La regina Carlotta, ultima serie tv nata in casa Shondaland, trasmessa da Netflix, è in cima a tutte le classifiche di ascolto.
La serie racconta la storia della regina Carlotta d’Inghilterra (1744-1818).
In modo romanzato narra la vita e il matrimonio della moglie di Giorgio III del Regno Unito (1738-1820), soprannominato “il re pazzo”.
Carlotta, proveniente da un piccolo ducato tedesco, aveva diciassette anni quando sposò Giorgio III, allora ventiduenne.
La storia reale racconta che durante il suo regno, Carlotta si batté per i diritti della comunità nera e per l’abolizione della schiavitù. Per questo fu molto amata.
La serie tratta dall’omonimo romanzo, scritto a quattro mani da Julia Quinn, autrice della serie Bridgerton e Shonda Rimes, verte sul matrimonio tra Giorgio e Carlotta e sulla loro vita privata e pubblica, dedicando ampio spazio ai disturbi psichici del re.
Pare che la regina Carlotta, inoltre, sia stata forse la prima regina britannica con la pelle scura.
Secondo de Valdes y Cocom, storico indipendente esperto della diaspora africana, nel dipinto del pittore scozzese Allan Ramsay, del 1762, che ritrae la regina Carlotta vestita per l’incoronazione, i tratti del volto di Carlotta ne rifletterebbero le origini africane.
Generalmente i pittori dell’epoca tendevano a cancellare i lineamenti che non rispondessero all’ideale europeo di bellezza, mentre pare che Ramsay ritraeva i propri soggetti con una certa fedeltà, questo supporterebbe la teoria della prima regina nera d’Inghilterra.
Ma torniamo alla fortunata serie Netflix.
Patinata come Bridgerton, carica di allure come le due stagioni della serie da cui è stata preceduta, non risponde sicuramente alla stessa idea di leggerezza e spensieratezza delle precedenti stagioni.
La regina Carlotta è da considerarsi una sorta di spin-off, indipendente dal genere frizzante e delicatamente spensierato di Bridgerton.
Alcuni dei personaggi, Carlotta compresa, sono presenti in tutte e tre le stagioni Bridgerton, ma l’approccio alla storia è totalmente differente.
Il ritmo è molto più lento. I temi trattati sono decisamente più crudi e dolorosi.
Dei dieci episodi, avrei tranquillamente fatto a meno del terzo, perché a mio parere non aggiunge nulla all’economia della narrazione e assolutamente del quarto che riassume in modo abbastanza superfluo i primi tre episodi.
La storia in sé è bella, toccante e altamente introspettiva.
Mi ha colpito molto la figura di questa giovane ragazza prima e donna poi, sempre molto forte, ferma nelle sue decisioni, capace di guadagnarsi il rispetto di una corte inizialmente restia e l’amore di suo marito. Giorgio, affetto da gravi disturbi psichici della personalità, era spesso soggetto a violente crisi e gravi fobie che divennero sempre più invalidanti nel corso degli anni.
Carlotta, rifacendoci a quello che viene raccontato nella serie tv, si oppone ai barbari e insani trattamenti “fisici” e psicologici, simili a torture, ai quali era sottoposto Giorgio. Regalandogli una vita sicuramente più serena e ben quindici figli.
La colonna sonora, come già in Bridgerton, composta da pezzi moderni arrangiati in versione classica, è molto piacevole da ascoltare, i costumi, davvero splendidi, restituiscono l’allure delle prime stagioni.
L’ultimo episodio mi ha lasciato un peso sul cuore e sullo stomaco, che non mi sarei mai aspettata.
Ho impiegato alcuni giorni per non sentire più il senso di angoscia che La Regina Carlotta mi ha trasmesso.
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