Piera Ventre, napoletana di origine ma livornese di adozione, è autrice di diversi romanzi, tra cui si menzionano “Palazzokimbo” (2016), “L’allegra brigata” (2020), “Sette opere di misericordia” e, infine, “Le stanze del tempo” (2021), pubblicati da Neri Pozza. L’ intervista.
Le origini
Piera Ventre, autrice di diversi e conosciuti libri, è nata a Napoli e oggigiorno vive e lavora a Livorno dal 1987. Si è laureata in Logopedia presso l’Università degli studi di Pisa, in seguito, si è poi specializzata come Assistente alla comunicazione.
Oggigiorno Piera Ventre è Socia ordinaria e Consigliera dell’Associazione di promozione sociale “Comunico” e coopera con diverse scuole di Livorno. L’autrice napoletana ha scritto vari testi brevi pubblicati in raccolte antologiche e siti letterari.
Le pubblicazioni
Nel 2011 la raccolta di racconti “Alisei” di Piera Ventre uscita per Edizioni Erasmoè stata segnalata dalla giuria al “Premio Renato Fucini”.
“Palazzokimbo” pubblicato dalla casa editrice Neri Pozza nel 2016 è stato finalista alla seconda edizione del “Premio Neri Pozza” e ha vinto il “Premio Pavoncella”.
Nel 2020 esce “L’allegra brigata” che raccoglie svariati racconti in cui sette autrici e tre autori si narrano.
“Sette opere di misericordia” pubblicato ancora dall’editore Neri Pozza nell’anno 2020 è stato selezionato per il “Premio Strega 2020” e si è aggiudicato il “Premio Procida – Isola di Arturo – Elsa Morante”.
Infine, “Le stanze del tempo” uscito per Neri Pozza nel 2021 si è classificato come finalista al “Premio I Fiori Blu”, al “Premio Settembrini” e al “Premio Letterario Chianti”. Io ho scelto di intervistare la nota scrittrice per “Pink Magazine Italia”.
La professione del linguaggio e della comunicazione
Salve Piera, leggo nella sua biografia che lei è laureata in Logopedia all’Università di Pisa e che oggi collabora come assistente alla comunicazione presso le scuole di Livorno, leggo, inoltre che è anche socia ordinaria e consigliera dell’associazione “Comunico”. Come ritiene si coniughino e si abbinino questa sua abilità e specializzazione di supporto alla comunicazione e quella di scrittrice?
«Non credo ci siano collegamenti evidenti, in realtà. Ho sempre cercato di mantenere una distinzione netta tra la mia attività di logopedista e quella di scrittrice. Il punto di congiunzione, ma solo ideale e teorico, è che in entrambi i ruoli mi occupo di linguaggio e comunicazione. Sono due impegni che non hanno altri punti in comune».
La predilezione per i racconti corali
Perché predilige i racconti corali?
«Prediligo le narrazioni che vengono definite “corali” poiché ne sono innanzitutto attratta come lettrice. Amo i punti di vista multipli, magari sugli stessi avvenimenti. Mi interrogo da tempo sul concetto di “realtà” e sono convinta che ciò che definiamo, appunto, “realtà” altro non sia che un concerto soggettivo di sensazioni e vissuti. La medesima storia può essere raccontata in modo differente da ciascun personaggio che la vive e quando scrivo tento di mettere in scena “lo scarto”. Immagini un vaso di fiori su un tavolo rettangolare e quattro persone sedute a un lato diverso. Nessuna di loro guarderà lo stesso fiore benché abbiano davanti lo stesso oggetto. Si semplifica dicendo “è un vaso di fiori”, eppure a me piace sedere a ogni lato del tavolo quando scrivo».
Il rapporto con il romanzo di formazione
Lei è stata anche definita da alcuni esperti in materia come colei che avrebbe donato “nuova linfa al romanzo di formazione”. Cosa pensa lei di questa affermazione? È d’accordo?
«È un’affermazione lusinghiera, senza dubbio. Tuttavia, sono convinta che un buon romanzo, quando lo è, è sempre un romanzo di formazione».
Napoli nelle sue opere
Napoli è molto presente all’interno delle sue opere, quale importanza riveste esattamente la città di Napoli all’interno delle sue narrazioni?
«Napoli è presente soprattutto nei primi due romanzi ed è personaggio a sua volta. Le storie che ho raccontato in “Palazzokimbo” e in “Sette opere di misericordia” non potevano che svolgersi a Napoli per una serie di scelte legate alla trama e agli intrecci. È sempre difficile maneggiare il materiale incandescente che sprigiona da quella città. Il luogo comune è dietro l’angolo e ho tentato, in entrambi i casi, di non cadervi, di non cedere. Ed è anche rischioso: spesso, il lettore, si aspetta dai romanzi “napoletani” una certa oleografia, la quale se non rispettata può dare l’impressione di un tradimento».
Il premio più importante
Lei ha ricevuto molti premi come scrittrice, quale è quello che l’ha resa più orgogliosa?
«Sono molto orgogliosa di aver vinto il “Premio Elsa Morante Isola d’Arturo” nel 2020. Un premio intitolato a colei che reputo una delle nostre più grandi scrittrici del Novecento».
Sogni e speranza
Chi si augura che possa leggere la sua ultima opera, sempre pubblicata da Neri Pozza, “Gli spettri della sera”?
«Che domanda buffa… Uno scrittore vorrebbe che tutti leggessero i suoi libri, e tutti i suoi libri. Poi si sa che ciò non avviene, e l’unica risposta onesta che mi sento di darle è che vorrei che lo leggesse chi sta cercando proprio quella storia e non un’altra. Lo dico da lettrice: ci vuole alchimia anche nell’incontrare il libro giusto al momento giusto».
Ci riveli un suo sogno come donna e un suo sogno come scrittrice …
«I miei sogni, sia come donna che come scrittrice, sono sogni piccoli ma molto, molto segreti perché ho imparato che, quelli, al contrario di altre storie, è meglio non raccontarli mai».
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