Coco Chanel lo aveva detto: “La moda passa, lo stile resta”, riassumendo in poche, incisive parole un concetto più ampio che ci spiega come la moda sia figlia della stagione in corso, del colore che va per la maggiore e dell’umore del periodo. I cosiddetti trend non sono altro che suggestioni, spunti, idee che seguiamo a volte in maniera sciocca.

Ispirazione. Questa sconosciuta. Al di là delle sfilate e delle collezioni delle maison più importanti che impongono il trend, in quanti di voi acquistano un abito, un accessorio o un capo solo perché visto addosso questa o a quella celebrity?

Che problema c’è? direte voi. Nessun problema, l’industria della moda si nutre di trend e di marketing diretto e indiretto, come tutte le realtà commerciali. La moda ha un di più che è rappresentato dalla felice commistione tra necessità (quella di vestirsi) e bellezza (non scordiamo mai che chi crea moda è un artista a tutti gli effetti: dallo stilista al sarto). È giusto e sacrosanto divertirsi con gli abiti e a chi importa se ci si ispira a quell’attrice o quella cantante.

Ma è sempre stato così?

La risposta è sì, la moda è un organismo mai dormiente, sempre in movimento, che si evolve di continuo, anche da un giorno all’altro. Non pochi sono stati gli stilisti che hanno creato intere collezioni grazie a muse ben precise: ricordiamo Audrey Hepburn per Givency, Grace Kelly per Hermès, Madonna per Dolce&Gabbana, Jennifer Lopez per Versace e così via. E che dire delle super top model degli anni Ottanta e Novanta, vere e proprie muse di stilisti come Armani, Versace e Ferré? Tutto favoloso. Prima. Ma ora? Qual è la nota stonata? Ultimamente questo felice circolo virtuoso si è inceppato, c’è qualcosa che non va.

Se vi dico Street Style a che cosa pensate?

Lo Street Fashion (o Street Style) è in poche parole la moda che si ispira e si appropria di tendenze prese in prestito dall’abbigliamento dei ragazzi che si incontrato nelle strade delle grandi città, soprattutto statunitensi come New York e Seattle, ma anche giapponesi, come Tokyo. È una modo di vestirsi che esprime la propria personalità, non badando alle sfilate e ai brand. La maggior parte delle più importanti sottoculture giovanili sono state caratterizzate da un particolare stile di abbigliamento, ricordiamo lo stile grunge per esempio, o la moda hippy. È questa l’essenza dello Street Style.

Il fenomeno prende l’iniziale ispirazione dallo stile homeless e bohémien.

A gennaio 2010, durante la settimana milanese della moda, la stilista inglese Vivienne Westwood inaugurò la sua collezione invernale dichiarando di averla disegnata tutta come se fosse una senzatetto. Lo “stile vagabondo” è stato protagonista anche nella linea di abbigliamento RVCA – “video camera in tow”, creata nel 2009 dalla topmodel Erin Wasson (si veda a tal proposito Guido Vergani, Dizionario della moda, Baldini Castoldi Dalai, 2009).

Se non fosse la regola ormai dal 2010 non avremmo nulla da dire, sia chiaro. L’ispirazione può arrivare da tutte le parti e da tutti i mondi possibili, elemento stonato è la cristallizzazione. Dal 2010 non è cambiato nulla. Sono gli stilisti a prendere spunto dalla strada e non più il contrario. Va bene per un paio di stagioni ma dieci anni è eccessivo. Tutto il contrario di ciò che stabilisce il discorso di Miranda nel “Diavolo veste Prada” in cui la direttrice di Runway mette alla berlina la protagonista Andrea per aver messo in discussione con una risatina di sufficienza l’intero sistema moda.

Dieci anni sono decisamente troppi e l’ispirazione non è più tale, perché è diventata un sistema e un sistema non ha nulla di artistico. E ci si sente un po’ traditi dagli stilisti.