Ultimamente si sta scoprendo, o forse riscoprendo, che nella prima metà del Novecento le donne che hanno cercato di affermare la propria personalità e la propria identità, incuranti del giudizio altrui e nonostante una società cucita su misura per il genere maschile, sono state molte di più di quanto ci si potesse immaginare. E di sicuro il loro numero è destinato a crescere a riprova di come non tutte nelle diverse epoche abbiano accettato passivamente la loro condizione subalterna.
Annemarie Schwarzenbach è una di queste e forse di più.
Scrittrice, giornalista, fotografa, archeologa, nasce il 23 maggio del 1908 in una ricca famiglia di industriali svizzeri e tra tutti i fratelli lei è la figlia prediletta della madre, Renée Schwarzenbach-Wille – discendente dei Bismarck – con la quale Annemarie però avrà sempre un complicato rapporto simbiotico, che non le assicura quella libertà di movimento e d’espressione di cui la giovane sin da bambina ha sempre avuto un’urgente necessità.
Dichiaratamente omosessuale e votata quasi unicamente alla scrittura, tutto ciò diviene lampante e non più procrastinabile quando entra a far parte del circolo di Erika e Klaus Mann, gli eclettici figli di Thomas Mann, incontrati a Zurigo durante una loro conferenza stampa nel 1930, che la introducono alla dolce vita di inizio secolo dividendosi tra Berlino, Parigi, Vienna e i salotti più à la page dell’epoca, di cui i due fratelli sono gli indiscussi mattatori. Durante questi anni Anne inizia a scrivere con costanza, e non smetterà più, riuscendo così a riportare sulle pagine l’intera sua esistenza, sperando, forse, di mettere un po’ di ordine nel caos emotivo che la accompagna da sempre.
Caos emotivo che la induce a intraprendere una serie di viaggi nei luoghi più reconditi e lontani, non solo da un punto di vista geografico, sperando così di trovare un momento di pace e di stacco da tutto ciò che è prettamente riconducibile alla cara e vecchia Europa, ormai irrimediabilmente divisa tra nazisti e antinazisti di cui Annemarie sente di far parte, andando ancora una volta contro la famiglia e la madre, filonazisti da sempre – il comandante Ulrich Wille è suo zio. Il compito le è facilitato dal marito Claude Clarac, diplomatico francese, sposato nel 1935 per compiacere la signora Renée, che però non riuscirà nemmeno così a frenare la voglia di assoluta libertà della figlia.
L’Oriente, più di altre mete, pare possedere tutte le carte in regola ed è da qui che Anne decide di iniziare il suo pellegrinaggio intorno al mondo, che dovrebbe avere il suo punto più alto nel viaggio on the road che dalla Svizzera dovrebbe condurla sino alle porte di Kabul, tra deserti, luoghi inospitali, villaggi che sembrano usciti dalle storie presenti ne Le mille e una notte. Ma Annemarie non è da sola nella sua decapottabile – sì è anche una provetta e spericolata guidatrice – con lei c’è Elle Maillart, famosa fotografa e scrittrice, una donna forte, intraprendente, conscia del suo essere, di cui la giovane elvetica sembra non poter fare a meno.
Dell’avventura delle due donne abbiamo un’ampia documentazione fotografica fornitaci direttamente da Annemarie.
Le oltre settemila fotografie che documentano i diversi viaggi della Schwarzenbach negli anni tra il 1933 e il 1942, tra cui quelle inerenti il viaggio con la Maillart, sono custodite presso la Biblioteca nazionale svizzera a Berna. Le foto ritraggono momenti spensierati, in cui traspare in maniera vivida il senso di libertà e di avventura. Se ciò non bastasse gli scritti di Anne ci restituiscono pennellate letterarie di donne aperte, volubili, alla costante ricerca di loro stesse e di un posto nel mondo. A onor del vero, forse, Anne è quella che più necessita di trovare una collocazione e così un po’ di pace in quel guazzabuglio che è il suo mondo, ma anche questo viaggio sarà un buco nell’acqua, tanto che la giovane non raggiungerà mai Kabul, ma sarà costretta a tornare indietro per affrontare un altro suo demone.
Tutti questi pellegrinaggi in luoghi lontani infatti non riescono a cancellare nella giovane quel senso di vuoto, buio, scollamento dalla realtà che Anne cerca di soffocare intraprendendo anche un altro tipo di viaggio, quello nelle droghe. Eroinomane e morfinomane, Annemarie combatte contro di esse entrando e uscendo da cliniche specializzate in cui spesso si reclude volontariamente.
La vita di Annemarie è stata molto breve, e non sono stati i viaggi nei posti più inospitali, non sono state le droghe o le cure estreme a cui viene sottoposta a portarla alla morte a soli trentaquattro anni. Muore in Engadina tra le sue amate montagne nel 1942 cadendo dalla bicicletta che la sta conducendo a St. Moritz per firmare il contratto d’acquisto della casa di Sils Baselgia. Muore pedalando felice verso una nuova possibilità, muore sprezzante del pericolo, muore dandosi completamente al mondo, che forse non l’ha mai compresa sino in fondo.
There are 5 comments on this post
Comments are closed.