Matthew Shepard è divenuto tristemente celebre per essere stato brutalmente massacrato da due suoi coetanei nel 1998. Il motivo? Matthew era omosessuale. Il suo caso salì in fretta agli onori della cronaca trasformando Matthew in un simbolo della lotta all’omofobia e alla discriminazione delle persone LGBT.

Matthew nacque a Casper, nel Wyoming, il 1° dicembre del 1976. Nel 1992 il resto della famiglia si trasferì in Arabia Saudita (il padre, Dennis, era ingegnere dirigente dell’azienda petrolifera saudita Aramco), mentre Matthew decise di andare a vivere in Svizzera, a Lugano. Lì si dedicò con molta passione e profitto alla scuola ma anche alle attività teatrali, interessandosi al contempo allo studio della lingua tedesca, francese e italiana.

Ritornato in patria nel 1995 Matthew si iscrisse alla facoltà di Scienze Politiche all’Università del Wyoming. Il suo sogno era quello di intraprendere la carriera diplomatica. Un sogno che, ahimè, non divenne mai realtà.

La brutale aggressione

La lunga agonia alla quale fu sottoposto Matthew Shepard ebbe inizio intorno alla mezzanotte del 7 ottobre del 1998. In un bar incontrò Aaron James McKinney e Russell Arthur Henderson, i suoi futuri aguzzini.

Rassicurato dal comportamento apparentemente amichevole dei due, Matthew chiese loro un passaggio per tornare a casa. A casa Matthew non ci tornò mai.

I due ragazzi portarono Matthew in un luogo completamente isolato e, quando fece per scappare, fu afferrato e legato a una staccionata di legno lì presente.

Completamente bloccato e incapace di difendersi o di reagire, McKinney e Henderson iniziarono a colpirlo con il calcio di una pistola.

Percossa dopo percossa, colpo dopo colpo la follia omicida divenne inarrestabile.

Matthew venne lasciato legato alla staccionata ormai agonizzante e completamente coperto di sangue, tranne nei punti in cui le sue stesse lacrime lo avevano lavato via.

Matthew era ancora vivo quando fu portato di corsa in ospedale.

Riportava una grave frattura dalla nuca fino oltre l’orecchio destro. Parte del cervello era stata danneggiata irrimediabilmente compromettendo la capacità di regolare le funzioni vitali. Furono riscontrate inoltre circa una dozzina di ecchimosi e profonde ferite sulla testa, sul collo e sulla faccia.

I medici del centro traumatologico del Colorado giudicarono le sue lesioni troppo gravi per poter essere operate.

Matthew Shepard rimase sempre in stato di completa incoscienza fino alla sua morte avvenuta poco prima dell’una del mattino del 12 ottobre. Aveva 21 anni.

L’arresto e il processo

L’arresto di McKinney e Henderson non tardò ad arrivare. I due criminali, infatti, vennero arrestati dalla polizia quasi per caso, in quanto si erano fatti coinvolgere in una rissa ai danni di due ragazzi ispanici.

In seguito all’arresto, la polizia rinvenne nel loro pick-up l’arma insanguinata insieme alle scarpe e alla carta di credito rubate a Matthew.

McKinney e Henderson tentarono invano di procurarsi un alibi venendo poi arrestati con l’accusa di rissa, sequestro, aggressione, lesioni, rapina a mano armata e omicidio volontario.

Quando il processo iniziò, gli avvocati di McKinney e Henderson portarono come argomentazione la cosiddetta “difesa da panico gay” sulla base di presunte avances di Shepard nei confronti dei due coetanei.

Questa strategia difensiva, tipicamente anglosassone, è atta ad attribuire agli accusati una temporanea infermità mentale e contemporaneamente colpevolizzare la vittima.

Ma questa carta lanciata dalla difesa si rivelò debole e l’efferatezza del crimine ebbe la meglio su tutti i vani tentativi da parte degli imputati di difendersi e giustificarsi.

All’epoca dei fatti, tra il 1998 e il 1999, lo Stato del Wyoming prevedeva la pena di morte (e la prevede tutt’ora) tramite iniezione letale o camera a gas. Henderson la evitò testimoniando contro McKinney.

Ma i genitori di Matthew, seppur distrutti dalla tragedia che li aveva colpiti, decisero di risparmiare la pena di morte al secondo assassino.

All’udienza finale pronunciarono queste poche ma potenti parole: “Noi stiamo risparmiando la sua vita in memoria di uno che non ce l’ha più”.

McKinney e Henderson, condannati in via definitiva, scontano tutt’ora due ergastoli ciascuno, senza possibilità di ricorrere in appello e di essere rilasciati per buona condotta.

L’impatto sulla cultura di massa

L’omicidio su basi omofobe di Matthew Shepard innescò una catena di manifestazioni di solidarietà che portarono il caso alla ribalta mediatica.

Tra tutte le celebri personalità che hanno espresso la loro vicinanza alla famiglia Shepard troviamo Coretta Scott King, vedova di Martin Luther King, la quale scrisse una lettera alla madre di Matthew, Judy.  

Ma le manifestazioni da parte di gruppi omofobi al funerale di Matthew portarono i genitori a decidere di conservare privatamente le ceneri del figlio per timore che gli omofobi profanassero o vandalizzassero la sua tomba.

Judy e Dennis sono ancora oggi vivi sostenitori dei diritti gay ed educatori alla tolleranza.

L’allora presidente Bill Clinton decise di estendere la legge per crimini per pregiudizio anche ai crimini commessi nei confronti di persone gay, lesbiche e disabili. Ma la maggioranza Repubblicana della Camera dei Rappresentanti contestò fortemente questa proposta e i successivi tentativi per concretizzarla.

Solo dieci anni dopo, nel 2009, l’amministrazione Obama riuscì a varare il Matthew Shepard Act. Questo provvedimento fa rientrare all’interno dei crimini d’odio anche i crimini motivati da genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità, percepita o reale della vittima.

La storia di Matthew ha portato diversi registi a realizzare delle opere cinematografiche. Tra queste troviamo: The Laramie Project (basato sull’omonimo dramma teatrale), The Matthew Shepard Story e Anatomy of a Hate Crime.

Anche il mondo della musica non è rimasto indifferente a questa tragedia. Tra le cinquanta canzoni dedicate a Matthew risalta American Triangle (2001), composta ed interpretata da Elton John. È una canzone triste, toccante e piena di metafore, le cui strofe condensano perfettamente il dramma di ciò che è accaduto:

Ho visto uno spaventapasseri avvolto nel filo metallico / lasciato a morire su un’alta recinzione / […] odiamo ciò che non capiamo / […] da qualche parte la strada si biforca / verso l’ignoranza e l’innocenza / tre vite alla deriva su venti diversi / due vite rovinate, una vita finita.     

Fonti

Matthew Shepard (biografia)

Matthew Shepard: 23 anni fa l’omicidio omofobo che ha segnato la storia d’America