Nella foto vedete una bellissima ragazza di 25 anni, una modella. In questo articolo vi racconterò la sua storia.
La storia di Teddy non è come tutte le altre. Nasce e vive a Boston (Massachusetts) ed è un bambino. Mentre i suoi compagni giocano a fare i supereroi o con le macchinine o a calcio, Teddy si sente di non appartenere a quel mondo. A lui interessano altre cose ma non può dirlo a nessuno. Quando è a casa, di nascosto, si intrufola nell’armadio della mamma e si prova i suoi vestiti: quegli abiti femminili rappresentano per lui un microcosmo nel quale trova finalmente se stesso, sono come una seconda pelle.
Quando si guarda allo specchio si piace e si sente al sicuro. A scuola si trucca e indossa la gonna ma i compagni lo guardano male: lui è un maschio non può comportarsi in questo modo e gli dicono di smetterla. Arrivano gli anni del liceo e i giudizi e le occhiatacce dei compagni non diminuiscono ma diventano sempre più pressanti. Teddy decide di fare finta di niente e continua: se non vogliono che indossi una gonna, allora ne metterà una ogni giorno. Tuttavia la cattiveria umana, come ben sappiamo, si moltiplica come l’Idra di Lerna (il mostro leggendario con nove teste che ricrescevano se venivano tagliate) e a Teddy toccheranno supplizi e cattiverie inimmaginabili e al limite del sopportabile. Viene sempre più isolato dai compagni che ormai non si limitano più solo agli insulti: lo minacciano di morte, gli fanno vedere come lo uccideranno. Per loro è solo uno sbaglio, uno scherzo della natura, feccia. Teddy piange, ingoia ma a volte non riesce più a subire e basta e si ribella. Il preside lo convoca nel suo ufficio dicendogli che tutto ciò che gli sta capitando a scuola è unicamente colpa sua: se non vuole che la gente lo maltratti deve vestirsi e comportarsi come un maschio. Teddy, disperato e umiliato, cerca conforto e aiuto nei suoi genitori. Questi ultimi, conservatori, vengono messi a disagio dal comportamento di Teddy, in particolar modo il padre. Quest’ultimo lo picchia, gli urla che è un frocio, che gli fa schifo, che preferirebbe avere un figlio morto che uno come lui. La madre tuttavia prova a capire e una sera Teddy le confessa che vuole diventare una donna. Lei non ci pensa due volte e decide di aiutarlo. Teddy cambia scuola e si iscrive a un collegio artistico. Finalmente può tirare un sospiro di sollievo: lì si sente a suo agio e nessuno lo guarda male. Addirittura il preside gli chiede se preferisce essere chiamato “lei” o “lui”. Teddy decide, a questo punto, di non voltarsi indietro e di guardare avanti: adesso è Theodora. Poco più che adolescente, a 17 anni, inizia la cura ormonale e la madre fa in modo che venga seguita dai migliori medici. Theodora è bellissima. Nel 2015 inizia a lavorare come modella ma per il momento decide di non rivelare a nessuno la sua vera identità, ha paura che il pregiudizio nei confronti delle persone transessuali potrebbe rappresentare la fine della carriera che tanto sogna. Anche se ormai è una donna a tutti gli effetti, questo conflitto lacerante tra il ciò che è (donna) e il ciò che è stata (uomo) si fa sempre più insopportabile. Deve dirlo a qualcuno, deve urlare al mondo intero la sua trasformazione. Ormai non ha più paura: o la va o la spacca, basta nascondersi. È il 2017 quando rivela di essere un transgender. Con sua grande sorpresa il mondo della moda la accetta. Nel 2019 Chanel la sceglie come volto della sua nuova campagna di beauty. Theodora Quinlivan è la prima modella trans della storica maison parigina.
Quando lessi per la prima volta la storia di Theodora non ho potuto fare a meno di pensare al libro “La Danese” di David Ebershoff e al suo adattamento cinematografico del 2015 dal titolo “The Danish Girl” diretto da Tom Hooper. Entrambi sono liberamente ispirati alla vita di Lili Elbe, nata biologicamente con il nome di Einar Wegener, la prima persona nella storia a sottoporsi a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale e a essere identificata come donna transessuale. La storia di Teddy e quella di Lili le considero edificanti e degli esempi di coraggio e forza di volontà ai limiti del possibile. Entrambe hanno deciso di rischiare il tutto e per tutto per trovare se stesse affrontando mille intemperie, sguardi scandalizzati e colmi di odio provando sulla propria pelle che cosa significa davvero la cattiveria umana ma non si sono mai tirate indietro. Entrambe hanno deciso di abbandonare la crisalide nella quale erano intrappolate per trasformarsi in meravigliose farfalle: libere, senza limiti e autentiche. Entrambe hanno avuto il coraggio di gridare al mondo intero “queste siamo noi”.
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