Fashionblogger, bookblogger, influencer… ormai sono una realtà consolidata di cui né i produttori né i consumatori sembra possano fare più a meno. Ma è realmente così? Ho girato la domanda a Francesca Crescentini alias “Tegamini”, una delle influencer più conosciute e stimate – nel 2018 IlSole24Ore l’ha inserita tra le bookblogger italiane più influenti – che ha risposto a questa domanda e a molto altro, restituendomi l’immagine di un mondo che forse conosciamo ancora troppo poco.
Chi è Francesca Crescentini alias Tegamini, come nasce professionalmente.
Mi sono laureata alla Bocconi in “Economia per l’arte, la cultura e la comunicazione”, virando verso l’editoria durante la specializzazione. All’ultimo anno di università ho fatto uno stage in Einaudi e, dopo la laurea, sono stata confermata e sono rimasta a Torino per 4 anni. Per ragioni spiccatamente sentimentali mi sono poi trasferita a Milano, dove ho lavorato come copy in un’agenzia digital. Ho sempre pasticciato online, alimentando diverse finestrelle sul mondo e diari che mi servivano a raccontare quel che mi stava succedendo. Una versione del blog molto simile a quella di oggi è spuntata ormai dieci anni fa, quando mi sono spostata a Torino e, di fatto, ho avuto la percezione di essere diventata “grande”. C’era bisogno di uno spazio che rappresentasse e sapesse accogliere questo cambio di passo.
A un certo punto il mondo dei social non è stato più solo un passatempo, ma si è trasformato in qualcosa di più strutturato. Come è successo?
La passione e la voglia di raccontare è stato il primo motore che mi ha portata a esplorare questo mondo. Lo so, fa sempre un po’ ridere come affermazione e soprattutto fa pensare a un approccio non propriamente professionale… ma dieci e rotti anni fa non avevo idea (come tanti) di come si sarebbe trasformato il contesto. Appartengo alla “seconda” ondata di blogger, mi sono affacciata in un momento in cui già tanti avevano degli spazi online dove raccontavano i fatti propri e anch’io ho impostato il mio blog come un diario. All’inizio i feedback erano molto esigui, non c’erano altri canali social a sostegno del blog e non avevo la più vaga idea della potenziale esistenza di un “traguardo” futuro, ma ho continuato serena perché scrivere mi faceva felice e assecondava la mia indole. Diciamo che i vari cambiamenti che si sono susseguiti anche in ambito lavorativo mi hanno aiutata a gestire con più razionalità il blog, che poi si è trasformato in una specie di galassia perché, man mano, sono spuntate altre piattaforme social e “posti” da popolare.
In che modo i cambiamenti in ambito lavorativo hanno influito sulla tua carriera social.
In Einaudi sono arrivata per dare una mano a livello di marketing “quantitativo” e mi sono gradualmente spostata sul fronte comunicativo-editoriale. Da copy, in agenzia, ho sicuramente imparato tantissimo – e non solo a livello di scrittura e community management. Senza quell’esperienza farei molta più fatica, ora, a interpretare un brief, a raccontare un’idea e a organizzare i contenuti per i miei canali.
Quindi quando hai iniziato a tenere il tuo diario online la tua era ancora una navigazione a vista; non avevi già un’idea precisa di ciò che sarebbe potuto scaturire.
Esatto, mi sembrava di avere qualcosa da raccontare e di aver trovato un posto per farlo. Tutto quello che è capitato dopo non è stato programmato o pianificato in anticipo. Un po’ è arrivato “da solo” e un po’ è figlio di un processo di adattamento continuo.
Come influencer si hanno delle responsabilità nei confronti di chi ti segue?
Direi proprio di sì. Quando ci si rivolge a un pubblico che sta diventando piuttosto cospicuo bisogna essere responsabili e scegliere con attenzione e trasparenza i messaggi da veicolare. Internet è una grande piazza dove transitano folle enormi – il linguaggio che scegliamo di usare e i messaggi che diffondiamo hanno inevitabilmente un impatto. Dobbiamo prenderci cura dello spazio che abitiamo insieme. Anche le scelte che si fanno a livello lavorativo comportano delle responsabilità: a mio avviso è fondamentale riflettere a fondo su i progetti più disparati che ti vengono proposti dai potenziali clienti. Quel che “esce”, alla fine, è una percentuale piccolissima rispetto al calderone di stimoli che arrivano. Bisogna scegliere, necessariamente. Perché non tutte le proposte ti somigliano e non tutto è coerente con quello che racconti normalmente.
Chi sono i tuoi followers?
Se guardo le statistiche, soprattutto quelle di Instagram, dalle mie parti abbiamo un 90% di donne e un 10% di uomini. La maggior parte degli utenti è nella fascia 25/34 anni, con fette importanti anche nelle fasce d’età confinanti. Lo scambio con gli utenti è fittissimo – per fortuna. Le chiacchiere sotto ai post sono un’infinitesima parte di quel che ricevo e che cerco di gestire quotidianamente. Il dialogo è un mattoncino fondamentale nella costruzione di una community “felice”, dove non ci sono io che blatero a senso unico ma si può costruire qualcosa insieme. Può capitare che arrivino anche delle critiche – educate e ben argomentate – e di quelle si fa tesoro per il futuro. È importantissimo, ma non tanto perché l’obiettivo è quello di “piazzare” un prodotto, ma perché chi ti segue può offrire sempre un punto di vista efficace o farti intravedere un dettaglio in più. Il community management fa parte del gioco ed è anche uno degli aspetti più spassosi. Si ciarla, ci si confronta e si ride anche molto.
Come si articola la tua giornata.
