A giugno del 2021, al Centro San Gaetano di Padova, si è conclusa una importante mostra sul pittore olandese più famoso al mondo dal titolo “Van Gogh. I colori della vita”. Inaugurata a ottobre 2020, ha registrato il “tutto esaurito”.

Artista dalle pennellate uniche e inconfondibili, Vincent Willem Van Gogh ha avuto una carriera breve come pittore. Ha vissuto una vita molto movimentata e difficoltosa, conclusasi in un suicidio a 37 anni.

Nonostante ciò, è autore di quasi 900 dipinti e oltre mille disegni dal valore inestimabile.

FORSE NON TUTTI SANNO CHE…
Vincent van Gogh era il maggiore di 6 figli del pastore calvinista Theodorus van Gogh e di sua moglie Anna Cornelia.

Per la precisione, era il secondogenito della coppia in quanto il primo figlio nacque già morto il 30 marzo 1852. Precisamente un anno dopo, nella stessa data del 30 marzo, nacque l’artista al quale fu per questi motivi dato l’esatto identico nome dello sfortunato fratello maggiore, Vincent Willem. «Fin dal primo giorno, quindi, la vita di Vincent fu segnata da una triste coincidenza» ha commentato il critico Rainer Metzger.

Espulso da un istituto evangelico dove i genitori lo avevano iscritto in quanto ritenuto non idoneo a fare il missionario per il suo temperamento esplosivo, Vincent riuscì a ottenere un incarico semestrale presso la Scuola Evangelista di Bruxelles.

E andò a vivere in una regione carbonifera belga dove i lavoratori vivevano in condizioni di estremo disagio. Qui Vincent dormiva sulla paglia, in una baracca decadente. Soccorreva i malati e aiutava i bisognosi, con i quali condivise l’acqua, il cibo e persino gli indumenti.

Se questa totale devozione verso il prossimo gli valse la stima incondizionata dei minatori, i suoi superiori furono indispettiti da un impegno sociale così smodato (che poteva dar adito anche a rivendicazioni sociali). Così, una volta scaduti i sei mesi di prova, non gli rinnovarono il contratto di catechista. La glaciale motivazione del Consiglio Ecclesiastico fu che «aveva preso troppo alla lettera il modello evangelico». Senza né mezzi, né fiducia verso se stesso, van Gogh continuò a svolgere quella che considerava una missione verso i minatori. Arrivò a cedere il suo letto ai malati, curando personalmente i feriti delle esplosioni tagliando i propri vestiti per trasformarli in bende.

Senza quel poco denaro che il fratello Theo gli spediva (e che gli spedirà per tutta la sua breve vita), Vincent sarebbe morto di fame. Nel 1880 abbandonò definitivamente la religione e le delusioni che gli aveva causato e, a 27 anni, iniziò a dedicarsi interamente all’arte. Tornò nella casa di campagna dei suoi genitori dove sconvolgeva i parrocchiani con il suo aspetto trasandato. Il padre ripeteva sempre più spesso: “Non possiamo cambiare il fatto che sia eccentrico”.

Quando si trasferì in Provenza, ad Arles, la sua produzione pittorica raggiunse un forte apice.

Qui, in 15 mesi, dipinse circa duecento tele. Deciso a costituire una sorta di comunità di artisti, riuscì a convincere il collega Gauguin a raggiungerlo. La convivenza fra i due fu disastrosa e culminò alla vigilia del Natale del 1888 con una lite furibonda durante la quale van Gogh minacciò Gauguin con un rasoio e alla fine con lo stesso si tagliò via parte di un lobo (non, come si racconta, l’intero orecchio). La polizia ritrovò l’artista privo di conoscenza il mattino successivo seguendo le sue tracce di sangue. Gauguin si ritirò in tutta fretta a Parigi e i due non si incontrarono mai più. Dopo questo episodio accettò di farsi ricoverare in un istituto psichiatrico a Saint-Rémy. Qui dipinse alcuni dei suoi quadri più belli.

“Non posso farci niente se i miei quadri non vendono. Arriverà comunque il momento in cui la gente vedrà che valgono più del prezzo della vernice”. Mai citazione fu più profetica di questa. In tutta la sua (breve) carriera artistica, infatti, Vincent van Gogh vendette un solo quadro, grazie al fratello Theo che aveva esposto i suoi lavori al Salon des Inedependants per tre anni consecutivi, dal 1888 al 1890.

Nel 1990 il suo lavoro “Ritratto del dottor Gachet” superò all’asta la cifra record di 64 milioni di euro.

Il 29 luglio 1890 Van Gogh fu trovato morto in un lago di sangue dal proprietario della pensione dove abitava non lontano da Parigi. Si era sparato, ma la pallottola aveva mancato il cuore restando conficcata nel fianco e visse due giorni di agonia prima di chiudere definitivamente gli occhi. La sua follia fu spesso collegata anche all’uso che faceva (spesso perfino mangiandoli!) dei colori per i suoi quadri. Una sorta di avvelenamento dovuto ai primi esperimenti chimici fatti per ottenere nuovi colori più vivi e brillanti, utilizzando rame, arsenico, piombo e mercurio e rendendoli perciò altamente tossici. La malnutrizione, l’abuso di alcol e tabacco e una vita completamente sregolata (era assiduo frequentatore dei caffè-bordello e aveva rapporti tormentati con le prostitute che vi lavoravano), aggravarono certamente la sua schizofrenia e il suo disordine bipolare (i genitori raccontavano che fin da bambino era sempre stato molto malinconico e problematico, la prima delusione amorosa gli aveva causato una forte depressione).

L’opera principale di Vincent Willem van Gogh, straordinaria e coinvolgente, riprodotta oggi ovunque nel mondo, è Notte stellata del 1889, collocata al Museum of Modern Art di New York.

Bibliografia.

“Vite segrete dei grandi artisti. Tutto ciò che non vi hanno mai voluto raccontare sui più grandi maestri” di Elizabeth Lunday (Autore), M. Zucca (Illustratore), 28 maggio 2013; “Van Gogh. I colori della vita” sito ufficiale della mostra tenutasi a Padova dal 10 ottobre 2020 al 6 giugno 2021 https://www.lineadombra.it ; Wikipedia,  pagina “Vincent van Gogh”.