Non appena ho letto la trama di Un Nobile Orrore di Rosita Mazzei ho immaginato subito scene sanguinolente, dettagli scabrosi, personaggi inquietanti, lettere al cardiopalma. La mia vena gothic avrebbe ringraziato. Ma mai avrei immaginato di ritrovarmi di fronte a una sorta di manifesto femminista, se così si può definire in maniera forse azzardata. Sì perché queste epistole sono la storia di una donna e della sua condizione, ancora troppo ristretta nell’Italia del 1870.

Ma partiamo dalla forma di questo breve romanzo. Si tratta di un epistolare. La Collana Belle Epoque della Pubme accoglie, tra gli altri generi particolareggiati, anche quello epistolare.

Lettere. Di quelle che vediamo scrivere a mano nei film da personaggi in epoche lontane, di quelle che si imbustavano e si spedivano fino a qualche tempo fa. Per quanto mi riguarda, nonostante anche io ami la moderna tecnologia e i benefici immediati che essa comporta, non potrò mai smettere di pensare alla penna e al foglio come il mezzo massimo di comunicazione tra gli uomini. Quel gusto retrò, la nostalgia di tempi antichi, le dita sporche d’inchiostro, l’attesa delle risposte, il linguaggio ben curato e preciso di chi deve dire molto in poco spazio. Sono grata alla collana Belle Epoque che cerca di riportare in auge il romanzo epistolare, un genere antico che ha visto la sua massima espressione nell’epoca romantica del 1800. Il lettore, ritrovandosi a guardare la scena e a vivere le sensazioni direttamente attraverso le parole di chi scrive, si trova catapultato nelle vicende narrate con effetto immediato, a “vedere” ciò che l’autore della lettera vive e descrive.

Un Nobile Orrore è un romanzo breve che mai annoia e che sorprende per i suoi colpi di scena, che conduce il lettore attraverso il mondo dell’orrore di morti riprovevoli, di serial killer realmente esistiti anche se poco conosciuti rispetto al più tristemente famoso Jack lo Squartatore.

Tuttavia questo è un romanzo che parla anche e soprattutto della condizione femminile di un’epoca in cui vedeva le donne solo e unicamente come “angeli del focolare”, donne costrette a prendere marito per pura convenzione sociale, donne obbligate a rinunciare alla propria libertà personale, alle proprie inclinazioni soltanto perché figlie di una società dalle convinzioni forzatamente ristrette.

Beatrice, la nostra protagonista, quella che scrive lettere così belle e accorate, quella che cita nelle sue missive autori del calibro di Sofocle, Mary Shelley o di Flaubert, quella che sostiene che “il matrimonio dovrebbe essere un migliorarsi a vicenda, non una forma di schiavismo legalizzato”, è appunto costretta a dover sposare Vincenzo Verzeni, un uomo più grande di lei, un uomo che le appare subito viscido, senza alcuna umanità o riguardo altrui.

Fortunatamente sono nata completa e non ho bisogno di nessuno che aumenti il mio valore”.

Queste parole Beatrice le scrive a sua sorella Adelaide, la sua più importante confidente, ribadendo un concetto più moderno che attuale per quell’epoca, un concetto per cui ancora moltissime donne oggi si battono. Una concezione psicologica che sostiene l’affermare se stesse a discapito di una società che ci vorrebbe ancora oggi “schiave” della famiglia o del lavoro.

Beatrice è un precursore. Una donna coraggiosa, che osa. Una donna che si oppone al matrimonio combinato e che lo fa a discapito quasi della sua vita. Una donna che sa ciò che vuole, che ama i libri, la letteratura, le cose belle e che capisce che se accetterà di diventare una moglie, perderà ogni diritto al pensiero e alle azioni.

Beatrice racconta a sua sorella degli orribili omicidi che si consumano a Ouri, città dove vive. E lo fa con raccapriccio perché, sebbene le vittime siano prostitute dunque esseri inferiori e indegni agli occhi degli uomini per bene del suo tempo, ella ammette che comunque sono esseri umani e per di più donne. Donne sfortunate, donne a cui la vita ha negato tutto, anche una morte dignitosa.

Beatrice racconta alla sorella della sua voglia di lottare contro un mondo maschilista. Legge “Rivendicazione dei diritti della donna: con critiche sui soggetti politici e morali” di Mary Wollstonecraft.

L’orrore la sfiora per poco ma la sua indipendenza, la sua tenacia, correranno in suo soccorso. Se avesse ceduto al comando della famiglia di sposare quel tal Verzeni, le sue lettere sarebbero finite in altro modo poiché, come la storia ci insegna, è proprio quell’uomo a essere lo “strangolatore di donne”. Non conoscevo l’identità di questo serial killer nostrano, lo ammetto, ma subito, curiosa come sono, ho dato via alle mie ricerche per saperne di più.

Insomma Un Nobile Orrore è la storia dell’uomo che vorrebbe annientare le donne ma che lo fa non soltanto fisicamente ma anche spiritualmente e moralmente. È la storia di una società proiettata verso la modernità, ma ancora lontana dal raggiungimento di alcuni obiettivi da parte delle donne italiane come la conquista del voto.

Se consiglio la lettura di questo romanzo? Assolutamente sì. Lo consiglio per il tema che non può e deve mai stancare dell’indipendenza femminile, per le pagine lugubri di una storia italiana di cui poco si sa, per il linguaggio ricercato e la bravura indiscussa dell’autrice di mescolare realtà e finzione.

Concludo con una frase della protagonista, impregnata di speranza e preghiere per un mondo migliore, nel quale tutti gli essere umani potranno riconoscere uguali diritti perché appunto uguali:

Eppure, mia cara sorella, ci sarà un giorno in cui noi donne non saremo costrette a chiedere a qualcuno del sesso forte il permesso per vivere una vita dignitosa”