La biblioteca Ghislieri è balzata agli onori delle cronache perché nell’anno in cui si celebrano i settecento anni dalla morte di Dante ha annunciato che tra i suoi scritti più preziosi vi sono anche quattro canti del Paradiso.



Biblioteca Ghislieri. Immediatamente diversi giornali hanno riportato la notizia, ricalcando così ancora una volta l’importanza di Dante e la sua sconcertante attualità. Ma allora ha ancora senso oggi studiare e conoscere la storia, i personaggi del passato e le loro opere siano esse umanistico letterarie, scientifiche, artistiche o del pensiero? Abbiamo girato questa domanda, e molte altre, al responsabile della suddetta biblioteca, il professor Alessandro Maranesi.

Prima di tutto parliamo del Collegio Ghislieri, di cui fa parte anche la biblioteca. Qual è la sua storia?

Il Ghislieri è un collegio universitario e nasce nel 1567 per volere di papa Pio V Ghislieri. Qui trovarono casa tutti gli studenti economicamente disagiati, ma dall’alto ingegno e meritevoli.

È il primo collegio misto italiano, e nonostante sia stato fondato da un papa, ormai da diversi secoli è di stampo laico. Gode anche dell’alto patrocinio del presidente della Repubblica, oltre alla sovvenzione della Fondazione Collegio Ghislieri, un ente privato.

Il principio fondante è onorato ancora oggi. Ogni anno è indetto un concorso aperto ma selettivo. Chi lo passa riceve un’offerta di residenza, una formazione altamente qualificata, borse di studio, riduzioni nella retta, che arrivano anche alla totale gratuità.

Il collegio accompagna e guida i propri collegiali dall’essere giovani studenti a diventare spesso, ma non solo, ricercatori di professione. Si potrebbe dire che l’obiettivo ultimo del Ghislieri sia quello di abbattere i soffitti di cristallo. Le distinzioni di genere, culturali ed economiche da noi non hanno terreno fertile. Qui l’unico fattore accumunante è la bravura dei ragazzi. Nel corso degli anni poi si sono sviluppate altre attività: Il Centro di musica antica, il Collegio per i dottorandi di ricerca, assegni di ricerca.

In una società in cui è sempre più importante essere competenti e competitivi tanto da “costringere” molti studenti a frequentare realtà prestigiose ma che in effetti non tutti riescono a permettersi, istituzioni come la vostra sono ancora in grado di fare la differenza e arrivare dove altri non possono?

Nel panorama italiano non siamo gli unici, ci sono altre istituzioni con i nostri stessi obiettivi. La Normale di Pisa, la Scuola Sant’Anna di Pisa, la Società Galileana di Padova, unica differenza è che noi siamo privati.

Noi tutti ci facciamo carico di tenere in Italia gli studenti più meritevoli e facciamo in modo che abbiano gli strumenti migliori per apprendere e maturare. Siamo pochi ma qualitativamente superiori. Non nascondiamoci dietro un dito, tutto ciò costa anche, ma il valore formativo che si acquisisce alla fine del percorso è notevole e può portare lo studente molto lontano. Scegliere noi, come altre realtà affini, comporta anche un enorme impegno di studio.

Le aspettative di performance accademica sono notevoli, ma vengono bilanciate e ampliate anche da altre competenze, i cosiddetti soft skills, che lo studente apprende non nelle aule universitarie, ma nella condivisione delle proprie giornate con altri colleghi.

Vivere insieme vuol dire anche imparare l’uno dall’altro, confrontarsi e acquisire conoscenze che non necessariamente rientrano nelle proprie attitudini.

Durante i miei anni di studi, per esempio, gli studenti di giurisprudenza erano un gruppo nutrito, da loro ho appreso molto creandomi un bagaglio di conoscenze che esulava completamente dal mio percorso formativo che era di tutt’altro genere.

La biblioteca Ghislieri come si colloca in questo ampio complesso?

Iniziamo con il dire che è una delle più importanti biblioteche del nord Italia con i suoi centotrentamila volumi.

Il suo sviluppo è avvenuto a mano a mano nei secoli, ma di contro sono anche parecchi i volumi depredati dalla stessa. La biblioteca dell’Università di Pavia, per esempio, ne è stata una beneficiaria, quando, anche per volontà di Maria Teresa d’Austria, una parte importante dei volumi venne presa dalla nostra biblioteca e collocata in quella.

Aneddoti di questo genere ci danno la misura di quanto sia profondamente errato pensare alle biblioteche come a luoghi statici. È vero l’esatto contrario: qui impera il dinamismo. I libri arrivano, vengono presi in prestito, si spostano di istituzione in istituzione. La maggior parte giunge attraverso donazioni di raccolte private, ma anche molte donazioni pubbliche, e in passato per volontà politica.