Esordirei con un momento di esultanza: dopo quasi tre anni di open-space, posso finalmente lavorare da casa mia. La gioia. In generale, c’è sempre un libro da tradurre. Ci sono scadenze anche a livello social, ovviamente, quindi cerco di pianificare le settimana nel suo complesso e, nel quotidiano, punto a non farmi travolgere eccessivamente. Anche il famigerato piano editoriale non segue un andamento troppo ferreo: leggo un libro, vado in un bel posto, mi imbatto in chissà quale aggeggio potenzialmente avvincente e via, si condivide. I progetti per i clienti hanno un calendario che si stabilisce insieme, di solito, e procedono in maniera decisamente più rigorosa dal punto di vista organizzativo. Il grande problema, in questo caso, è che non c’è uno standard operativo replicabile in serie.
Quanto lavoro c’è dietro una immagine e una didascalia.
Dipende che cosa devi postare: per le Stories non mi servono grandi preamboli, si chiacchiera in vestaglia e buonanotte. Per il feed è un po’ diverso. È meno “volatile” e offre una visione d’insieme più completa su quello che combini: ci vuole una maggior cura per le immagini e, per chi come me ama utilizzare anche le didascalie, bisogna scrivere di gran lena.
I social hanno un loro linguaggio o è permesso dare libero sfogo a tutto ciò che passa per la mente nel nome della libertà di parola, pensiero e arte?
Per quanto mi riguarda, l’educazione, il buonsenso e il senso civico sono valori trasversali e dovrebbero essere presenti in ogni ambito e a ogni livello dell’interazione umana. Non importa che canali di comunicazione usiamo, il linguaggio conta e, parallelamente, conta quel che diciamo. Gli spazi virtuali non sono un porto franco dove ci si può permettere il peggio del peggio, anzi.
Ormai sono molte le aziende che si affidano per la loro campagna di promozione/comunicazione agli influencer, tanto che ora siete voi quelli che fanno vendere di più. Anche i dati AIE (Associazione Italiana Editori, ndr) riportano come anche in ambito libraio le case editrici prediligono la vostra comunicazione rispetto all’utilizzo di canali più canonici. Che cosa vuol dire questo?
Credo che le persone si aggreghino lasciandosi guidare da una passione o da uno spiccato interesse. Chi, come me, parla online di quello che ama tende a creare uno spazio che raggruppa altre persone che condividono i medesimi interessi o inclinazioni. Non solo diventa più semplice entrare in sintonia con gli utenti, ma la comunicazione può diventare più mirata e incisiva, rispetto a quella veicolata – magari – da canali più standard, che di fatto si rivolge a bacini più ampi ed eterogenei e necessita di un linguaggio più generico per risultare comprensibile a tutti. Per i libri c’è un’ulteriore osservazione da fare, penso. Molto spesso si entra in contatto con utenti che non sono abituati a cercare contenuti sulla carta stampata o sui canali “classici”, ma sono curiosi, vogliono leggere – o ricominciare a leggere – e vogliono approfondire. Ci ritroviamo di frequente a fare da ponte tra questi lettori, gli editori e i media più tradizionali. E sono molto felice che anche gli editori, specialmente negli ultimi anni, abbiano cominciato a percepirci come un canale utile.
Come si costruisce la propria credibilità social.
Non è una domanda semplice – e resta pure un po’ misteriosa. Il mio approccio è sempre stato quello della “persona normale”. Perché è quello che sono. Racconto i fatti miei nella speranza che dall’altra parte ci sia qualcuno che può trovare utile quello che consiglio o che scopro. E forse la credibilità sta proprio in quello: non tralasciare il fattore personale. Parlo spesso anche del dietro le quinte del mio lavoro: mi sembra importante che gli utenti vengano messi nelle condizioni di capire meglio che i contenuti che vedono sono il risultato di un processo fatto di creatività e impegno “pratico”, ma anche di scelte precise.
Spesso nei tuoi racconti compaiono il tuo compagno e tuo figlio. Come vivono la cosa e soprattutto non hai paura degli haters?
Anche questo è un tema delicato. Sono molto fortunata perché, per ora, non sono stata bersagliata in maniera sistematica. Commenti sopra le righe ne ho ricevuti, chiaro, ma posso davvero contarli sulle dita di una mano. Visto che ho sempre concepito i miei canali come un diario, le persone a me più care rientrano per forza di cose nel racconto. Ci siamo “regolati” col tempo e, in generale, mio figlio e mio marito non sono mai stati degli oggetti di scena da utilizzare in maniera pretestuosa.
A tuo avviso c’è ancora spazio per nuovi influencer? Che cosa devono avere rispetto alle generazioni precedenti?
Di sicuro è un lavoro che genera parecchia attrattiva, ma che spesso viene anche percepito come semplice e divertente, anche se è più complicato di quel che potrebbe sembrare. Non basta avere gli strumenti digitali giusti e avere la voglia di postare. Sarebbe utile avere qualcosa da dire, saper esporre i propri contenuti, avere un certo polso sul quel che capita, conoscere il contesto in cui ti stai muovendo, saper scegliere il linguaggio migliore per raccontare quello che vuoi raccontare e capire dove raccontarlo. Bisogna essere responsabili e nutrire del sincero rispetto per gli utenti. C’è ancora spazio, secondo me, perché i canali sono numerosi e ogni nuova piattaforma ci offrirà sempre opportunità altrettanto nuove di invenzione. Ma la spinta di base per chi inizia, credo, dovrebbe essere quella di aggiungere qualcosa di utile, bello e ricco al panorama della comunicazione digitale e non di buttarsi a capofitto in un’opportunità economica e basta. Gli utenti non sono lì solo per “darci” qualcosa, a senso unico. È un lavoro di relazione, è una strada (spesso lunga e in salita) che si percorre insieme.
Manola Mendolicchio
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