMAZIONI SUL LIBRO “Due vite” di Emanuele Trevi

Editore: Neri Pozza

Collana: Piccola biblioteca Neri Pozza

Anno edizione: 2020

In commercio dal: 28 maggio 2020

Pagine: 128 p., Brossura

CONSIGLI DI LETTURA proposti nel libro stesso

“L’assedio”, Rocco Carbone, Feltrinelli, 1998;

 “Al giardino ancora non l’ho detto” , Pia Pera, Ponte alle Grazie, 2016.

CITAZIONI

“Ma questa costellazione di fatti positivi, o perlomeno normali, si disponeva attorno a una specie di buco nero, capace di assorbire al suo interno ogni energia vitale, trasformandola in un greve, inerte, disperato fastidio di esistere, nel quale il futuro gli appariva come l’irrimediabile ripetizione di un presente insopportabile. Lo assalivano sciami di pensieri, come le cavallette della maledizione biblica, di cui non si riusciva a liberare in nessun modo. Molto precocemente, il sonno gli era diventato difficilissimo, e a vent’anni aveva gli orari di quei vecchi che stanno già in piedi alle cinque di mattina. Per quanto si spingesse indietro nel passato, la memoria non riusciva a catturare un frammento di benessere che non fosse insidiato, accerchiato, contaminato da quell’oscura potenza”.

“Un giorno di giugno di qualche anno fa un uomo che diceva di amarmi osservò, con tono di rimprovero, che zoppicavo”.

“Il verde scuro dei sempreverdi, tanto amato da Pia, prendeva il sopravvento nel teatro di ombre del crepuscolo. Un odore misto di resina, terra smossa ed erba tagliata penetrava nella stanza. E se lei non poteva più curarsi di lui, era il giardino adesso a prendersi cura di lei. Proprio così: la aspettava, non come si dice che i morti aspettino i vivi, semmai come un veicolo pronto davanti alla porta, un tappeto volante, una carrozza di Cenerentola, un cavallo alato che conosce la strada che conduce alla sorgente della vita, all’origine del mondo”.