I libri posti a scaffale portano con sé i grandi fatti storici, culturali, sociali, politici. Ma non mancano anche le storie più nascoste, private, quelle delle famiglie che li hanno custoditi, letti, amati, studiati e anche tramandati e che ora per i motivi più disparati decidono di donare.

I libri presenti in una biblioteca come la nostra non sono solo portatori intrinseci di conoscenza, ma loro stessi in quanto oggetti sono conoscenza e storia. Chi li ha posseduti, in che luoghi hanno vissuto. L’aspetto della fissità dello scaffale è soltanto la parvenza, ma non rispecchia la realtà e la biblioteca diviene custode della memoria intellettuale di una persona, del suo testamento spirituale. Ma nel contempo dai la possibilità ad altri di arricchirsi mettendo a disposizione gli stessi. Ecco la grandezza di una biblioteca.

A che epoca risalgono i volumi più antichi presenti nella biblioteca Ghislieri? Quali sono quelli più preziosi, quelli di cui vi fate un certo vanto.

Abbiamo diversi incunaboli. Testi dunque degli ultimi anni del Quattrocento, e poi via via sempre più recenti.

I testi antichi sono circa 2500, alcuni dei quali di enorme pregio e valore culturale.

Fra i tantissimi per esempio c’è l’Encyclopédie di Diderot e d’Alambert o il volume di Bartolomeo Scappi, cuoco di papa Pio V Ghislieri. Interessantissimo ricettario che ben qualifica la gastronomia della seconda parte del Cinquecento. Ricercatori e studiosi sono sempre benvenuti per la consultazione dei nostri libri.

Professore lei è il responsabile della biblioteca Ghislieri, che cosa significa?

Le rispondo come mi risposero quando venni assunto per questo ruolo: sono papa e sacrestano.

Come papa bisogna capire che ruolo deve avere la biblioteca, dove vuole andare, come si vuole evolvere facendo scelte oculate nell’acquisizione dei fondi librari e delle donazioni.

Tutto ciò non è semplice se si pensa che anche il più piccolo cambiamento andrà a incidere e modificherà il significato di più di dieci chilometri di scaffali!

Come sacrestano sono chiamato a spostare, sistemare, ricollocare i libri, e non posso esimermi.

Mi ha spiegato che la maggior parte dei volumi arriva tramite donazioni, li accettate tutti? Fate comunque acquisizioni che esulano da questi canali? Avete abbastanza libertà di movimento.

Cerchiamo di non essere iperspecializzati e di dare spazio a tutte le discipline.

Bisogna tenere conto che la nostra biblioteca è uno spazio principalmente per gli studenti del collegio e per i professori e ricercatori dell’università. Certo, sino a quando le discipline insegnate erano poche, acquisire era più semplice e agile. Ora le discipline sono molte di più, e tutto si è un po’ complicato. Per questo, in sintesi, posso dire che quello che ci impegna di più è conservare i testi già presenti e dare spazio a nuovi lasciti.

Se ne è parlato tanto e anche noi non possiamo esimerci dal fare la domanda: Dante, i quattro canti del Paradiso custoditi nella vostra biblioteca. Scoperta, riscoperta o cosa?

Come ho provato a spiegare più volte, la scoperta è avvenuta a fine Ottocento, a opera di uno studente aiutato dal rettore dell’epoca, Zanino Volta, nipote di Alessandro Volta.

Quindi oggi noi non abbiamo scoperto né riscoperto nulla. L’aspetto interessante che volevamo sottolineare era come una testimonianza antica dell’opera di uno dei più grandi autori italiani generi una storia di cui la nostra biblioteca è una, come naturalmente molte altre, protagonista. Come ho già detto biblioteche come la nostra sono luoghi vivi, dinamici che conservano o vedono transitare manoscritti, incunaboli, cinquecentine, seicentine. Nella biblioteca non si scopre, si osserva come la storia passi attraverso di essa. Questo era il nostro intento.

Dante è un personaggio storico, pietra miliare della letteratura italiana. Che cosa vuol dire oggi studiare siffatti uomini e il loro contributo alla storia del pensiero, della letteratura, della musica, dell’arte? Che valore aggiunto possono ancora dare? Alla luce anche di recenti episodi in cui in nome di un revisionismo storico vediamo abbattere statue, smantellare interi dipartimenti universitari perché simboli e depositari di un passato che oggi per diversi aspetti aborriamo e combattiamo strenuamente.

Viviamo in un’epoca in cui i rapporti interpersonali, sociali, politici, si sviluppano in senso orizzontale e si avvalgono della cosiddetta disintermediazione.

Un concetto, una spiegazione devono essere immediati, fruibili sin dalle prime battute e soprattutto comprensibili già al primo approccio. Studiare il passato e tutto ciò che esso porta con sé in ogni ambito richiede invece uno sforzo e un approccio di tipo verticale. Un continuo e costante approfondimento della materia, una continua e costante contestualizzazione.

Senza questo sforzo e approfondimento mai si sarà in grado di comprendere e analizzare con il giusto discernimento un passato che non ci appartiene e che pare lontano anni luce da noi.

