Abbiamo incontrato Prisca Hartmann Gulienetti, modella italiana con il diabete di tipo 1, da poco diventata anche sub. Un traguardo che, fino al 2017, era vietato per legge alle persone con questo tipo di patologia.

Modella, attrice, producer e attivista della Fondazione Italiana Diabete, per supportare la ricerca di nuove cure. Prisca è un esempio di coraggio e tenacia e ci racconta come sia possibile affrontare ogni giorno la malattia di cui è affetta.

Quando è stato il punto di svolta tra la tua carriera di modella e la sensibilizzazione al diabete?

Circa 5 anni fa, a seguito di una sfilata in cui mi è stato chiesto di togliere il sensore (per le glicemie) per un fattore estetico. Ho deciso che mi sarei imposta di tenerlo sempre. Anche perché quando si lavora sotto stress, proprio quello è il momento cruciale in cui avere il sensore e monitorare la glicemia costantemente è necessario. Prima, purtroppo, mi adattavo alle richieste da parte degli stilisti e lo staccavo (e in alcuni casi essi non sono poi riutilizzabili). L’importante per me è tenerlo addosso, poi che venga a volte coperto o photoshoppato poco mi importa. Negli anni ho avuto anche il piacere di conoscere designer che apprezzavano la mia lotta alla sensibilizzazione. E soprattutto la persona e la personalità che c’era dietro quel sensore, rendendo il sensore attaccato alla pelle quasi protagonista del messaggio dello shooting.

Dopo aver scoperto di essere diabetica, com’è cambiata la tua vita?

Negli anni ho messo in pausa molte aspirazioni per colpa del diabete, principalmente per paura che mi potesse succedere qualcosa.  Poi, piano piano, mi sono posta delle asticelle sempre più alte, fino ad arrivare a fare cose che anche una persona “sana” farebbe fatica a fare! (ride, ndr). Prima, anche mangiare una pizza con i compagni di scuola poteva rappresentare un ostacolo insormontabile, ora eccomi qua: ho girato mezzo mondo con uno zaino, sono stata in India, Giappone, Sudafrica, Brasile, Costa Rica, Messico, Argentina, Cile… Ho superato i 5000 metri di altitudine in Bolivia e da pochissimo, a gennaio 2024, ho ottenuto un brevetto per immersioni subacquee fino a 30 metri, in Thailandia.

Ai diabetici era vietato fare immersioni, come sei arrivata a questo importante traguardo?

Fare immersioni per i diabetici era vietato per legge fino al 2017! Ricordo che, poco prima del mio esordio nel 2012, i miei genitori mi avevano regalato una pinna da apnea, per poi scoprire con amarezza che non avrei potuto fare mai nella mia vita apnea. Nei propositi del 2022 mi ero prefissata di avere delle analisi del sangue perfette e un’eccellente emoglobina glicata per ottenere il certificato medico che mi abilitasse a prendere il brevetto. Ho chiuso il 2022 con una glicata a 6,3 e il certificato in mano. In Thailandia non c’erano altri studenti diabetici, ma il mio istruttore era bene informato sulla questione.

Che tipo di brevetto hai raggiunto?

All’inizio mi sarei accontentata anche di un brevetto “padi open water” a 18 metri, ma, concluso quello, a gennaio ho scritto alla mia diabetologa e al mio medico chiedendo se avessi potuto azzardare a prendere anche quello “advanced” da 30 metri, dopo che il mio istruttore stesso mi aveva messo “la pulce nell’orecchio”. Dopo un probabile quasi infarto della mia diabetologa che, povera, già ogni mese le faccio venire un capello bianco, abbiamo studiato telefonicamente, grazie anche all’aiuto dei fondatori di diabetesommerso (associazione italiana che aiuta i ragazzi diabetici a immergersi), come si sarebbero potute comportare le mie glicemie a tali profondità. E quali sarebbero state le precauzioni da prendere sia prima che dopo l’immersione. Alla fine di tutti questi studi ipotetici e non, precauzionali e non, ho preso il brevetto di Advanced Open Water. Così, una volta capiti i meccanismi e i trucchetti per gestire il diabete sott’acqua, ho potuto godere di immersioni magiche, vedendo con i miei occhi pesci di ogni genere, relitti, barriere coralline… è stato emozionante! Sono appena tornata dal Mar Rosso dove ho completato 20 immersioni totali e, chissà, magari in futuro potrei diventare anche Divemaster… Povera diabetologa!

In base alla tua esperienza, che cosa significa gestire questa patologia anche in famiglia?

Io ho sofferto l’esagerata “infermierizzazione” da parte dei miei genitori. Quindi, cari genitori, aiutate vostro figlio affinché abbia il diabete e non SIA diabetico. La sua giornata non deve assolutamente girare intorno al diabete, non siete i suoi infermieri, date delle piccole responsabilità goccia a goccia. I vostri figli potranno fare tutto nella vita. Ma voi dovete essere i primi a credere in noi, a sbagliare insieme e a comprendere come migliorarsi sempre di più, aiutarci a far diventare il diabete un accessorio e non un motivo di abbattimento. E, soprattutto, se vedete che vostro figlio da solo non ce la fa e non si sente compreso, portatelo da uno psicologo. A me ha salvato la vita!

Cosa si può fare per la ricerca sul diabete?

Sicuramente aiutare con una piccola donazione a Fondazione Italiana Diabete, che si occupa di ricerca sul diabete di tipo 1. Poi per i più spavaldi si può partecipare anche a qualche trial medico (uno dei centri maggiori, in Italia, è il san Raffaele a Milano) per aiutare a dare qualche informazione cruciale a dare una svolta definitiva nella ricerca di una cura al diabete di tipo 1. 

N.B. Di Prisca avevamo parlato già due anni e mezzo fa, in un articolo per la sensibilizzazione al diabete di tipo 1 in cui raccontammo di Lila Moss, figlia di Kate, anche lei modella diabetica (per l’articolo completo clicca qui). Per fare una donazione alla Fondazione Italiana Diabete clicca qui.

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Immagine di copertina di Prisca Hartmann Giulienetti @magicaprisca