Dopo una storia con un fidanzato violento e la perdita del lavoro, Ilaria si ritrova con soli 9,00 euro sul conto. Con paura e coraggio, decide di imbarcarsi, senza sapere che quella scelta le cambierà per sempre la vita. Oggi vive felice a Fuerteventura con il suo futuro marito, durante l’estate lavora a bordo di yacht di lusso, ed è fondatrice dell’agenzia di formazione Yachtie Lab. Scopriamo insieme la sua storia.
Ilaria ha trentaquattro anni e, dopo molte tempeste, ha realizzato il suo sogno di viaggiare per il mondo grazie alla sua professione di Stew/Cook. «Ho sempre avuto un grande amore per il mare, d’altra parte sono nata e cresciuta a Genova, città portuale, un po’ ostile per chi è solo di passaggio. Ho iniziato a lavorare come cameriera nel baretto di quartiere durante i weekend per pagare gli studi all’università. Presa la laurea in scienze motorie, ho lavorato per molto tempo come personal trainer e insegnante di yoga in diverse palestre, ma sentivo di essere nata per fare molto di più. Per andare lontano. Desideravo una vita straordinaria.»
Una vita normale.
«I giorni si assomigliavano tutti, passavano uno uguale all’altro e dentro di me l’insoddisfazione iniziava a farsi strada. Non potevo accettare di vivere quel tipo di vita, una vita così “normale” da farmi mancare il fiato. Sentivo di essere fatta per qualcosa di diverso a cui però non sapevo dare un nome. Mi impegnavo nel cercare di adattarmi a quella realtà, ma non bastava mai, e le frasi ridondanti della mia famiglia che insisteva affinché trovassi un posto fisso sicuro, normale, non facevano che peggiorare la situazione. Volevo vedere il mondo e, con la scusa di approfondire i miei studi di yoga, nel luglio 2016 presi un volo per l’India.»
È stato proprio questo primo viaggio in India a cambiare per sempre la prospettiva di Ilaria.
All’inizio è spaventata dall’idea di viaggiare da sola in un paese così lontano dalla sua cultura. I suoi amici non fanno che ripeterle che è pericoloso per una ragazza sola. Non vuole farsi condizionare, ma ha il timore che abbiano ragione. Così decide di prenotare un mese intero all’interno di un Ashram, un centro yoga dove è possibile vivere e studiare al tempo stesso, un contesto internazionale ma sicuro per chi, come Ilaria, non ha mai viaggiato in solitaria. Arrivata in India è amore a prima vista. «Fu terrificante e meraviglioso al tempo stesso mettermi in gioco in una disciplina nuova, le lezioni in inglese – all’epoca non ero fluente nelle lingue straniere come lo sono oggi –, la vita nell’Ashram semplice e lenta, la doccia fredda con i secchi d’acqua, gli scarafaggi, rapportarmi con persone provenienti da tutto il mondo, il cibo completamente diverso da ciò che conoscevo… Insomma, una sfida continua di cui ho ricordi indelebili e bellissimi.»
Da turista a viaggiatrice.
Dopo quel primo breve viaggio, Ilaria non smette di pensare all’India e non vede l’ora di farvici ritorno. Vuole conoscerne la cultura e le tradizioni. L’anno successivo decide quindi di subaffittare il suo appartamento e mettersi in viaggio per alcuni mesi, i primi tre in India, a Mysore, i seguenti tra Thailandia, Malesia e Filippine. «L’India fu intensa sotto ogni aspetto» continua a raccontare. «Gli indiani sono tosti, come il rumore del loro traffico e il sapore del loro cibo. Tutto ciò che vedi e vivi quando sei lì è forte. Un paese di profondi contrasti, scioccante e magnifico al tempo stesso. Io scelsi di vivere in un appartamento condiviso con altri ragazzi un po’ fuori città e affittai un motorino. Scelsi un modo di vivere autentico che mi desse la possibilità di addentrarmi nella mentalità del posto, lasciando che essa mi cambiasse.
