Oggi, 14 gennaio, è un giorno molto triste per tutti noi amanti del teatro e del cinema o, più semplicemente, potterheads: ricordiamo infatti la prematura scomparsa di Alan Rickman, grande attore che ci ha fatto vivere alcune delle più belle storie mai raccontate.
C’è sempre un po’ di timore reverenziale nel parlare di personaggi così grandi. Come diceva Alan, “se giudichi il personaggio, non puoi interpretarlo”. Lo stesso vale per le persone: se le giudichi non puoi relazionarti con loro, non puoi comprenderle, non puoi raccontarle; non riesci a coglierle nella loro complessità. In questo caso i rischi sono due: offuscare la persona elevandola a idolo (errore dal quale ci ha messo così bene in guardia Flaubert, ricordandoci che non bisogna mai toccare gli idoli, perché la loro doratura ci rimarrebbe sulle mani), oppure ridurla a quanto appare esteriormente e a quanto viene mostrato pubblicamente, per esempio la professione. Alan, invece, era molto di più.
È difficile parlare di qualcuno che non si ha avuto la fortuna di conoscere, soprattutto quando esistono persone che sarebbero molto più accreditate per svolgere questo compito. Perché questo articolo?
Tutto cominciò vent’anni fa, quando la bambina che era la sottoscritta, incurante delle smorfie delle sue amichette, tutte con una cotta per Harry Potter (o al limite per Draco Malfoy), si innamorò del professore più acido e austero della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, Severus Snape. Crescendo, quella bambina volle saperne di più su colui che aveva interpretato così magistralmente il suo personaggio preferito. Ciò non per via del deleterio errore inaugurato da Emma Bovary di confondere persona e personaggio, ma perché questo è quanto teatro e cinema realizzano: sono mezzi potenti che creano uno spazio d’incontro, permettendo di conoscersi, avvicinarsi e integrarsi grazie alla condivisione di emozioni. Nessuno ci ha fatto comprendere e realizzare questo meglio di Alan, vero maestro nel suscitarci emozioni.
Come molti di voi sicuramente sapranno, Alan Sidney Patrick Rickman nasce il 21 febbraio 1946 ad Acton (Londra ovest), in una famiglia della classe operaia. Studia alla Latymer Upper School di Londra, dove si appassiona alla recitazione, ma dopo il diploma frequenta il Chelsea College of Art and Design e il Royal College of Art, specializzandosi in graphic design, considerato un lavoro più stabile e sicuro rispetto a quello di attore. Tuttavia, dopo tre anni di lavoro come grafico, decide di fare della recitazione la sua professione: richiede un’audizione presso la Royal Academy of Dramatic Arts (RADA), che frequenta dal 1972 al 1974; nel mentre si mantiene lavorando come costumista.
Dopo la laurea al RADA, Alan lavora con molte compagnie teatrali prestigiose, ottenendo una rapida e meritata fama internazionale grazie alla sua poliedricità e finezza recitativa; nel 1988 debutta con successo anche al cinema. Fra i suoi ruoli più importanti ricordiamo: il visconte di Valmont nella versione teatrale de Le relazioni pericolose (che gli vale una nomination ai Tony Awards e ai Drama Desk Awards), il Reverendo Slope nell’adattamento televisivo di The Barchester Chronicles, lo spietato Hans Gruber nel thriller Die Hard (per cui viene nominato il 46° miglior personaggio malvagio nella storia del cinema), lo sceriffo di Nottingham in Robin Hood: Prince of Thieves (per cui vince un premio BAFTA come miglior attore non protagonista), Rasputin in Rasputin: Dark Servant of Destiny (premiato con un Golden Globe e con un Emmy Award), Marco Antonio in Antonio e Cleopatra, Severus Snape nella saga di Harry Potter (che gli vale una nomina ai Saturn Awards e agli Scream Awards). Questo straordinario attore si dimostra altrettanto abile come regista, dirigendo sia la versione teatrale che quella cinematografica di The Winter Guest e il film A Little Chaos. Il suo ultimo film è Eye in the Sky (2015), diretto da Gavin Hood.
Nel 1993 Alan viene eletto membro del consiglio della RADA e, successivamente, ne viene nominato vice-presidente. Nel 2009 gli viene anche conferito il James Joyce Award dalla Literary and Historical Society dell’Università di Dublino. Tuttavia i suoi riconoscimenti non finiscono qui: egli viene infatti votato come il diciannovesimo più grande attore vivente sopra i cinquant’anni dall’Empire magazine e, dopo la sua morte, come il più grande attore inglese di tutti i tempi. Inoltre, un linguista e un ingegnere del suono hanno stabilito che “la perfetta voce maschile” sarebbe una combinazione fra le voci di Alan Rickman e di Jeremy Irons. Curioso è il fatto che questa voce languida e profonda che tanto amiamo e che rende Alan immediatamente riconoscibile derivi da un difetto fisico: sembra infatti che l’attore da piccolo non riuscisse a muovere correttamente la mascella inferiore. Ciò dimostra che anche quanto all’inizio sembra un difetto può in realtà essere un’opportunità che ci rende meravigliosi e unici…
Purtroppo, però, nell’agosto del 2015 ad Alan viene diagnosticato un tumore al pancreas, che lo porta a spegnersi a Londra il 14 gennaio 2016, a soli 69 anni.
