«La morte lascia un dolore che nessuno può curare, l’amore lascia un ricordo che nessuno può rubare». Così recita una lapide irlandese e così è come ci sentiamo noi oggi, a un mese dalla scomparsa di una donna forte e meravigliosa sotto moltissimi punti di vista, Helen McCrory.
Un tumore ce l’ha strappata a soli 52 anni, in un modo troppo brutale e troppo inaspettato, a un’età in cui nessuno dovrebbe morire. Niente può quindi compensare questo dolore, in particolare quello della sua famiglia, a cui ci stringiamo, ma niente può cancellare quello che Helen McCrory è stata e quello che ci ha lasciato con il suo esempio e con la sua arte, che rimarrà con noi (e quindi in vita) per sempre. Infatti, come ci insegna una grande saga che ha contribuito a far conoscere Helen al grande pubblico «le persone che ci amano non ci lasciano mai veramente, possiamo sempre ritrovarle nel nostro cuore » e « non se ne andranno mai veramente finché qualcuno le ricorderà e sarà loro fedele ».
Helen Elizabeth McCrory nasce il 17 agosto 1968 nel quartiere londinese di Paddington, la prima di tre fratelli. Frequenta la Queenswood School nello Hertfordshire e trascorre successivamente un anno in Italia. Tornata in Inghilterra, inizia a studiare recitazione al Drama Centre di Londra.
Debutta sul palcoscenico nel 1990 con The importance of being Ernest, primo ruolo di una fulgida carriera, che vede l’attrice nei panni di importanti personaggi, fra cui Lady Macbeth in Macbeth, Olivia in Twelfth Night e Rosalind in As you like it.
Esordisce al cinema nel 1994 con un piccolo ruolo in Intervista col vampiro, accanto a Brad Pitt e Tom Cruise, per poi farsi strada e affermarsi come volto importante anche sul grande schermo con film come Anna Karenina, Becoming Jane e Casanova.
Nel 2005 viene scritturata per interpretare Bellatrix Lestrange nella famosa saga di Harry Potter ma, a causa della sua gravidanza, il ruolo passa a Helena Bonham Carter. Il suo momento arriva due anni dopo, quando viene scelta per interpretare la sorella di Bellatrix, Narcissa Malfoy. Come avrebbe detto Luna Lovegood, «le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi, anche se non sempre nel modo che ci aspettiamo»; noi fan siamo grati di avere avuto una Narcissa così perfetta.
Helen McCrory continua a interpretare importanti ruoli, fra cui ricordiamo Cherie Blair in The Queen, Polly Gray in Peaky Blinders, Madame Kali in Penny Dreadful, Emma Banville in Fearless, Medea nell’omonima tragedia. Il 31 dicembre 2016 viene nominata Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico “per i servizi all’arte drammatica”.
Il 4 luglio 2007 Helen McCrory sposa l’attore e produttore Damian Lewis da cui ha due figli, Manon e Gulliver.
L’attrice è sempre stata attiva in ambito sociale e caritativo, ricoprendo il ruolo di presidente onoraria della fondazione benefica per bambini “Scene & Heard” e sostenendo insieme al marito, durante la pandemia di Covid-19, la raccolta fondi Feed NHS, che ha distribuito migliaia di pasti al giorno a molti ospedali inglesi.
Purtroppo, Helen McCrory ci lascia precocemente a soli 52 anni, a causa di un tumore che ce la sottrae il 16 aprile 2021.
A poco più di un mese da questo triste giorno vorrei ricordare questa grande donna e attrice mettendo in risalto quanto ci ha insegnato, sia con la sua vita sia con i suoi personaggi: penso infatti che Helen possa essere una fonte di ispirazione e un modello per tutte noi. In una società come quella di oggi, dove spesso a vincere sono le leggi del denaro e del profitto, dove pertanto bisogna essere sempre performanti, veloci, in carriera, dove spesso le donne sono discriminate, lasciate sole e indotte a vedere la maternità e la famiglia come un ostacolo alla loro libertà e alla loro realizzazione, il percorso e i ruoli interpretati da Helen ci mostrano il contrario: conciliare questi due aspetti è possibile, anzi, una donna non deve rinunciare ad alcunché se lo desidera, le barriere poste dalla società sono dei limiti di quest’ultima, non delle donne.
