Serena, cittadina australiana, racconta il suo ritorno in Italia, dove si sente ormai estranea a una mentalità che accetta passivamente uno stile di vita che non conosce alternative.
Serena ha trentatré anni e cresce a Torino, dove vive fino al 2014. In quel periodo sta studiando alla magistrale di psicologia criminologica e forense, ma tutto attorno a lei le sta stretto. «Soffrivo di ansia e depressione» racconta Serena. «Non mi sentivo al posto giusto, vivevo in una realtà che sentivo non appartenermi e il solo pensiero di trascorrere tutta la mia vita a Torino mi soffocava. La monotonia giornaliera mi uccideva. La depressione peggiorava. Sentivo che poteva esserci tanto altro e che l’unico modo per scoprirlo fosse allontanarsi da quella routine. Avevo bisogno di cambiare l’ambiente circostante per cambiare il mio io interiore e iniziare a stare bene. Dentro di me non sapevo se sarebbe stata la scelta giusta, ma sapevo che dovevo farlo. E così sono partita.»
Verso un nuovo mondo.
Serena abbandona la magistrale e parte per l’Australia parlando un inglese scolastico. È la prima volta che viaggia da sola e, addirittura, la prima volta che prende un aereo! Ha paura, non si è mai allontanata dai genitori. «Ero terrorizzata. Mi affidai a un sito per fare la ragazza alla pari a Brisbane; dovevo fare da “sorella maggiore” a una bambina in cambio di una paghetta, vitto e alloggio. Sembrava una super idea, ma arrivata lì capii subito che non faceva per me.» Serena così lascia la famiglia a Brisbane e, grazie a un passaggio in auto, arriva per la prima volta a Sydney dove affitta una stanza in un appartamento condiviso con altri giovani. «Da lì in poi, ha inizio l’esperienza più bella della mia vita.»
La felicità per la prima volta.
Arrivata a Sydney, Serena abbandona la paura e prova un’energia interiore mai provata prima. «Mi sentii libera e felice per la prima volta nella mia vita. Completa, indistruttibile. Avevo ventitré anni e non mi ero mai sentita così desiderosa di vita. Inspiegabile. Come un’ondata di cose buone. Non avevo paura di niente, mi buttavo in ogni situazione come se fosse l’ultima cosa che avrei fatto. Dopo due settimane dal mio arrivo, trovai lavoro come fioraia in un negozio a Bondi Beach. Non avevo mai fatto quel lavoro, ma il bello dell’Australia è proprio questo: se hai buona volontà, tutti sono disposti a insegnarti.»
Una famiglia dall’altra parte del mondo.
Serena vive con altre cinque persone e condivide la stanza con tre ragazze. «L’affitto costava poco e ho così potuto mettere da parte un bel po’ di soldi. Ho conosciuto persone fantastiche, ci divertivamo tantissimo, eravamo come una famiglia e infatti siamo rimasti in contatto. Come spesso accade in questo tipo di esperienza all’estero, man mano che poi le persone andavano via, ne arrivano altre, e non sempre si andava così d’accordo. Purtroppo non tutti hanno le stesse idee sulla condivisione degli spazi comuni, ma sono stata fortunatissima perché, in un uno di questi cambi, arrivò quello che poi sarebbe diventato mio marito, anche lui italiano. Ci piacemmo subito, dopo due settimane stavamo già insieme e, dopo non molto tempo, decidemmo di prendere un appartamento solo per solo noi due. La mia testimone di nozze fu proprio una delle mie compagne di stanza.»
Affrontare le difficoltà.
In Australia, Serena cambia molti lavori salendo di livello, qualifica e paga, per arrivare ad avere il lavoro che ama. «Gestivo un’agenzia che si occupava di attrazioni turistiche. I cinque anni a seguire sono stati i più belli della mia vita. Poi il Covid mi ha “svegliata” da questo sogno: non c’erano più turisti e quindi nemmeno lavoro. Fummo tutti licenziati. Fu bruttissimo. Amavo quel lavoro ed ero arrivata a una stabilità perfetta nella mia vita. Mi sentivo persa, non sapevo cosa avrei fatto, ero abituata a lavorare tantissime ore e adesso mi ritrovavo a casa tutto il giorno a guardare il soffitto.
