“Sono abitata da un grido. Di notte esce svolazzando in cerca, con i suoi uncini, di qualcosa da amare. Mi terrorizza questa cosa scura che dorme in me; tutto il giorno ne sento il tacito rivoltarsi piumato, la malignità”. Questi brevi ma intensi e angoscianti versi sono scaturiti dalla penna di Sylvia Plath, poetessa e scrittrice statunitense, che oggi avrebbe compiuto 90 anni.

Considerata una delle voci più potenti ed emblematiche del panorama letterario americano del ‘900, Sylvia Plath nasce a Boston il 27 ottobre del 1932. La giovane Sylvia dimostra un talento precoce per la poesia e la scrittura tant’è che pubblica il suo primo componimento all’età di otto anni.

Sylvia è una studentessa molto brillante e, grazie al suo talento, riceve numerosi premi. Uno di questi la porta fino a New York in qualità di ospite di una importante rivista del tempo. Tuttavia, la vita frenetica della Grande Mela e l’ipocrisia che vi riscontra hanno effetti devastanti sul suo già fragile equilibrio psichico.

L’equilibrio psichico molto precario la porterà nella sua vita adulta a soffrire di violenti attacchi di depressione intervallati da periodi di forte vitalità.

Siamo nel 1950 e Sylvia entra allo Smith College grazie a una borsa di studio. Ma durante il penultimo anno la depressione tocca il suo culmine e ciò la porterà al primo tentativo di suicidio. Inizia un percorso di cure psichiatriche alle quali seguono i primi ricoveri in manicomio con tanto di pratiche abominevoli come l’elettroshock. Alla fine le viene diagnosticato un disturbo bipolare che, tuttavia, non le impedisce di riprendere gli studi e di laurearsi con lode con una tesi su Dostoevskij nel 1955.

Sylvia Plath racconterà questa sua esperienza nel romanzo semi-autobiografico The Bell Jar (La Campana di Vetro), pubblicato nel 1963 sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas.

La felicità per Sylvia sembra arrivare nel 1956, anno in cui sposa il poeta inglese Ted Hughes con il quale ebbe due figli. Ciononostante la campana di vetro sotto la quale Sylvia vive (oppure è imprigionata?) comincia ad incrinarsi quando Ted la tradisce con Assia Wevill, moglie di un amico poeta. Il tradimento di Hughes fu la goccia che fece traboccare il vaso e, di lì a poco, il matrimonio finì.

Liberatasi così dalla sua condizione di moglie, mansione che Sylvia Plath considerava un vero e proprio ricatto alla sua attività di scrittrice, ottiene la custodia dei figli e li porta a vivere con sé a Londra. Tuttavia, Sylvia deve fare i conti con i problemi economici ed è in questo periodo che la sua produzione poetica e letteraria trova il suo apogeo andando, però, di pari passo con il suo crollo psichico.

Appartiene a questo periodo il romanzo sopracitato The Bell Jar che diventa una potente testimonianza del disperato bisogno di affermazione di una donna lacerata dal conflitto irrisolto tra le aspirazioni personali ed il ruolo impostole dalla società.

L’11 febbraio 1963 Sylvia prepara fette di pane imburrato per i figli, sigilla porte e finestre, scrive l’ultima poesia “Orlo”, apre il gas, infila la testa nel forno e si toglie la vita.

Questa donna di neanche trentun’anni torturata dalla sua ansia di vivere e di esprimersi, lacerata dal conflitto dell’essere per sé e l’essere per gli altri, ci lascia un’infinità di poesie violente e disperate.

Sylvia Plath è tuttora la prima poetessa, insieme ad Amy Lowell, ad aver vinto un Premio Pulitzer per la poesia postumo nel 1982.

Con gli anni la sua figura fu riportata alla luce e divenne un caso letterario, emblema delle rivendicazioni femministe del Novecento.

Il suo mito è stato portato sul grande schermo nel 2003 con il film Sylvia in cui Gwyneth Paltrow dà il volto a questa grande donna e scrittrice il cui grido è rimasto inascoltato per troppo tempo.

Fonti

Sylvia Plath (biografia)

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(immagine di copertina di Literary Hub)