Reminiscenze ed influenze bohémiennes quanto “maledette” contraddistinguono l’opera di Armando Grosso “Brucerò tra i miei versi”.
Si possono individuare nell’opera reminiscenze e influenze bohémiennes quanto “maledette”

Reminiscenze ed influenze bohémiennes quanto “maledette” contraddistinguono l’opera di Armando Grosso “Brucerò tra i miei versi” pubblicata da Phasar Edizioni.
In “Anima mia” si legge, infatti: “Ti sento ormai insensibile agli sguardi dell’umanità/ Vorrei poterti trovare, per sentirti ancora mia/”.

Il dolore esistenziale


Vivere è doloroso, esistere è una condanna, specialmente per chi ha la sensibilità e l’intelligenza per comprendere e “sentire”. La poesia diventa allora una medicina, un rimedio, una carezza dolce tra le innumerevoli ferite perpetrate della vita.

Del resto, cosa è mai la poesia stessa in un universo malato, in un mondo tristemente allo sbando, tra l’altro, se non l’estrema essenza, l’ultimo ancoraggio dell’individuo odierno.

Ma soprattutto, la sola, forse, ancora, in grado di condurre l’uomo verso la sua salvezza interiore mediante la condivisione e, dunque, l’empatia?!

Il rapporto con la poesia


Nella prefazione alla sua raccolta il poeta stesso ammette: “il rapporto poesia-individuo è talmente forte da concludersi con l’annullamento del proprio essere, abbandonandosi al volere dei propri versi”. E, in effetti “Brucerò tra i miei versi” sembra una dichiarazione di dura guerra verso la vita. Eppure, allo stesso tempo, “Brucerò tra i miei versi” è una attestazione di puro amore e di passione folle verso la poesia con tutto ciò che ne consegue.

Echi di Baudelaire, Rimbaud, Schopenhauer e illimitate disillusioni post-moderne


Inoltre, in “Brucerò tra i miei versi” si possono avvertire in lontananza, oltre agli echi di Charles Baudelaire e di Arthur Rimbaud. Eppure è anche possibile intuire i dissidi ed i conflitti interiori insinuati dal “velo di Maya” di Arthur Schopenhauer.

Come pure, è possibile intuire le illimitate disillusioni invece, tutte post-moderne, su cui tutti gli scrittori, probabilmente nessuno escluso, hanno discusso ininterrottamente. Disillusioni a proposito di un mondo falso e ipocrita, nel quale, i fratelli combattono tra di loro. Un mondo, nel quale, lo scontro riesce persino a divenire dolce e naturale, perché, di frequente, più coerente e veritiero di una pace fittizia. È possibile leggere in “Dove vado”, in effetti: “Scorci di umanità non intravedo/ ci facciamo la guerra”.

L’intimo e accorato grido di un artista


Tuttavia, “Brucerò tra i mie versi” è, soprattutto, l’intimo e accorato grido di un artista che implora comprensione, nell’eterna dialettica “hegeliana” tra l’individuo e la società. Eterna lotta e diatriba tra due esigenze contrapposte e, talvolta, inconciliabili. Una battaglia nella quale la poesia costituisce l’unico collante e forse l’ultimo trait d’union per poter sperare di sanare le fratture multi-composte dell’anima del poeta contemporaneo.

“Brucerò tra i mie versi”: la confessione dell’autore


Nella silloge “Brucerò tra i mie versi”, concludendo, l’autore, Armando Grosso, confessa, dando così il nome all’intera omonima raccolta: “Sento il fuoco logorare la mia Essenza/ Provo a lasciar scorrere le brutture del mio mondo.”

Il canto e forse il pianto dello scrittore contemporaneo


“Brucerò tra i mie versi”, infine, altro non è che l’urlo disperato dell’uomo, poeta, artista post-moderno, il quale anela ad essere inteso. Ed esso desidera più di tutto essere raccolto e integrato nella collettività. E, malgrado, quest’ultimo inveisca contro tutto e tutti, aspira a non venire emarginato e ghettizzato come “diverso”, “strano” e, pertanto, “sbagliato” in essa.

Pertanto, “Brucerò tra i miei versi” è, allora, secondo me, un canto, forse, addirittura, un pianto, quello proveniente dallo scrittore contemporaneo. Come tale deve essere ascoltato e accolto dentro di noi. Appare fondamentale farlo perché trovi anch’esso posto e, affinché, esso non si perda e si unisca allora, ahimè, al coro delle voci e degli appelli restati, purtroppo, inascoltati.