Moglie e madre di due figli e al contempo superlativa attrice, Helen McCrory ci ha stupiti con la sua versatilità interpretando ruoli molto diversi fra loro ma, a mio parere, collegati da un filo rosso: tutti i personaggi a cui ha dato un volto sono donne di incredibile forza e impeccabile stile, non perfette (tuttavia sono proprio i loro errori a renderle così umane e vicine a noi), ma che con la loro intelligenza e il loro sangue freddo spesso riescono a salvare la situazione e a influenzare pesantemente il mondo che le circonda, come nessun uomo riesce a fare. In particolare, mostrano come la maternità non metta “fuori gioco” una donna, non la releghi in casa ma anzi, le regali un potere, un valore aggiunto e un’autorità ad altri sconosciuti, quindi ancora più formidabili.
Ho deciso di ripercorrere cinque dei ruoli più celebri di Helen McCrory, che le hanno dato (meritatamente) fama mondiale: Narcissa Malfoy nella saga di Harry Potter, Polly Gray nella serie televisiva Peaky Blinders, Kathryn Villiers nella miniserie televisiva MotherFatherSon, Emma Banville nella serie televisiva Fearless e Medea nell’omonima rappresentazione teatrale della tragedia di Euripide nella versione di Ben Power.
Narcissa Black Malfoy è un personaggio assai intrigante, tanto controverso quanto amato. È descritta come una donna bella ed elegante, con carnagione, capelli e occhi chiari. È la moglie di Lucius Malfoy, un ricco mago purosangue seguace di Lord Voldemort (il “cattivo” per eccellenza, che vuole prendere il potere ed eliminare tutti i maghi non di sangue puro). La nostra eroina da Lucius ha avuto un figlio, Draco, che ama sopra ogni cosa. Purosangue ella stessa, Narcissa condivide le idee del marito e del signore oscuro, ma fin da subito si dimostra diversa rispetto agli altri mangiamorte: Narcissa, infatti, è l’unica seguace di Voldemort a non avere il marchio nero, segno, in qualche modo, della sua indipendenza e della sua non totale appartenenza a questo gruppo. Con lo stile e l’intelligenza che la contraddistinguono, Narcissa rimane sempre nelle retrovie (basti pensare che compare per la prima volta nel quarto libro), non si mette in mostra, ma, quando decide di agire, ogni sua azione va a segno e incide profondamente sull’andamento degli eventi, al punto addirittura di determinare la sconfitta di Voldemort e quindi le sorti del mondo magico. Narcissa è rispettata da tutti ed è una figura fondamentale sia per il marito che per il figlio: entrambi nei momenti di difficoltà si rivolgono a lei, certi delle sue abilità, del suo amore e del suo aiuto. È infatti alla famiglia, in particolare a Draco, che va la totale lealtà di Narcissa: quando il figlio è in pericolo, per poterlo salvare ella non esita a voltare le spalle a Voldemort, riuscendo in un’impresa impossibile per i più, mentire al signore oscuro. Narcissa salva la vita a Harry in modo da poter entrare a Hogwarts e portare in salvo Draco: non le interessano le eventuali altre conseguenze del suo gesto, le basta che suo figlio sia al sicuro. Pertanto, dobbiamo in buona parte a lei la salvezza del mondo magico. Certo, Narcissa non compie questa scelta in virtù degli ideali che animano i Grifondoro, condivide idee che definiremmo razziste, sa essere spietata e distante, ma, in fondo, il tratto che più la caratterizza e in nome del quale agisce sempre è l’amore per la sua famiglia. Ricordiamo che, riferendosi a Draco, pronuncia le stesse parole con cui Molly Weasley definisce Harry: «È solo un ragazzo.» Inoltre, pur di salvare suo figlio, è pronta a rischiare la sua stessa vita, proprio come Lily Evans Potter ha fatto con Harry. Non a caso, mentre tutti i membri della famiglia Black portano il nome di una costellazione, Narcissa ha il nome di un fiore, esattamente come Lily.