Non ho mai viaggiato in resort blindati, per intenderci. Il ricordo più caro che ho di quel viaggio è una domenica nelle risaie fuori Mysore, dove portai alcuni vestiti che non utilizzavo a una famiglia che non aveva nulla, nemmeno l’acqua corrente. Venni invitata alla celebrazione presso il loro tempio hindu, in cui veniva offerto cibo a tutti, senza distinzioni. Il pranzo fu servito a terra, su una grande foglia di banano. Si mangiava con le mani tra i sorrisi e gli sguardi curiosi degli indiani che si chiedevano cosa ci facessi lì. Non era di certo un posto da turisti. Può sembra il solito cliché ma sì, posso confermare che l’India ti cambia, se lasci che accada naturalmente.»
Per rinascere occorre prima morire.
«Nel 2017 decisi di visitare la Thailandia in compagnia di una cara amica, Eleonora. Durante il volo di andata capitammo vicino a un ragazzo altissimo, mulatto, sorridente e sicuro di sé. Ci disse che passava molti mesi in Thai perché era un boxeur, lavorava nella stessa palestra in cui si allenava per incontri di muay thai. Ne restai subito affascinata. Ci scambiammo i contatti di Facebook ma non ci incontrammo più. Dopo il mio rientro in Italia due settimane dopo, mi scrisse un messaggio e iniziammo a conoscerci così, chattando in un inglese un po’ incerto su fusi orari diversi. Dopo circa un mese, decise di venire a Genova. Io gli mostrai la mia città e gli aprii il mio cuore. Da lì iniziò un periodo che mi pesa ricordare.»
«È stato come finire nelle sabbie mobili, non le vedi, ci cadi dentro, più ti dimeni per uscirne e più affondi, finché non hai più forze per lottare.»
Ilaria è giovane, e lui sembra vivere quella vita che tanto la affascina. «All’inizio fu come un sogno: lui bellissimo, misterioso e pieno di esperienze vissute per il mondo, ricordo che me le raccontava aggiungendo sempre che non vedeva l’ora di viverne di simili con me. “C’è un posto dove voglio portarti…” iniziavano così tutti i suoi racconti. Io ero giovane e ingenua, una sognatrice. Pensavo di aver finalmente trovato qualcuno che la pensasse come me, qualcuno con cui condividere una vita fatta di sport, viaggi ed esperienze fuori dagli schemi.» Partono insieme, sempre in direzione sud-est asiatico. I primi mesi volano veloci, viaggiando insieme e vivendo effettivamente esperienze pazzesche. C’è passione, tanta. C’è però anche qualcosa che aleggia nell’aria, qualcosa che Ilaria non riesce a decifrare, un’ombra. Come se la sua pancia avesse riconosciuto le bandiere rosse che il suo cuore sceglie di ignorare. Solo col tempo scopre che in realtà tutti i racconti di lui sono menzogne, dal suo “lavoro” di boxeur alla sua vita privata.
Una storia di violenza.
