Presentato all’ultima edizione del Festival di Cannes e vincitore del Premio della Giuria, il film EO, diretto dal regista polacco Jerzy Skolimowski, non è un semplice rifacimento del capolavoro di Bresson, Au Hasard Balthazar. Il film narra la commovente storia di un asino in cerca del suo posto nel mondo, affrontando uno dei temi oggi sempre più complessi: il rapporto tra l’uomo e la natura.

Un’insolita avventura

Luci rosse, allarmanti quanto eccitanti, ci introducono in quell’universo che scopriremo presto essere la visione soggettiva di un asino dal nome Eo. È amato e rispettato solo da una giovane ragazza, Kasandra (interpretata da una commovente Sandra Drzymalska), con la quale si esibisce al circo, topos cinematografico per eccellenza, che in questo contesto gode di un simbolismo ricco e pensato. Quando i circensi vengono accusati di torturare gli animali, Eo non può più restare. Viene portato via. L’avventura di questo insolito protagonista ha inizio qui ma non si tratta di un semplice viaggio dell’eroe; Eo non ha una casa dove tornare, per quanto nel circo abbia trovato una creatura che lo sappia amare. La natura è forse dimora più appropriata, ma di quale natura si può parlare oggi?

Tanto contaminata dall’umano che l’animale non la riconosce più, la natura diventa più crudele che mai, più rossa che mai, come ci appare nelle riprese aeree fatte con droni che hanno un effetto spettacolare quanto inquietante.

La natura crudele

Da uno spiraglio nel furgone, l’asinello Eo guarda i cavalli al galoppo per i campi. Li osserva come farebbe un condannato a morte, un’umanità le cui corde ricordano un testo che già conteneva in germe l’idea di questo soggetto cinematografico, L’idiota di Dostoevskij. L’amore non ha limiti, neanche geografici, e Kasandra ritrova Eo per portargli un muffin di carote, il suo preferito. Quando è costretta a lasciarlo, Eo riesce a scappare. Tuffandosi nella natura contaminata e alienante, tornerà in città dove verrà catturato di nuovo, per essere liberato da un gruppo di calciatori e tifosi ubriachi, al contempo gentili e rozzi, di buon cuore ma sprovveduti. Più che liberarlo, lo sfrutteranno come mascotte della squadra, ornato di sciarpa blu e messo al centro della scena.

L’istinto salva Eo. Riesce a scappare poco prima che gli altri vengano pestati da un clan armato di mazze da baseball. Ma Eo non è più un semplice asino. È la mascotte: la sciarpa blu è la sua condanna. Dopo una serie di peripezie, a salvarlo è un giovane italiano. Si è giocato la casa a carte; ha un rapporto amoroso, incestuoso, con sua zia, sua madre, la sua matrigna (?), non si sa chi sia questa donna. Vestita elegantemente, un tocco di Barocco: una splendida Isabelle Huppert.

La natura contaminata

Skolimowski ci porta in un mondo spaventoso e violento, ma ci mostra anche l’amore. È proprio questa contaminazione tra le cose l’anello del film. L’amore tra Kasandra e Eo ci appare tanto sincero, tanto puro che non può essere diverso da quello che provano due esseri umani. La natura è stata devastata, i mulini a vento elettrici uccidono gli uccelli, gli animali sono tenuti in gabbia. Anche l’essere umano è animale e di conseguenza i rapporti si confondono, non godono più di quel tabù tanto universale. Il rapporto ambiguamente incestuoso del film ci delinea questo stato snaturato delle cose. Una mancanza di confini, dove a perdere, in primis, siamo proprio noi esseri umani.