Rinomati per la loro incensurata violenza e tagliante bellezza, i film coreani stanno conquistando tutti gli schermi, che si tratti del cinema o delle piattaforme. Diretto da Byun Sung-hyun, prodotto da Netflix e presentato nella sezione Special alla 73° edizione della Berlinale, Kill Boksoon non è né un semplice Chambara (filone di film di combattimento tra samurai, generalmente giapponesi), né un banale action movie a ritmo di sangue e pallottole.
Il titolo è già una citazione importante. Rievocando Kill Bill (già esso un film omaggio a questo genere particolare), Black Mamba (il personaggio interpretato da Uma Thurman nel classico tarantiniano) funge, metacinematograficamente, da madrina di questa storia. Tematiche femminili importanti in un universo maschile. La brutalità e gli scontri sono solo un pretesto, dietro gli spari si nasconde ciò che è a tutti gli effetti uno spaccato del rapporto madre-figlia.
Madri e figlie: un rapporto complesso
“È facile uccidere ma essere madre, invece…” dice Gil (anche chiamata Kill) Boksoon. Ha cominciato presto questo mestiere e lo ha fatto quando si è resa conto che non era necessario essere completamente malvagi per essere assassini. La realtà si trova in quella zona grigia, tra il bene e il male, un po’ come i personaggi che incontriamo nei film noir. E, d’altronde, sono presenti elementi che rimandano a questo genere: la storia ha inizio sull’asfalto bagnato, un esterno notte dove alle tipiche ombre si sostituiscono giochi di luce, inquadrature dall’alto e dal basso, riflessi nell’acqua su cui cadono le gocce del sangue versato.
Gil deve sbrigarsi ad uccidere, il supermercato chiuderà presto e deve fare la spesa prima di tornare a casa. Un senso dell’umorismo pungente ma, proprio per questo, irresistibile; amplificato dalle dinamiche con la figlia adolescente, Jae-young, assolutamente ignara della professione della madre. Studentessa di un liceo privato, la giovane è alla scoperta del suo orientamento sessuale. Si innamora di una sua compagna di classe; si confidano, si baciano ma l’omosessualità non è accettata in questo contesto. Quando un ammiratore di Jae-young vede le due ragazze in effusioni romantiche, decide di ricattarla con degli scatti che non lasciano spazio a fraintendimenti. Buon sangue non mente però, e Jae-young non accetta il ricatto. Con un paio di forbici accoltella il ragazzino. Gil Boksoon si ritrova a dover rimproverare la figlia per questo gesto sconsiderato, ignara delle minacce e dell’innamoramento della figlia. L’una lo specchio dell’altra, tra dubbi e paure dovranno confrontarsi per arrivare a capirsi.
Uno sguardo diverso sul femminile
I personaggi maschili sono altrettanto importanti, forse proprio per sottolineare l’universo femminile che va delineandosi tra i paradossi dei sentimenti e della violenza. Kill Boksoon finirà nei guai quando si rifiuterà di uccidere un giovane ragazzo; il mandante dell’omicidio non è altri che il padre, in corsa per diventare primo ministro. L’assassina più temibile del continente asiatico ha un lato materno, un femminile che cerca, con fatica, di farsi ascoltare dagli interessi maschili. Elegantemente architettato, un’ellissi congiunge l’inizio e la fine: se nella prima immagine vediamo un volto femminile tatuato sulla schiena della prima vittima, l’ultima immagine è un primo piano di Kill: da un aggraziato disegno di fantasia a una realtà a tutto tondo, la donna ha trovato il suo spazio anche in un genere che si pensava fosse confinato al maschile. Dal 31 marzo su Netflix.
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