Dopo otto mesi in viaggio, Ilaria decide di fare rientro in Italia per l’estate. La sua intenzione è di ripartire l’inverno successivo e lavorare come insegnante di yoga in resort turistici in Asia. Poco prima dell’autunno, però, le offrono un lavoro in una nuova palestra genovese, così decide di cogliere quell’opportunità. Anche lui, che nel frattempo l’ha raggiunta, decide di fermarsi per un po’. «Avrebbe imparato l’italiano e trovato un lavoro, o almeno così diceva… In realtà aveva già capito di potersi approfittare della mia generosità e dell’amore che provavo per lui. Si trasferì a casa mia senza soldi, senza un lavoro e senza prospettiva. Io feci del mio meglio per comprenderlo, giustificarlo e agevolarlo. Aveva scatti d’ira per sciocchezze, male parole urlate dal nulla seguite poi da lunghi silenzi. Nonostante questo, ci desideravamo, e questo mi fregò su tutta la linea. Grazie a quella vicinanza “di pelle”, io speravo di potermi avvicinare piano piano al suo cuore, ma quando pensavo di aver fatto un passo avanti, lui mi respingeva, per poi cercarmi di nuovo poco dopo. Era uno di quelle storie che ti consumano facendoti torcere le budella, una montagna russa emozionale pericolosa da cui non sapevo di dover scendere alla svelta. All’epoca, infatti, ero ancora convinta che l’amore dovesse essere spiazzante e un po’ doloroso per essere vero. Iniziò così il ciclo tipico di tutte le storie di violenza: tensione-violenza-luna di miele, tensione-violenza-luna di miele… e così via, in un circolo infernale. Dopo ogni litigio promettevo a me stessa che sarebbe stato l’ultimo, lo allontanavo, tenevo duro per un po’. Poi però, come un tossicodipendente, ci ricascavo.
L’importanza delle amicizie.
«Mi ritrovai sola. Le mie amiche avevano capito molto prima di me che la persona di cui mi ero innamorata portava con sé qualcosa di molto oscuro e, stanche di ripetermi che mi aveva gettato addosso un pesante velo di tristezza, si allontanarono. O meglio, le allontanai io, perché non volevo accettare le loro scomode verità. La storia prese poi una piega davvero pericolosa: le aggressioni non erano più solo verbali, era passato alle mani. Io camminavo sulle uova, terrorizzata che una risposta male interpretata scatenasse l’ennesimo litigio, sfociando in violenza verbale e fisica. Vivevo in casa mia nel terrore e nell’incertezza. Dimagrivo a vista d’occhio, ero diventata una sbiadita versione di me stessa, evitavo persino i miei genitori per non rispondere alle loro domande preoccupate. Solo con te, Federica, sentivo di poter aprire il mio cuore e far uscire quel dolore che nascondevo a tutti. Se non ci fossi stata tu, con la tua gentilezza, la tua pazienza e le tue tazze di tè, forse oggi non sarei qui.»
La perdita del lavoro.
Senza preavviso, il titolare di Ilaria decide di licenziare parte del personale della palestra. Con un contratto sportivo, Ilaria non ha nessuna tutela e si ritrova senza entrate, con un affitto da pagare e un fidanzato violento a carico che la minaccia ogni volta che prova ad allontanarlo. In questa situazione disperata, lui non si fa scrupoli a spendere i soldi di lei che arriva al punto di nascondere i contanti e le carte di credito nella sua stessa casa.
«Ero disperata.»
Quei mesi rappresentano forse il periodo più buio della vita di Ilaria e la cambiano profondamente. Vede la morte in faccia in almeno un paio di litigi, non sa dove trovare i soldi per pagare le spese e non vuole chiedere aiuto ai suoi genitori per non farli preoccupare. Dopo circa un mese, trova lavoro in un’altra palestra alla reception. I trainer però sono già organizzati e non c’è posto per sfruttare i suoi studi. «Ero lì solo per vendere contratti. Detestavo forzare persone a comprare un abbonamento – che sapevo non avrebbero utilizzato – solo per raggiungere il budget imposto dal titolare. Mi sentivo un vero schifo. Mi ero trasformata in una di quelle persone che biasimavo: facevo un lavoro che non mi piaceva per arrivare a fine mese, non avevo alcuna possibilità di viaggiare ed ero in una relazione che faceva acqua da tutte le parti. Dopo altri quattro mesi così, dopo l’ennesimo litigio, dopo l’ennesimo schiaffo e dopo l’ennesimo “cambierò”, trovai la forza di allontanarlo da casa e qualche giorno dopo ricevetti una telefonata che mi cambiò la vita.»
La svolta: lavorare viaggiando.
