Era uno dei film più attesi di Cannes e certamente anche della stagione, considerando che Francis Ford Coppola desiderava farlo da più di vent’anni. Ha venduto parte del suo vigneto per mettere insieme i soldi per questo film; 120 milioni di dollari. E le donne?
Un cast pauroso, con nomi che hanno fatto la storia del cinema, Jon Voight, Dustin Hoffman, il protagonista Adam Driver, per citarne alcuni. Megalopolis guarda al futuro, e lo fa utilizzando l’estetica del presente: schermo diviso in tre, glitter, un gusto kitsch di cui si nutrono vari generi musicali in voga oggi.
È deludente? Sì, non è certo un film che lascia indovinare, utilizza una retorica lapalissiana. Tutto è troppo. Però ci dice tante cose e alcune di queste sono molto interessanti. La questione di cui ci preme di più parlare è il male gaze che si evince dalla trama e dai personaggi femminili, messi a confronto con un presente/futuro di colori sgargianti quali siamo soliti vedere sui social media, da Tik tok a Instagram. New York è New Rome e tutte le politiche del vecchio impero romano (parlano addirittura in latino in diverse scene del film) vengono riadattate nel paesaggio di grattacieli di ferro.
Personaggi “femminili”?
Quattro i personaggi femminili cardine, che ci portano indietro nel tempo (ma non così tanto a pensarci bene): la protagonista, figlia del sindaco, l’innocente e romantica Julie (Nathalie Emmanuel); la bionda assetata di potere, Wow Platinum (Aubrey Plaza); Vesta Sweetwater (Grace VanderWaal), la vestale, cantante, finta vergine; e la madre, Constance (Talia Shire).
Si evince un ritratto piatto del femminile. Megalopolis è Malegazeopolis. Le opzioni, dall’alba dei tempi, sono o l’essere “figlia di”, o una cattiva che usa il sesso per arrivare al potere (Wow!), o una vestale, angelica e vestita di bianco; oppure la materna voce (Costance, costante) che ci ricorda che il potere nella società lo detiene l’uomo, ma a casa la donna. Non confondiamoci, anche i personaggi maschili risultano piatti e scadono nei ruoli predisposti; ma, se anche è chiaro che il punto di vista dell’universo filmico è quello di un uomo di ottant’anni, per certi versi corrisponde perfettamente alla nostra realtà.
Vesta, che passa dal volto dell’innocenza all’essere circondata dal fuoco, ci ricorda alcune star del momento. Tutto il suo charme svanisce quando si scopre che non è una vergine minorenne; in realtà ha ventitré anni e sa divertirsi. E per quanto possa infastidire questa visione, che ci appare retrograda e datata, ne usciamo con un nuovo sguardo sul mondo circostante. È davvero così? Forse, un pò, sì. Di progressi ne abbiamo fatti certo, ma per tanti versi, siamo ancora nel mondo de Il padrino, o nell’Antica Roma. E non perché le donne non detengano il potere ma perché ci siamo abituate ad uno sguardo (maschile) che detta i canoni, i gusti, la moda, l’estetica, tanto che non ce ne rendiamo più conto.
Un vecchio sguardo sul futuro
Megalopolis guarda al futuro, cercando soluzioni diverse di vita perché la società non può più andare avanti così, ma non è certo solo il megalon (sostanza miracolosa che permetterebbe una nuova eguaglianza sociale) ad essere la risposta, quando i vecchi ruoli del maschile e del femminile sono perpetuati all’infinito. Coppola mostra il suo sguardo sbalordito davanti alla contemporaneità, ma lo tinge di vecchi schemi che non possono che apparire antiquati. Fa bene a farlo, però, perché è proprio il suo sguardo invecchiato a porci davanti ad un riflesso verosomigliante, che ci mostra quanto lavoro abbiamo da fare ancora.
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