Viviamo in una società che va a tremila, siamo tutti stanchi, stressati, ansiosi, e correre sembra essere la parola d’ordine per riuscire a fare tutto entro quelle 24 ore che la giornata ci mette a disposizione, anche se a molti, ed in molti casi, sembrano anche poche. Questo stress continuo h24 coinvolge un po’ tutti, sin dai primi vagiti: sarà per quello che i neonati piangono? Già sanno quale sarà il proprio destino di comune mortale?

Bene, fatto questo breve preambolo che non sconvolgerà nessuno per l’ovvietà della situazione dell’uomo odierno, entriamo in un mondo dove le persone sembrano lasciare fuori tutta una serie di capacità cognitive basilari. Una specie di cupola di Springfield che taglia fuori il buon senso, la razionalità e, il più delle volte, l’educazione per regalarci situazioni e commenti paradossali, incontri ravvicinati del terzo tipo, persone probabilmente possedute da spiriti maligni che avrebbero bisogno del numero di telefono di padre Amorth.

Lo smarrimento che colpisce una lunga categoria di clienti è ancora sotto osservazione e porta ad una serie di ipotesi scientifiche che vanno dalla labirintite acuta, alla perdita di memoria temporanea o ad uno stadio precoce di Alzheimer. Clienti simpatici come un’emicrania che ti fanno sembrare una persona giusta ed equilibrata quando tu stesso stai pensando di seguire dei corsi per ritrovarti. Sono quei momenti memorabili che dovrebbero essere riportati su Instagram e tramandati ai posteri e che permetterebbero, in un futuro lontano, di ricostruire la parabola discendente dell’Homo Sapiens.

Questi irrinunciabili esempi fanno parte del bagaglio culturale di un commesso semplice che, quotidianamente, si imbatte in casi umani e quando pensa di aver completato l’album, ecco che saltano fuori le figurine speciali.

Un commesso semplice ha visto di tutto, nulla riesce a turbarlo, almeno in teoria; ciò accade quando la realtà viene inghiottita da un buco nero lasciando il posto al surreale e posso assicurarvi che avviene con una certa regolarità. Ed è qui che il commesso ritorna verso il cammino di fede che aveva abbandonato dopo la cresima affidandosi a santini vari e dai nomi impronunciabili e invocandoli in modo accorato neanche stesse facendo l’appello.

Come ho già detto e continuerò a ripetere, sarebbe davvero cosa buona e giusta creare dei gruppi anonimi di incontri nei quali questi commessi semplici possano confrontarsi e supportarsi l’un l’altro, per avviarsi verso la grande consapevolezza con conseguente rassegnazione che questo è un mestiere duro e difficile. Perché combattere con la gente non è mica uno scherzo!

Se poi parliamo di quelli che io definisco “Quo vado?” credo che l’iscrizione al gruppo dei commessi anonimi mi dovrebbe essere data gratuitamente e per sempre. Ma ecco alcuni esempi che, ribadisco, sono realmente accaduti.

Durante il periodo di Natale, il titolare del negozio prende in affitto temporaneo un locale dall’altro lato della strada per esporre i giocattoli. Sulla porta viene affisso un cartello dove, con tanto di freccia, avvisiamo la gentile clientela che per qualunque informazione può rivolgersi al negozio di fronte che, ci tengo a sottolineare, ha un cartello che sfida l’estrosità di quello del Moulin Rouge. Un giorno mi trovo a salutare la commessa che lavora in un negozio di borse adiacente a quello preso in affitto. Mi fermo un attimo per chiederle come va quando entrambe notiamo che una signora sembra interessata ai giochi. Noto che legge il cartello e poi tutta decisa entra nel negozio della collega (che è di fianco) e inizia a guardare le borse.

Collega: Signora, la posso aiutare, quelle che vede sono le borse di marca in offerta per il periodo natalizio.

Cliente: No, in realtà sto guardando il muro.

Collega: Come, scusi?

Cliente: Eh sì, sto cercando di trovare la porta per entrare nel negozio di giocattoli.

Io e la collega:

Un giorno qualunque di un mese qualunque e di anno qualunque. Una cliente mi si avvicina e mi chiede un aiuto per cercare dei capi. Subito mi attivo per aiutarla e le faccio vedere dei capi che sembrano piacerle ma, ovviamente, desidera provarli. Allora le indico il camerino che ha una tenda colorata e che riprende le copertine di Vogue. Però noto che la signora si sofferma su una serie di vestiti lunghi, appesi un po’ in alto e li scorre.

Io: Signora, vuole vedere anche qualche vestito lungo? L’altro giorno ne sono arrivati alcuni davvero particolari.

Cliente: No, grazie.

(e continua a scostare i vestiti come se cercasse qualcosa con un’espressione davvero perplessa)

Io: Signora, scusi se chiedo di nuovo: ma ha bisogno di qualcosa?

Cliente: Signorina, ma dietro queste tende non c’è il camerino!

Credo che ancora nessuno abbia creato un emoticon che possa descrivere la mia faccia tra lo sconcerto, lo stupore e l’incredulità.

Io: Signora, ehm…quelli sono i vestiti lunghi di cui le ho parlato, non sono tende. Il camerino è quello lì!

(dico indicando con il dito il suddetto camerino)

Cliente: Ah! Non lo avevo visto. Mi sembrava strano che fosse qua visto che c’è il muro!

Io:

(perché non c’è niente che io avrei potuto dire per dare un senso a quella situazione!)