È fine maggio 2019 quando Ilaria riceve una telefonata da parte di un’amica. Una barca a vela cerca una ragazza. Non è importante avere esperienza nautica, ma darsi da fare. «Avrei dovuto imparare il mestiere di Stew/Cook, ovvero gestione e accoglienza ospiti, cucina di bordo e un aiuto concreto in coperta per ormeggi e ancoraggi. Mi chiese se me la sentissi di partire entro tre giorni. La mia testa iniziò a frullare a mille. La paga era interessante, avrei potuto mettere via qualche soldo, viaggiare, e sarei stata irraggiungibile dalle minacce del mio ex. Non ci pensai troppo a lungo. Seppur terrorizzata, accettai, lasciando di stucco il mio principale con una lettera di dimissioni a effetto immediato.» Ilaria sale così a bordo di una piccola barca a vela, direzione Francia, senza avere la minima idea di cosa deve fare.
«Di quella prima navigazione ricordo due cose: il mal di mare e una balena. La vista di quella balena selvaggia, libera e leggera, fece scattare qualcosa dentro di me che ancora oggi non so spiegare, ma che mi ha fatto promettere che non avrei più rinunciato a quella libertà.»
Ilaria scopre di essere brava in un lavoro del tutto nuovo. Dopo qualche mese è già in grado di organizzare con facilità la cambusa e le mansioni di coperta la incuriosiscono sempre più. La fatica è ricompensata da albe mozzafiato, notti stellate, vento in faccia e navigazioni silenziose. «Lavorare a bordo mi ha fatto riscoprire me stessa, mi ha dato una nuova forma, dei contorni netti che non vedevo da troppo tempo allo specchio. Ha messo in risalto abilità che non sapevo di avere, appassionandomi ogni giorno di più. Mi sono sentita finalmente al posto giusto e così ho avuto la mia rivincita su me stessa e sulla mia vita.»
«Lavorare a bordo ha risposto a tutte le mie necessità permettendomi di guadagnare uno stipendio dignitoso, viaggiare e vivere esperienze indimenticabili in giro per il mondo.»
È inverno 2021 quando Ilaria decide di andare alle Canarie con un’amica . «Scegliemmo Fuerteventura senza una ragione precisa, sapevamo solo che si poteva surfare e che tante persone sceglievano il van per esplorare l’isola più desertica dell’arcipelago. Durante la prima settimana nel sud dell’isola non incontrammo anima viva, solo capre. Ci dirigemmo così a nord, a Corralejo, un piccolo paesino sull’Atlantico, noto per accogliere tanti nomadi digitali appassionati di surf. Mentre in Europa non si potevano prenotare ristoranti per più di quattro commensali previo controllo del Green pass, a Corralejo si faceva festa fino all’alba. Insomma, il paese dei balocchi per due ragazze single di trent’anni. Dopo quel viaggio, iniziai a prendere un volo dopo l’altro, allungando sempre più la mia permanenza su quell’isola dove le giornate erano calde, semplici e lente, scandite da pratiche di yoga e sessioni di surf. Mi innamorai di questo nuovo sport e di quello stile di vita. Dopo tanto viaggiare in giro per il mondo, un po’ per piacere e un po’ per lavoro, avevo finalmente trovato un posto dove mi sarebbe piaciuto vivere: il clima mite tutto l’anno, la possibilità di fare sport acquatici, una community di ragazzi e ragazze da tutto il mondo con cui condividere le stesse passioni.» E così Ilaria si trasferisce a Fuerteventura, dove vive prevalentemente d’inverno, e durante l’estate continua a navigare per lavoro.
Vivere lontano dagli affetti.
«Vivere lontano dai miei genitori e dai miei amici di sempre mi spaventava. Poi, piano piano, mi sono creata la mia realtà, ho fatto nuove preziose amicizie e ho messo davanti a tutto la mia serenità. Sono molto felice delle mie scelte. I momenti più difficili mi hanno permesso di rafforzare la mia indipendenza e imparare ad ascoltare il mio cuore e ciò che desidero.
Diventare una guida per gli altri.