Donna altrettanto imperfetta e a volte perfida, ma estremamente abile, devota alla sua famiglia e capace di farsi amare è Polly Gray, zia dei fratelli Shelby, la cui Compagnia controlla la città di Birmingham. Polly è una donna che ha sofferto molto: ha quasi perso la vita in seguito a un aborto da giovanissima, successivamente le sono stati sottratti due figli, ha rischiato di essere giustiziata per i crimini della sua famiglia e ha dovuto lottare con la conseguente dipendenza dall’alcool. Tuttavia Polly si è sempre rialzata con una forza ammirevole e, anche se non sempre nel migliore dei modi, considerate le attività criminali degli Shelby, è sempre stata un insostituibile punto di riferimento per i suoi familiari e ci ha catturati con la sua forte personalità e il suo carisma. Polly, infatti, si occupa egregiamente degli affari di famiglia mentre i suoi nipoti sono in Francia a combattere durante la Grande Guerra e, al loro ritorno, sarà l’unica persona da cui Thomas, ora a capo della famiglia, si farà consigliare. Thomas riuscirà anche a ritrovare il figlio sottratto alla zia quando era solo una giovane madre, e da questo momento Polly si riavvicinerà al figlio e farà di tutto per proteggerlo.
Un altro personaggio costretto ad allontanarsi dal figlio ma che poi gli si riavvicinerà amorevolmente è Kathryn Villiers, ruolo magistralmente interpretato da Helen McCrory in MotherFatherSon. Kathryn ha divorziato dal marito Max, con cui ora ha un pessimo rapporto e per colpa del quale ha dovuto abbandonare il suo bambino di dieci anni. Quando, però, anni dopo il figlio ha un incidente, Kathryn tornerà più determinata che mai a stargli vicino, affrontando coraggiosamente gli inevitabili rinnovati contatti col marito.
Non ha paura di lottare contro tutto e tutti per ciò in cui crede anche Emma Banville, protagonista di Fearless, aggettivo che descrive perfettamente la vita di Helen e quella dei suoi personaggi: Emma è un avvocato per i diritti umani che si impegna per dimostrare l’innocenza del suo assistito, accusato dell’omicidio di un’adolescente. Kevin Russell (questo è il nome del detenuto) si proclama innocente ed Emma ritiene che la sua condanna sia un errore giudiziario; pertanto, con grande coraggio e tenacia, farà di tutto per scoprire la verità…
Donne imperfette, che senza dubbio commettono degli errori (tuttavia chi di noi non ha un lato oscuro o dei pregiudizi?), ma intelligenti e carismatiche e profondamente buone e leali. Chi non vorrebbe essere come loro?
