Il Settecento è il secolo d’oro dei viaggi, grazie soprattutto alla ricorrente pratica dell’aristocrazia europea del Grand Tour. Secondo la quale la formazione dei giovani di buona famiglia doveva trovare il suo compimento in un viaggio culturale, che dai libri e le lezioni dei precettori li portasse a conoscere luoghi, cultura, arte e civiltà nelle principali capitali d’Europa. E spesso con una propensione a indugiare in lungo e in largo nella penisola italiana.
Il Grand Tour. Tale usanza, nell’immaginario collettivo, potrebbe sembrare prerogativa maschile. Giacché in effetti la posizione della donna era ben delineata all’interno delle mura domestiche e oltre quei confini spesso si fa fatica a pensarla, specie in determinati periodi storici. Eppure Attilio Brilli insieme a Simonetta Neri nel libro “Le viaggiatrici del Grand Tour” aprono visuali sconosciute o forse poco note. E Pongono l’attenzione su “intraprendenti signore che appartenevano quasi esclusivamente alla nobiltà del sangue e a quella del denaro” che diventano anch’esse protagoniste del Grand Tour.
E non parliamo di racconti metropolitani desunti dalle chiacchiere dei signori viaggiatori ma di un’acclarata partecipazione, testimoniata con rigore dai loro scritti. Una volta tanto non sono gli uomini a parlare per conto delle donne. Ma le nostre signore sono spettatrici, protagoniste e narratrici secondo la propria sensibilità e natura, attraverso opere epistolari (talvolta solo fittizio, come espediente narrativo), giornali di viaggio, destinati alla pubblicazione e a diventare potenziali guide per coloro che si avviavano lungo i percorsi del Gran Tour, alla stregua di ciò che già facevano intellettuali-viaggiatori dell’epoca.
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Il Grand Tour come viaggio di formazione e affrancamento
Quando la presenza femminile iniziò a manifestarsi nella consuetudine dei viaggi e nella letteratura a questi legata non fu di sicuro accolta senza sarcasmi e riserve. Laddove non era accompagnata da maldicenze di ogni sorta. Ad esempio sulle dame inglesi in partenza per il continente erano frequenti le illazioni riguardo alla loro condotta, che si mostrava irreprensibile in patria per diventare tutt’altra appena mettevano piede a Calais.
“Nei romanzi picareschi di Tobias Smollet si dice che, sulle donne, i viaggi non hanno altro effetto che spingerle a incrementare spese e stravaganze per poter seguire la moda nel vestire e in ogni altro campo”.
Spiega Attilio Brilli nel suo studio su “Le viaggiatrici del Grand Tour”. E continua:
“Le gazzette sono molto più malevole pronosticando, quali futuri eredi di nobili casati le cui donne hanno fatto il Grand Tour, i figli di qualche maestro di ballo francese o pedagogo italiano.”
Per non parlare della loro credibilità, soprattutto dei loro scritti, dei resoconti dei viaggi. Anche in queste circostanze il cammino delle donne non è stato in discesa. E ha dovuto affrontare non pochi pregiudizi, sgomitando per potersi accreditare come “viaggiatrici curiose, originali e soprattutto indipendenti nei giudizi”. In barba alle consuetudini dell’epoca che volevano donne “addomesticate”, votate alla famiglia e alla casa, prive di ambizioni per sé e per la propria cultura, alcune trovano il coraggio (o per altri, l’avventatezza) di affrancarsi da questa condizione. E con appassionata determinazione decidono di non reprimere il loro amore per la cultura, le loro aspirazioni, ma anzi di coltivarle, approfondirle, nutrirle, come gesto di autonomia.
E quest’atteggiamento trova piena manifestazione nell’espletamento e nella narrazione del Grand Tour, il viaggio di formazione e accrescimento culturale per antonomasia.
Molte donne nel corso dei loro viaggi scrivono relazioni che mettono in luce una sensibilità topografica, storica e antropologica non comune, mentre altre realizzano album di disegni e acquerelli altrettanto importanti per il loro contributo documentario. Nella nuova veste di viaggiatrici, le donne – aristocratiche e borghesi – riescono a portare valore aggiunto al significato del Grand Tour. Stimolano con il loro esempio lo spirito di emulazione e inoltre tendono a distinguersi dagli uomini. Sostituendo la tradizionale ricerca erudita con un più vasto ventaglio di interessi. E una certa attenzione verso i costumi e le condizioni sociali delle popolazioni, con un occhio particolare su istituzioni e costumi che riguardavano le donne.