Avere la possibilità di conciliare lavoro e viaggio è per Ilaria un privilegio che non dovrebbe essere riservato a pochi eletti. Nasce così Yachtie Lab, una piccola agenzia di corsi di formazione e recruitment per aprire le porte della nautica a chi desidera farne parte ma non sa da che parte iniziare. «Il lavoro a bordo di yacht è dinamico, meraviglioso e intenso. È un settore ancora inesplorato per tanti italiani, spesso è difficile accedervi senza il canale giusto, non ti nego che anche per me all’inizio non è stato semplice capire quali certificazioni servissero per costruirmi una carriera nel mondo nautico, come affrontare un colloquio e quali mansioni fossero previste dai vari ruoli. Con Yachtie Lab cerco di facilitare questo processo.»
Definizione della parola “viaggiare”.
«Viaggiare per me non è solo scoprire nuovi posti, colori, usanze, odori, persone, tradizioni… anche se tutto questo è già sufficiente come ottima ragione per farlo. Per me viaggiare è una necessità, una chiamata da te stesso per te stesso. Il viaggio deve però avere uno scopo, solo così puoi apprenderne la lezione che porta con sé. Una barca deve sempre avere un porto di arrivo. Viaggiare per viaggiare non serve assolutamente a nulla se usi il viaggio come scusa per scappare da quello che hai dentro. Vedo troppe persone che viaggiano nella convinzione di sentirsi meglio, con l’illusione che la felicità sia nella prossima tappa di quel viaggio che diventa una giostra senza fine. Saltano da un paese all’altro, inquieti, incapaci di restare, di fermarsi un attimo a osservare fuori e dentro loro stessi. Non serve a nulla fare le esperienze più incredibili del mondo se la meraviglia non ce l’hai dentro, se poi non sai dire nulla di te stesso, nulla delle persone accanto a te, nulla della vita. La verità è che dipende come ci stai nei posti e con quale attitudine, non quanti timbri hai sul passaporto.»
Per viaggiare servono tanti soldi.
«Falso! Per viaggiare serve solo un po’ di coraggio. Sono partita per quasi un anno in Asia con meno di duemila euro sul conto, risparmi inclusi. Ovviamente ho dovuto adattarmi a camere che non erano l’Hilton, ma le esperienze che ho vissuto non hanno prezzo. Negli ultimi anni, grazie alla mia professione, posso permettermi di viaggiare “un po’ più comoda”: durante l’estate visito le mete più iconiche del Mediterraneo, esplorando le zone in cui mi trovo per lavoro, mentre durante l’inverno, quando la barca è in rimessaggio o in cantiere, ho diversi mesi a disposizione per viaggiare.»
La felicità è vera solo se condivisa: falso!
«Attraverso il viaggio, soprattutto in solitaria, hai la possibilità di conoscerti a fondo, nei momenti più leggeri come quelli più difficili. Hai la possibilità di sviluppare un’indipendenza estrema, scoprendo di potercela fare da solo: puoi risolvere problemi in autonomia e puoi anche divertirti in solitudine! Diventi più tollerante verso gli altri perché vieni esposto a un milione di visioni di vita differenti, tutte giuste e legittime in egual modo, mettendo il velcro alla bocca del tuo ego. Siamo ossessionati dal giudizio degli altri e dalla condivisione reale e illusoria – i social ci hanno spappolato il cervello, dandoci l’illusione di essere sempre connessi–, ma in realtà il pensiero indipendente è una cosa estremamente sana che va coltivata. Solo attraverso un po’ di solitudine puoi scoprire chi sei e cosa desideri. Se poi la solitudine è in un luogo nuovo, interessante e pieno di stimoli, il processo di apprendimento all’indipendenza diventa quasi un gioco.»
«Nei miei viaggi ho trovato pochissime risposte, ma molte meraviglie.»
