Corta, lunga, midi, a pieghe, palloncino, svasata, nell’immaginario collettivo di tutti è un capo prettamente femminile. Ma è sempre stato così?

Nella società contemporanea però stiamo assistendo a cambiamenti epocali.

Una parte di essa sta cercando di annullare e rivedere i ruoli preconfezionati imposti da culture millenarie. In cui i maschi e le femmine viaggiano su binari paralleli per educazione, cultura e moda.

Sì, perché anche il modo di vestire influisce sul proprio modo di essere e di essere percepiti dagli altri.

L’abito fa il monaco sempre, e la gonna più di ogni altro capo oggi potrebbe fare la differenza.

Secoli di storia della moda in cui troviamo abiti femminili di ogni tessuto e foggia potrebbero non aiutare nell’intento di sdoganare la gonna a capo d’abbigliamento anche maschile.

Ma se vi sono secoli di storia di abbigliamento femminile ce ne sono quasi altrettanti di storia di abbigliamenti unisex.

Già, gli uomini non sono nati con i pantaloni.

Sin dalla preistoria, per questioni pratiche, uomini e donne hanno indossato scampoli di pelli e stoffe fissati al corpo per mezzo di cintole o spille.

Le prime testimonianze di gonne vere e proprie risalgono al periodo mesopotamico, 5000 anni fa circa. Le kaunakès erano a balze realizzate in pelle di ovino, e anche in questo caso erano indossate da ambo i sessi.

Gli uomini egizi si fanno più sfrontati.

Per essere ancora più liberi nei movimenti, anche sui campi di battaglia, si avvolgono un panno, pano, di lino intorno alla vita. Esso li copriva solo sino poco sopra il ginocchio.

La gonna midi fa il suo ingresso nella storia.

Nei secoli successivi le cose non cambiano.

Sia i greci sia i romani adottano lunghe vesti singole o a più strati  ̶ chitoni, pepli, tuniche  ̶ a seconda dell’importanza del personaggio, nella vita civile.

La tunica militaris – che copriva i soldati sino a metà coscia – era invece l’unico indumento in uso tra le forze militari.

I soldati andavano molto fieri del loro abbigliamento succinto, esso stava a indicare la loro posizione nella società civile, una posizione di forza, potenza e virilità.

La parola gonna, a quell’epoca, non era ancora stata mutuata.

La troviamo solo a partire dal tardo impero romano e sta a indicare una cappa aperta senza maniche con cappuccio che gli uomini indossavano come capo di protezione.

La gunna, in origine “pelliccia”, è un termine gallico, e in effetti le gunne erano usuali tra i galli già nel V secolo a.C. che le utilizzavano come mantelli nei rigidi inverni del Nord.

La “gonna/cappa” dal Medioevo in poi subisce diverse variazioni, sino a divenire un vero e proprio abito, indossato da laici e monaci, maschi e femmine.

Con il Rinascimento l’abbigliamento maschile e quello femminile prendono due strade diverse.

Forse a questo periodo dobbiamo imputare la causa che porterà il genere maschile a pensare che le gonne siano solo per “femminucce” e a dimenticare tutta la loro storia pregressa.

Il pantalone, che aveva già fatto la sua comparsa nel guardaroba maschile, perché più comodo e pratico per cavalcare, soppianta le tuniche.

L’abito rimane una prerogativa tutta femminile per i successivi cinque secoli.

Questo cambio di rotta nella moda è anche un ulteriore giro di vite nel modo di concepire i ruoli sociali di uomini e donne. 

L’uomo sarà sempre più arroccato nella parte del dominatore incontrastato e assoluto sia fuori che dentro le mura domestiche. Non concepirà più una moda fatta di tuniche o addirittura gonnellini.

Il ruolo femminile sarà sempre più quello di moglie e madre devota e sottomessa: gli abiti, le gonne lunghe, ingombranti e poco pratiche lo sottolineeranno.

Si deve arrivare al Ventesimo secolo per trovare quella spinta all’emancipazione e alla presa di coscienza di sé e del proprio corpo.

Questo porterà molte donne a volersi spogliare, letteralmente, di tutti quegli orpelli che le avevano rese sino a quel momento più dei bei manichini che persone in carne e ossa.

I vestiti perdono volumi e lunghezze, le strutture si fanno più snelle, morbide e più pratiche da indossare.

Le più audaci non disdegnano anche un passaggio diretto al pantalone, per dare vita a una femminilità più androgina e all’avanguardia con i tempi.

Con gli anni Sessanta si raggiunge l’apice di questa nuova voglia di affermazione di sé.

Il capo di abbigliamento in questione era già stato presente nel guardaroba degli uomini guerrieri che tanto ci tenevano a possederla: la minigonna.

Di fatto ora è solo uno scampolo di stoffa che copre a malapena la zona lombare delle ragazze che la indossano. Ma qui sta la vera rivoluzione.

La minigonna diviene il simbolo della donna che vuole essere padrona e artefice della propria vita in piena autonomia e del tutto svincolata dal volere e potere maschile.

Il Ventunesimo secolo sta vedendo un’ulteriore evoluzione.

Non solo le donne continuano la loro battaglia per una emancipazione completa, anche gli uomini iniziano a comprendere che la libertà di esprimersi e di essere sé stessi passa anche da ciò che indossano.

Prima della donna fu l’uomo a indossare la gonna.

Perché non seguire una storia che ci ha dimostrato come un semplice lembo di stoffa avvolto intorno alla vita possa significare libertà e forza di espressione del proprio io?