Per fortuna, sia io che mio marito avevamo la cittadinanza – ottenuta dopo mille peripezie – grazie alla quale abbiamo beneficiato di un aiuto economico da parte del governo. Quel contributo mi diede la possibilità di aprire il mio piccolo business di dolci che iniziai a vendere al vicinato e nei mercatini. Grazie a quel lavoro, poco dopo la fine del Covid, fui contattata dal titolare di un’azienda di pasta fresca, con il quale ho poi lavorato fino a quando non sono tornata in Italia. Siamo ancora in contatto e ci vogliamo un gran bene!»
Chi pensa che sia tutto semplice è perché non lo ha vissuto.
«Molti esterni all’Australia credono che sia facile ottenere la cittadinanza, come se fosse una cosa a cui tutti possono arrivare, ma non sanno quanto si sbagliano e quanti sacrifici personali ed economici bisogna fare. La nostra trafila per ottenere i visti non è stata semplice, in quanto siamo stati vittime di un paio di intoppi dove, per errori burocratici di agenti di immigrazione improvvisati, ho rischiato due volte di esser cacciata dall’Australia. Sostenevano infatti che il mio visto non fosse valido. Sono dovuta andare in tribunale con un malloppo di testimonianze e prove per dimostrare al giudice che il mio matrimonio era per amore e non per convenienza – cosa che alcuni fanno per ottenere il visto più facilmente e in tempi brevi. Grazie a un nuovo agente di immigrazione molto competente, siamo poi riusciti a ottenere lo Sponsor Visa e infine la Permanent Visa.»
Quando sei nel posto giusto, ogni giorno diventa “il ricordo più bello”.
«Mi ricordo l’emozione della prima volta che ho visto l’oceano e il rumore delle onde. La prima volta che ho accarezzato un canguro nella natura incontaminata. Quando mio marito mi ha chiesto di sposarlo sulla torre più alta di Sydney. Quando abbiamo adottato Milo, il nostro adorato cane. O quando ho ottenuto la cittadinanza, la sua celebrazione, e quando poi ci sono arrivati i passaporti australiani. Ho sentito il cuore esplodere nel petto. Ero diventata ufficialmente cittadina del paese che sento Casa più di ogni altro posto al mondo, e nessuno avrebbe più potuto dirmi che dovevo andarmene via. Lì, mi sono sentita parte di qualcosa di straordinario e orgogliosa di me stessa; ci erano voluti sette anni, ma ce l’avevo fatta! Oggi posso entrare e uscire a mio piacimento dall’Australia.»
La realtà italiana è una buona realtà solo se non si è mai usciti da essa.
«Sono tornata in Italia dopo otto anni e ho riscoperto una realtà anni luce lontana da quella a cui ero abituata in Australia e ancora adesso, dopo quasi tre anni, non riesco ad abituarmi, soprattutto in campo lavorativo. Vivendo in Australia ho capito che la mentalità in Italia è indietro anni luce su tutti gli argomenti e che per i giovani non ci sono le stesse possibilità che ci sono all’estero.
Siamo stati cresciuti con una determinata mentalità sul lavoro che ci fa pensare che ci sia solo quello, che bisogna ritenersi fortunati se hai un lavoro, anche se è tossico o non ti piace. Devi fartelo andare bene, e se non lavori ventimila ore alla settimana allora sei uno scansafatiche. Il posto fisso e indeterminato è l’obbiettivo ultimo della vita, anche a costo della propria salute. Per la maggior parte delle persone non esiste un buon equilibrio tra lavoro e vita personale. Gli stipendi all’estero sono corretti mentre in Italia cercano solo di sfruttarti, di pagarti il meno possibile con contratti assurdi o ancor peggio senza contratto.
Qui cercano schiavi con anni di esperienza per pagarli noccioline. Solo in Italia è richiesta la foto del curriculum, conta la “bella presenza”, o si chiede a una donna se vuole figli in fase di colloquio. Devi essere giovane per poter fare uno stage o un apprendistato, ma devi anche avere l’esperienza di chi ha fatto quel lavoro per vent’anni. Vuoi invece aprire un’azienda? L’iter burocratico è da mani nei capelli – in Australia in tre giorni ero operativa.