Proprio a Fuerteventura, Ilaria conosce Moe. «Lui era in compagnia di un amico americano, stavano bevendo un drink al “Me Gustas tu”, un localino nel centro di Corralejo. Io ero in compagnia di due amici e stavamo ballando il limbo, ridendo a crepapelle. Lo scontrai inavvertitamente, lui scoppiò a ridere e mi invitò per un drink, da cosa nasce cosa e quella sera andammo a una festa insieme. Fu amore a prima vista, anche se mi ci volle un po’ per ammetterlo. Ero disillusa riguardo l’amore, dopo tante brutte esperienze non volevo più metterci il cuore sopra. Continuammo a frequentarci sull’isola, tra surf e serate, avvicinandoci sempre più ma senza parlare del domani. Quando dovetti partire per la stagione a bordo, temevo che ci saremmo persi di vista, è dura avere una relazione con una persona che viaggia continuamente per mare, eppure Moe mi stupì: mi disse che non avevo ragione di preoccuparmi della lontananza né delle difficoltà, lui non avrebbe rinunciato a “noi”. Mi supportò in ogni decisione professionale, visitandomi ogni volta fosse stato possibile, e io feci lo stesso. Tornati a Fuerteventura, una sua conoscente lo contattò per fargli vedere un piccolo appartamento di ex pescatori. Era situato in centro, ma con una bella vista sul mare. Mi chiese di accompagnarlo e quando uscimmo da lì mi propose di acquistare quella casetta insieme. Io rimasi un po’ spiazzata lì per lì, del resto ci frequentavamo solamente da un anno e io ero rimasta parecchio scottata nelle precedenti relazioni. Gli chiesi del tempo per pensarci su.»
Il cambiamento avviene quando lasci che accada naturalmente.
«Nel mio cuore sentii che era la cosa giusta da fare e accettai. Il mio passato non avrebbe rovinato il mio presente e il mio futuro. Comprammo quella casetta sull’oceano, lavorammo sodo per contenere i costi della ristrutturazione, facendo quanti più lavori possibili di mano nostra. Oggi posso dire che è il mio posto preferito nel mondo. La nostra casetta è un’oasi di pace: la vista sulla baia e sull’isola di Lobos toglie il fiato. Emana serenità in ogni centimetro, non per la posizione in cui si trova o la scelta dei colori, ma proprio perché è l’emblema della relazione con Moe: semplice, logica, autentica. Con lui tutto è venuto naturale, dal comprare una casa in un paese straniero ad accettare di sposarlo. Sì. A ottobre di quest’anno diventeremo marito e moglie, faremo una piccola cerimonia con le nostre famiglie e gli amici più cari provenienti da tutto il mondo.»
Ci lasci con un consiglio per chi vorrebbe partire ma ha paura?
«Cara amica, o caro amico, che hai letto la mia storia, ti incoraggio a fare quel viaggio in solitaria che tanto sogni di fare. Se hai paura ti capisco, ci sono passata anche io. La paura fa bene, ti mantiene in vita, ma non può impedirti di realizzare i tuoi sogni. Hai avuto paura anche quando hai tolto le rotelle alla bicicletta, e poi cos’è successo? Hai scoperto di poter pedalare benissimo senza! Poi cosa hai provato? Eri elettrizzato, fiero, felice. Viaggiare da soli fa lo stesso effetto. Ti assicuro che la quantità di consapevolezza, di amore per te stesso e di meraviglia che avrai da quel viaggio non ha misura, o almeno te lo auguro. L’abilità di partire, di pianificare il tuo itinerario – o di non pianificarlo affatto! –, di scoprire davvero cosa TU desideri fare e non fare, cosa vuoi mangiare e che tipo di esperienze desideri vivere, ti permetterà di approfondire la più sincera conoscenza di te stesso. Solo attraverso questo processo potrai definire i tuoi confini, conoscere i tuoi limiti e scoprire che puoi superarli. Prenota quel viaggio, dai retta a me e Fede! Ti auguro buon viaggio. Anzi, come diciamo a bordo, ti auguro buon vento!»
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