L’uomo greco era misogino e razzista è vero, ma questi modi di essere devono essere contestualizzati, studiati partendo da quell’epoca, non dalla nostra. Solo così tutto rientrerà nella giusta prospettiva e saremo in grado di comprenderli e ci aiuteranno anche a conoscere meglio il nostro presente.

Gli studenti sono in grado di porsi in questa prospettiva di verticalizzazione? E gli insegnanti che ruolo giocano nel far comprendere questo meccanismo?

Io credo sia importante dare delle basi.

Da qualche tempo a questa parte in molti Paesi, la scuola, e non per colpa del corpo docenti, ha deciso di dare più spazio alle competenze sacrificando la conoscenza.

Faccio un esempio di cui sono stato protagonista. Il lunedì tengo un corso di Storia Romana in lingua inglese per la laurea magistrale, la maggior parte degli studenti non è italiana.

Dato appunto che si tratta di una laurea magistrale davo per scontato che diverse nozioni di base della storia e cultura romana fossero già conosciute, per esempio su come funzionassero le istituzioni di Roma antica.

Qui faccio un mea culpa, sarebbe forse stato meglio dare una prima infarinatura o comunque organizzare un ripasso di alcuni concetti. Sta di fatto che inizio a parlare di elezioni all’interno di un regime oligarchico, sottolineando come anche in una democrazia non propriamente detta ciò fosse possibile tenendo conto però che a seconda del votante il suo voto poteva avere un peso maggiore o minore.

Una brava, intelligente e interessata studentessa americana è andata in crisi. Non riusciva a capire come fosse stato possibile che nella storia ci fosse stato un popolo in cui il voto di una persona non valesse quanto quello di un altro cittadino.

Nessuno mai le aveva insegnato questo e quindi non poteva immaginarlo e dunque non era in grado di comprenderlo.

La scuola continuando a snellire i programmi toglie la possibilità di conoscere le diverse sfumature di ciò che è stato il passato, anche quelle più scomode, quelle che al giorno d’oggi riteniamo aberranti, assurde, antisociali.

Converrà che non si fa un buon servizio agli studenti, i quali saranno sempre meno in grado di capire e comprendere e quindi anche di criticare e mettere tutto nella giusta prospettiva.

Senza una conoscenza appropriata possiamo limitarci a emettere giudizi morali e superficiali e tutto ciò può creare solo disastri.

Perché uno studente al giorno d’oggi dovrebbe scegliere di studiare materie classiche? Ha ancora un senso? E quelli che decidono di seguire questa strada, trovano reali sbocchi lavorativi?

È un fatto realmente oggettivo che nelle facoltà umanistiche vi sia un’inflazione di iscritti.

Ciò che si dovrebbe far capire allo studente che approda in queste facoltà è che il percorso che dovrà affrontare non sarà né semplice né per nulla lineare.

Affrontare al meglio queste discipline richiede molta abnegazione e fatica sapendo già che dopo il percorso formativo il percorso lavorativo potrà essere altrettanto tortuoso.

Nei miei dieci anni dopo la laurea ho cambiato dieci case, perché mi sono trasferito in dieci città diverse facendo cose diverse.

Messa giù così se non è la passione più smodata a guidare un ragazzo non so cosa altro potrebbe spingerlo! Perché uno studente di una facoltà umanistica non può sperare, come di fatto avviene per la maggior parte dei suoi colleghi di altre facoltà, di trovare una collocazione nella sua stessa città in tempi e modi soddisfacenti senza per forza mettere in conto che la gavetta e la ricerca di un posto al sole potrebbe durare anche una vita intera?

Qui dobbiamo porre l’accento su di un altro fattore che non riguarda solo il nostro Paese.

Sappiamo che le discipline umanistiche non creano professionisti, non si esce da queste facoltà con delle competenze riconoscibili e classificabili.

Dovrebbero essere gli stessi Paesi e il mondo del lavoro a fare uno sforzo di riconversione culturale per sottolineare come anche le conoscenze abbiano la stessa forza e importanza delle competenze.

In Gran Bretagna questo processo è già in atto da parecchio tempo e ha dato risultati più che soddisfacenti. Qui chi si laurea in materie umanistiche ha le stesse possibilità e probabilità di laureati in altre discipline di trovare un impiego. In Gran Bretagna si è compreso che le conoscenze umanistiche sono competenze che possono essere impiegate in diversi ambiti che di umanistico hanno ben poco!

Quanti studenti del Ghislieri portano avanti studi umanistici?

Molti, qui da noi c’è una forte tradizione legata agli studi umanistici. Moltissimi di loro poi proseguono anche con dottorati. Come abbiamo detto per loro non è né semplice né facile, e magari ci mettono un po’ più di tempo prima di trovare una collocazione soddisfacente, ma un ghisleriano sa che è solo questione di tempo, alla fatica ci è abituato.