Nawal al Sadawi, seconda di nove figli, nacque il 27 ottobre del 1931 a Kafr Tahla, un villaggio nel cuore del Delta del Nilo, a Nord del Cairo. Suo padre era un uomo pacato ma molto severo. Sua madre era una sognatrice con il desiderio mai espresso per la musica, essendosi sposata molto giovane.
Purtroppo Nawal al Sadawi, per via di imposizioni dovute a una mentalità chiusa, prima dell’arrivo del ciclo mestruale, subì l’infibulazione, fatto che la portò, una volta adulta, a parlarne nei suoi scritti, in particolare nel romanzo Firdaus, con protagonista una giovane donna che subì questa mutilazione.
Nawal al Sadawi avverrò il suo sogno di diventare scrittrice nonostante gli scontri con il padre e la famiglia di lui che per lei desideravano solo un matrimonio precoce.
Non sua madre, però: i suoi occhi, seppur preoccupati, brillavano così fieri di quella che in verità non era una ribellione, ma il diritto di una donna a decidere per se stessa.
«Quando mi ribellavo nei loro occhi si manifestava l’odio. Negli occhi di tutti ma non in quelli di mia madre: i suoi mentre mi osservava combattere le mie battaglie, luccicavano di orgoglio e felicità. Di tanto in tanto mi lanciava un’occhiata di complicità e mi sussurrava all’orecchio parole d’incoraggiamento» affermò Nawal.
Con non poche difficoltà, si trasferì al Cairo per frequentare la scuola media e in un secondo tempo ad Helwan per frequentare la scuola superiore. Qui alloggiò in un convitto e fondò, colma di entusiasmo e personalità, il Teatro della Libertà impegnandosi anche in giuste lotte politiche. Si affermò come scrittrice e nel 1955 si laureò con il massimo dei voti all’Università di Medicina di Giza, in psichiatria.
Fu così che continuò il suo aiuto concreto nei confronti di tutte quelle donne che non avevano la possibilità di scegliere per loro stesse, toccando argomenti tabù per la società arabo-islamica; quali sessualità femminile, prostituzione, aborto, abusi all’infanzia, e mutilazioni fisiche.
Sempre fiduciosa, si sposò due volte, entrambi i matrimoni furono però fallimentari.
Scrisse diversi libri, tutti sottoposti a censura e, accusata di non rispettare i valori tradizionali e d’incitare le donne a ribellarsi contro la Legge e la religione, nel 1981 fu arrestata e incarcerata per crimini contro lo stato. Venne rilasciata qualche mese dopo, alla morte del Presidente della Repubblica dell’Egitto.
Tutte queste difficili esperienze, però, la resero ancora più forte e determinata: fondò la The Arab Womenn’s Solidarity Assocation, la prima organizzazione legale femminista e del tutto indipendente, che però la portò a essere perseguitata e a essere nuovamente incarcerata e poi esiliata in Olanda nel 1992.
Nel 1993 si trasferì insieme al suo terzo marito Sherif Hetata, medico e scrittore che curò la traduzione in inglese dall’arabo dei suoi libri, nel North Carolina.
Negli anni a seguire continuò le sue difficili ed estenuanti battaglie, fino a che nel 2008, in Egitto, furono approvate leggi che portarono alle donne egiziane il diritto di registrare i figli nati fuori dal matrimonio con il proprio cognome e a considerare l’infibulazione un reato perseguibile e punibile con il carcere.
È morta a 89 anni pochi giorni fa, il 21 marzo, al Cairo, in Egitto, lasciando per sempre un’impronta importante per i diritti delle donne che, seppur in molti luoghi ancora non sono considerati come tali, sapere che c’è chi, anche se in una piccola parte del mondo, è riuscito a cambiare le cose, e che questi cambiamenti necessari potrebbero accadere ancora, ovunque e per sempre.
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