Infine, personaggio-limite ma altrettanto interessante è Medea. Protagonista dell’omonima tragedia greca, è un personaggio inquietante, ma che fa riflettere sulle problematiche della nostra società. Nell’immaginario collettivo Medea si configura come una specie di serial-killer e, in effetti, è una donna molto preoccupante. Innamoratasi di Giasone, per lui tradisce la propria famiglia e uccide il fratello; segue poi l’amato in terra straniera e da lui ha due figli, ma, quando l’uomo la lascia per una nuova vita, Medea uccide prima l’amante di Giasone e poi i suoi stessi figli. Storia agghiacciante, che, però, vuole comunicare più di un “semplice” gesto di pazzia. Secondo alcuni critici l’atto di Medea è motivato dalla vendetta: ella trasforma la mancanza che avverte dentro di sé in arma per annientare Giasone, ma in questo modo condanna anche se stessa, perché ama i propri figli. Il suo essere vittima, però, ha radici molto più profonde: Medea rappresenta l’oppressione cui spesso purtroppo sono sottoposte tre categorie di persone, le donne, gli stranieri e i diversi. È una donna, pertanto ha meno libertà e meno diritti rispetto a un uomo, è una maga e per di più proviene dall’estremo oriente, perciò è guardata con sospetto e criticata da tutti. Come afferma la storica Eva Cantarella, Medea è quindi una figura tragica indipendentemente dalla sua storia con Giasone, è la figura dell’esule: è costretta ad abbandonare la patria con i suoi figli, deve cercare un nuovo posto dove ricominciare ma non sa dove andare, perché ovunque vada viene vista con diffidenza e non viene capita. Perciò, c’è una spiegazione dell’uccisione dei figli diversa da quella della vendetta. A questo proposito, è importante ricordare che è Euripide a introdurre il “figlicidio” nella tragedia: nelle tradizioni precedenti del mito, infatti, i figli di Medea venivano uccisi non dalla madre, ma dalle donne e dagli uomini di Corinto, ostili agli stranieri. Di conseguenza, il figlicidio di Medea viene introdotto per dimostrare come una persona che è vittima di pregiudizi e che non viene rispettata possa arrivare a compiere un gesto raccapricciante e impensabile come uccidere i propri figli e, con essi, una parte di sé.
Si dice che le donne siano definite dalla mancanza, che addirittura si realizzino attraverso di essa: una ragazza diventa donna con il primo sfaldamento dell’utero, che si ripeterà ogni mese, una donna diventa “compagna” con la perdita dell’imene, diventa madre liberando il figlio dal proprio corpo. Sembra terribile, dal momento che comunemente la mancanza è associata alla privazione, quindi al dolore, a qualcosa di profondamente negativo. In realtà, naturalmente senza prendere come esempio il terribile e tragico gesto di Medea, saper “lasciare andare” è anche molto liberatorio. Come dice un proverbio, «l’autunno ci insegna quanto sia bello lasciare andare le cose». Ed è vero: gli alberi che durante la stagione autunnale si liberano delle loro foglie multicolore ci mostrano uno degli spettacoli più incantevoli che esistano, con i colori più allegri e più riscaldanti che si possano immaginare. Niente è più liberatorio e più saggio di sapere andare avanti e di non volere trattenere possessivamente tutto. Un semplice esempio pratico è l’estrazione di un certo numero di caramelle da un sacchetto: se ne prenderà un numero maggiore con la mano aperta che non con il pugno chiuso; per ricevere bisogna aprire la mano, bisogna avere il coraggio di aprirsi e, se serve, di lasciare andare quanto non ci appartiene più. Solo così si può crescere e, paradossalmente, raggiungere la pienezza. Come ha scritto il poeta Khalil Gibran: «Si dice che prima di confluire nel mare un fiume tremi di paura. Si volta a guardare il cammino che ha percorso, dalle cime delle montagne, la lunga tortuosa strada attraverso foreste e villaggi. E davanti a sé, vede un oceano così vasto, che entrarvi sembra solo scomparire per sempre. Ma non c’è altro modo. Il fiume non può tornare indietro. Nessuno può tornare indietro. Tornare indietro è impossibile nella vita. Il fiume deve correre il rischio di entrare nell’oceano perché solo allora la paura scomparirà, perché è dove il fiume saprà che non si tratta di scomparire nell’oceano, ma di diventare l’oceano.»
Questo è quello che un mese fa è successo a Helen McCrory: ha dovuto passare attraverso la perdita per eccellenza e tutti noi ne avvertiamo la mancanza, ma non è scomparsa, è diventata l’oceano, è in noi e intorno a noi, con l’amore e il cambiamento che ha portato con la sua vita e i suoi personaggi. Come il fiume di Gibran, ci ha insegnato a non avere mai paura e, questa, è la cosa più importante nella vita di ciascuno di noi.
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