Anche la Francia come l’Irlanda e il Galles, mentre Angela Merkel parla alla Germania di un lockdown “light”. I capi di governo, spaventati per l’impennata di casi covid-19, prendono decisioni drastiche. Si chiudono attività commerciali come bar e ristoranti, si invita di nuovo alla riduzione della vita sociale in nome di quel motto oramai tristemente famoso “distanti ma uniti”. In Francia Emmanuel Macron ha annunciato che le scuole resteranno aperte, che si potrà uscire solo per necessità fondamentali (salute e lavoro) e che sono escluse le riunioni private al di fuori del proprio nucleo familiare nonchè gli spostamenti da una regione all’altra.
Insomma, si torna a barricarsi nella propria esistenza. Una decisione non facile ma, a questo punto con un’impennata così paurosa dei contagi, inevitabile. Il sistema sanitario è da salvaguardare per permettere ai medici di curare tutti e non fare come la Svizzera che potrebbe scegliere di non assistere più gli anziani, come se fossero oramai inutili per la società o un peso stesso per gli ospedali.
Ci troviamo a un passo dal baratro e, a questo punto, è diventato inutile addirittura cercare un colpevole.
Se il governo… Se i medici… Se le scuole… Se ciascuno di noi…
Troppi “se” per una situazione drammatica e storica come quella che stiamo vivendo.
La seconda ondata di coronavirus era stata predetta. Se siamo stati attenti alle pagine di storia studiate sui banchi di scuola ci ricorderemo senz’altro che le grandi epidemie, compresa anche la spagnola con la quale il covid-19 è stato messo più volte a confronto, non si sono estinte nell’arco di qualche mese ma hanno avuto una vita più longeva. L’impressione che dovremmo avere di noi è piuttosto quella di aver avuto il sentore di un quasi ritorno al punto di partenza, ma di aver ignorato ogni segnale. Per mesi ci siamo illusi che le cose fossero cambiate, ricordando quasi con commozione le canzoni cantate sui balconi e lo sventolare delle bandiere tricolori alle finestre, di quell’istinto patriottico rispolverato. Abbiamo abbassato la guardia, reputando anche i dispositivi di sicurezza come oggetti superflui.
Lo abbiamo fatto tutti perché l’illusione e la speranza sono concetti bellissimi da invocare, ma lo sono meno quando applicati alla salute di una nazione intera.
La domanda che adesso tutti ci dovremmo porre non è tanto quella “di chi è stata la colpa” ma piuttosto “cosa posso fare io nel mio piccolo”.
Questa è la battaglia di tutti. Nessuno escluso.
È la battaglia della madre che ha timore di sapere in quarantena la classe del proprio figlio. È la battaglia del ristoratore costretto ad abbassare la serranda del suo negozio alle 18. È la battaglia di chi scende in piazza per manifestare pacificamente il proprio diritto al lavoro. È la battaglia di chi prende i mezzi pubblici ogni giorno, vergognosamente affollati, e prega di non tornare a casa portando con sé il nemico invisibile.
È la battaglia di chi soccorre i malati nelle corsie di ospedale. Battaglieri in prima linea.
Non parlerò di una guerra perché mi sovvengono alla mente immagini ancora più terrificanti.
Parlerò di battaglia quotidiana che l’Italia, e i popoli delle altre nazioni, devono vincere insieme.
Non è il momento di additare qualcuno, una classe politica piuttosto che un’altra. Non è il momento di parlare di oscure cospirazioni economiche ai danni dell’intero pianeta. Questo è il momento dell’uno che agisce per tutti. È il momento che l’adulto, così come l’adolescente, prenda coscienza di una situazione al limite. Non risvegliamo dunque soltanto la rabbia o la paura, ma anche la forza di uscirne fuori definitivamente.
Stiamo attenti. Stiamo all’erta. Il virus isola le persone. Ma la volontà deve essere ferma e comune.
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