Quella di Alan Rickman è stata una carriera strabiliante, che ci ha regalato personaggi che ci hanno fatto riflettere, sognare, tremare, divertire, ricordandoci quanto sia importante per la nostra vita e per il nostro benessere narrare e ascoltare storie. Citando le parole di Alan, infatti: «…ascoltare storie è un bisogno umano. Più siamo governati da idioti e non abbiamo alcun controllo sul nostro destino, più abbiamo bisogno di narrarci a vicenda storie su chi siamo, perché siamo, da dove veniamo e su cosa potrebbe essere possibile. Siamo morti come specie se non raccontiamo storie, perché allora non sapremmo chi siamo.»
Tuttavia il suo lascito non si ferma qui. Come è stato detto, «tutto il talento, l’allenamento e l’esperienza del mondo non valgono alcunché senza quel qualcosa chiamato Anima»: e questo è quello che Alan era innanzitutto e che ci ha insegnato a coltivare, come ha voluto condividere con noi Evanna Lynch. Nel ricordare il suo collega, infatti, l’attrice ci ha rivelato le parole rivoltele da Alan in risposta a una richiesta di consiglio: le disse di non preoccuparsi di arrivare “lì”, ma di focalizzarsi sul nutrire la sua anima e sul seguire il suo cuore da un posto all’altro. Parole estremamente sagge e commoventi, che dicono tanto di lui e da cui dovremmo trarre insegnamento, esattamente come dai suoi gesti: tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo, infatti, descrivono Alan come una persona apparentemente seria, ma in realtà profondamente gentile, attenta, disponibile e generosa. A titolo di esempio, sempre Evanna Lynch lo descrive come «una persona davvero adorabile, gentile e generosa», ricordando che «la maggior parte delle persone col suo talento e col suo intelletto sono estremamente impegnate e sono ansiose di fartelo sapere. Ma Alan Rickman non era affatto così. Durante l’ora in cui sedetti con lui riuscì a essere completamente presente, gentile, attento e curioso nei confronti di qualcuno che non si aspettava o che non cercava quello da lui. Questo dice tanto di lui.» Concorda con lei Daniel Radcliffe, il quale afferma che «se chiami Alan, non importa in che parte del mondo egli si trovi o quanto impegnato egli sia con quello che sta facendo, lui tornerà da te entro un giorno.» Kate Winslet ricorda il grande attore come «cordiale e generoso» e John McTiernan lo definisce «l’antitesi dei ruoli malvagi per cui era famoso sullo schermo».
Per tutta la sua vita, inoltre, Alan si è impegnato in azioni umanitarie, ricoprendo importanti posizioni all’interno di associazioni benefiche e caritative, dedite per esempio ad aiutare i rifugiati o a sconfiggere la povertà fra gli artisti dello spettacolo di tutto il mondo. Ne ricaviamo quindi l’immagine di una persona gigante ma umile, come tutti i grandi, consapevole della propria responsabilità («Il talento è una combinazione casuale di geni – e una responsabilità»), ma anche della propria imperfezione, a cui guarda con profonda autoironia («Prendo il mio lavoro seriamente e il modo per fare ciò è non prendere te stesso troppo seriamente»).
In conclusione, Alan Rickman è stato indubbiamente un grande uomo, che ci ha insegnato a seguire il nostro cuore ma ad avere disciplina («Penso ci sia una qualche connessione fra assoluta disciplina e assoluta libertà»), a essere seri ma a guardare la vita con un sorriso («Penso debbano esserci risate in ogni cosa. A volte è una porta sbattuta, una torta in faccia o solo il riconoscimento delle nostre fragilità»). Attraverso i suoi personaggi ha fatto sì che guardassimo il mondo (e noi stessi) con occhi diversi e, mentre desiderava che «la vita potesse essere un poco più gentile e l’arte un poco più forte», con la sua arte ci ha fatto sentire che in fondo può essere così, perché l’arte ha davvero in sé ciò che serve per migliorare la vita e per cambiare il mondo. Come lui stesso riconosceva, infatti, «un film, un’opera teatrale, un’opera musicale, o un libro può fare la differenza. Può cambiare il mondo». Del resto, come qualcuno ha detto, the earth without art is just eh.
Parlando di uno dei suoi personaggi più famosi e amati dal pubblico, Severus Snape, Alan Rickman ha commentato: «Ogni anno, per sette settimane, indossavo lenti a contatto nere, ritrovando un vecchio amico e una parte di me stesso.» Noi possiamo dire altrettanto di lui: ogni volta che vogliamo, quando accendiamo uno schermo o semplicemente la nostra memoria, ritroviamo un maestro, una guida, un amico e una parte insostituibile di noi. Questo è quanto Alan è stato e sarà, come i potterheads amano dire, sempre.
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