Per esempio la figura del cicisbeo, del cavalier servente, viene in genere interpretata come segno della libertà di cui la donna italiana godeva (per vantaggio di rango), declassando l’uomo a un ruolo servile. Allo stesso modo però trovavano aberrante la reclusione volontaria alla quale si votava le suore, diventando metafora della femminile.
Come vestivano le grand-tourist?
Grazie alla letteratura di viaggio apprendiamo anche dettagli, abitudini e indicazioni sull’abbigliamento delle viaggiatrici. Si deve però specificare che per affrontare i luoghi, e spesso scomodi, viaggi in carrozza e le ore nelle locande di posta, le grand-tourist sono disposte a rinunciare a un’etichetta del vestire non troppo elaborata. Il viaggio di fatto impone un dress code che sappia assecondare le posture diverse e differenti condizioni metereologiche, protendendo per capi semplici e pratici. Le donne indossavano ampie cappe con cappuccio. Soprabiti con pellegrinetta. E giacchette-rendigote di raso e imbottite, liberandosi così delle scomodi corsetti con le stecche d’osso di balena.
A chi intraprendeva un viaggi si consigliava di far cucire una tasca interna al soprabito o alla gonnella per nascondervi oggetti di valore, denaro o un’arma da taglio.
Nel periodo di transito tra il XVIII e il XIX secolo, la nuova tendenza è quella di adottare un abbigliamento dallo stile mascolino. Abiti sciolti e informali, seppure un simile vestiario le rendevano facile bersaglio di battute sarcastiche e sguardi di disapprovazione. Inoltre tra le viaggiatrici di estrazione borghese si diffonde l’abitudine di far uso di abiti smessi, comodi per i movimenti e resistenti all’usura. Diventa comune fra i copricapo da viaggio un tipo di cappello a cuffia. Il cosiddetto chapeau cabriolet, mentre tra gli accessori immancabili, oltre al ventaglio e all’ombrellino, troviamo il bâton de voyage.
E non dimentichiamo il trucco, come non ne facevano a meno le nostre signore, ma senza esagerazioni.
“Con un misto di curiosità e di ammirazione, Madame du Boccage nota il pallore naturale delle donne italiane, le quali fanno ameno di cipria e belletti, e osserva che in questo modo lasciano trasparire meglio l’espressione dei sentimenti. Per conformarsi a questa loro consuetudine, usa lei stessa meno trucco possibile ammettendo che, dopo tutto, troppa cipria sul volto non s’adatta a chi viaggia in paesi caldi nei quali si ha spesso il fazzoletto in mano per asciugare il sudore.”
La “comare di Bath” e la prima guida da viaggio al femminile
Tra le donne protagoniste del libro di Attilio Brilli e del Grand Tour declinato in rosa, ci sono nomi che hanno un’eco che in pochi oggi ignorano. Come la pittrice Elisabeth Vigèe Le Brun, le scrittrice Madame de Staël e Mary Shelleyuna. Ma anche altri meno noti o più spesso ignorati: una delle figure che vanno di certo ricordate è quella della ricca ereditiera Anna Riggs Miller.
Nei salotti alla moda la chiamavano la “comare di Bath” ed è stata autrice di tre volumi di “Letters from Italy” indirizzate alla mamma con un quotidiano racconto del suo viaggio nel Bel Paese su “gli usi, i costumi, le antichità, le pitture” (come dice lo stesso sottotitolo del libro). Le sue lettere costituiscono a tutti gli effetti una cronaca esaustiva riguardo alle bellezze naturali, i monumenti architettonici antichi e moderni, i palazzi, le ville, i giardini e soprattutto le collezioni di pittura e scultura pubbliche e private, con un’attenzione particolare a quegli aspetti e quei luoghi che non erano stati presi in dovuta considerazione o trascurati dalle guide di autori famosi, che tra l’altro lei accusa di copiarsi a vicenda reiterando gli stessi errori.
Il resoconto del viaggio redatto dalla Miller è da considerarsi a buon merito il primo esemplare di guida dell’Italia scritta da una donna,
“Una guida originale, piena di confronti con altri manuali dell’epoca e documentata con cura”.
Sarebbe interessante procurarsi uno di questi testi. E magari ripercorrere i passi delle viaggiatrici del Grand Tour. Confrontando i luoghi di oggi con quelli descritti nei secoli scorsi, essere una grand-tourist dei giorni nostri.
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