Ventisei anni, il teatro nel cuore e un’anima che canta tra gli anni Sessanta e il mondo contemporaneo.

Qualche giorno fa ho avuto una chiacchierata interessante con il performer Giacomo Casaula.

Questo giovane artista ha scritto, ideato e strutturato Nichilismi e Fashion -Week, uno spettacolo che suona i giorni d’oggi sulla musica del teatro canzone. Parlando sulle note, viene mostrato come le mode siano capaci di influenzare l’individuo prima e la collettività poi, non senza una generosa dose di autoironia, masticata e rielaborata come la cultura quando diventa pop.

Senza indugio, quindi, vediamo cosa ha da dire questo brillante ragazzo, da dove parte e dove vuole arrivare.

Sono una persona curiosa, Giacomo. Voglio sapere in cosa ti identifichi quando pensi al tuo legame con la musica, che tipo di ascoltatore sei. Mi parli un po’ delle prime dieci canzoni che meglio ti rappresentano?

Ovviamente è molto complesso scegliere solo dieci canzoni in cui mi possa identificare. Però provo a darti le prime dieci che mi vengono d’impulso. Ma il cielo è sempre più blu (Rino Gaetano), Se ti tagliassero a pezzetti (Fabrizio De André), Venderò (Edoardo Bennato), Alice (Francesco De Gregori), Incontro (Francesco Guccini), Il dilemma (Giorgio Gaber), Il liberismo ha i giorni contati (Baustelle), Promiscuità (Thegiornalisti), Secondo me (Brunori Sas), Eppure soffia (Pierangelo Bertoli), Quanno chiove (Pino Daniele).
Ops, ne ho dette undici, mi dispiace!

Qual è il filo rosso che unisce questi brani?

Senza addentrarci in un’analisi filologica dei testi delle canzoni, che ritengo alquanto superflua, credo che l’unico filo rosso possibile sia io: le mie speranze, le mie paure, i miei ideali, le mie cadute, i miei sogni. Tutto quello che mi porto stretto nella mente e nel cuore e che alle volte difficilmente riesco a tirar fuori. I testi tra di loro non hanno un reale filo conduttore unitario, sostanzialmente siamo noi che glielo diamo così come quando ciascuno di noi dà un proprio senso e una propria interpretazione a un quadro di Chagall per esempio.

Ti sei laureato in filologia moderna, hai una base di studi molto classica. Questa tua indole in bilico nel tempo, tra l’antico e contemporaneo, come la coniughi nella tua attività teatrale?

Alla base di tutto ritengo che lo studio e l’approfondimento del mondo classico siano i fondamentali per aprire gli occhi sul mondo in maniera diversa e poi provare a raccontarlo. Prova a immaginare quanto possa essere oggi di una imbarazzante attualità l’Antigone di Sofocle: il rapporto tra leggi codificate ed etica. Il teatro per me è proprio questo, un incredibile contenitore a cavallo tra passato e contemporaneo, con tematiche costanti, eterne, ripetute e modificate nel tempo e nei secoli in relazione alle diverse atmosfere. Quello di cui parliamo oggi in realtà era già stato analizzato, approfondito ed in parte raccontato già nel mondo classico.

Eccoci: Nichilismi e Fashion -Week come sintetizza la tua esperienza di vita? Da che urgenza comunicativa è nata l’opera?

Nichilismi e Fashion -Week sintetizza pienamente il mio lavoro, a partire dal titolo e dal genere, quello del Teatro-canzone; è il mio sguardo sul mondo di oggi e su certe dinamiche giovanili, che attenzione, a volte mi appartengono pienamente e sulle quali provo a giocare con una forte dose di autoironia. Nel contempo però è anche un’analisi urlata di certi meccanismi, di certi alibi dietro ai quali ci nascondiamo troppo spesso e che denotano una fortissima mancanza di responsabilità e di senso di sacrificio al quale siamo troppo spesso abituati: insomma una mancanza di ideali e un costante senso di precarietà. Non ho assolutamente una ricetta risolutiva a tutto ciò, provo a dipingere con dei flash immediati, mode, massificazioni, abitudini che alla fine ti fanno anche sorridere.

Ora giochiamo un po’. Immaginati regista, dimmi qual è la tua tripletta teatrale ideale e perché.

Innanzitutto ho ancora tanto da studiare, da capire, da migliorare per dirigere me stesso e per propormi al pubblico. Trovo assolutamente geniale Neri Marcorè nella sua “normalità” e nella sua complessa semplicità. Ammiro enormemente Fabrizio Gifuni e la sua raffinata intellettualità, e infine Nando Paone, per la sua straordinaria maschera facciale e la capacità di unire in questa maschera comico e tragico.

Ringraziando Giacomo per il piacevole pomeriggio, gli auguro di cuore un enorme in bocca al lupo!