Paghi tasse su tasse, anche in anticipo dell’anno successivo, anche se non sai se sarai vivo o morto, ma per sicurezza le paghi lo stesso! Paghi la sanità pubblica ma sei costretto ad andare in quella privata perché prima della disponibilità della visita nel pubblico fai in tempo a morire. Siamo scimmie ammaestrate. Ci hanno inculcato che questa realtà sia quella corretta, che queste modalità di lavoro e di vita in generale vadano bene. Ma quando esci da questa realtà e vedi con i tuoi occhi cosa c’è fuori, comprendi che esiste altro e che puoi averlo anche tu.»
Vivere all’estero non è per tutti.
«Per quanto possa essere spaventoso abituarsi a una nuova realtà e stare lontani da famiglia e amici di sempre, l’esperienza di vita che si fa andando per un periodo all’estero ne vale la pena, sempre e comunque. Ma per un trasferimento definitivo bisogna avere un certo tipo di carattere e credo che incida anche molto il dove si è cresciuti. Siamo tornati in Italia nel 2022 perché a mio marito mancavano affetti e famiglia. Io sono cresciuta a Torino, non ho avuto l’impatto traumatico della “grande città”. Mio marito invece è cresciuto in piccolo paesino e per lui è stato tutto più difficile. Pativa molto la realtà di Sydney, anche banalmente andare a prendere il caffè e non conoscere o chiacchierare con nessuno. A volte è difficile crearsi una cerchia di amici perché molti sono costretti ad andarsene via a causa di visti scaduti.
A Sidney manca la routine, quella che io soffrivo a Torino, ma che per qualcuno può invece essere rassicurante. Sinceramente non so cosa valga di più la pena: essere soddisfatto personalmente in moltissimi campi della vita ma avere pochi amici e poche occasioni per stare con loro, oppure “accontentarsi” a livello personale ma avere più persone con le quali passare il proprio tempo e non sentirsi soli. Questa è una domanda alla quale non trovo ancora risposta.»
Viaggiare o trasferirsi all’estero risolve i problemi?
«Dipende dai problemi. Se il problema è l’aspetto lavorativo o l’insoddisfazione personale, allora sì: andando via avrai sicuramente l’opportunità di migliorare la tua situazione. Se il problema è invece di entità diversa, te lo porterai dietro ovunque andrai. La mia ansia e la mia depressione hanno ormai fatto il giro del mondo, ma non mi hanno impedito di essere felice. C’è anche chi sostiene che non bisogna “scappare dai problemi dell’Italia e rimanere a combattere per migliorare la situazione per il prossimo”. A questi rispondo che la vita è una e che va vissuta nel pieno delle sue potenzialità e, se andare via ci rende più felici, abbiamo tutto il diritto di farlo e di trovare la strada migliore per noi stessi. Personalmente non sarei mai tornata in Italia, l’ho fatto solo per mio marito e perché so che con cittadinanza e passaporto australiani possiamo tornarci in qualsiasi momento.»
“Tornerei in Australia anche adesso, con solo i vestiti che indosso in questo momento e il passaporto in mano”.
Definizione della parola “viaggiare”.
«Viaggiare è vedere posti nuovi, scoprire nuove realtà e culture, ampliare i propri orizzonti e cambiare i preconcetti di vita che ci portiamo da quando siamo nati.»
Ci saluti con un consiglio per chi vorrebbe partire o cambiare vita ma ha paura?
«Non abbiate paura, mai. Sarete sempre in tempo a cambiare idea e tornare da dove siete partiti. Se le cose dovessero andare proprio male, magari tornerete un po’ più poveri, ma sicuramente con un bagaglio di esperienza che in Italia non avreste mai fatto, sia a livello personale sia lavorativo, e questo è un qualcosa che i soldi non possono comprare. Mettetevi in gioco, c’è solo da vincere. Credetemi. Non badate all’età che avete, è un numero importante solo in Italia. Non è mai tardi per fare qualcosa che non avete mai fatto prima.»
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