Un film che è nato quando il mondo si è interrotto, durante la pandemia. Natalie Portman invia la sceneggiatura di May December a Todd Haynes nel 2020. Il regista se ne innamora e il progetto inizia a prendere vita, su zoom, dati i tempi che correvano. Girato in 23 giorni e presentato quest’anno al Festival di Cannes in concorso ufficiale, May December porta sullo schermo due grandi attrici e le mette a confronto, in un gioco delle parti che sa disturbare e affascinare al contempo.
L’attrice Elizabeth Berry (Natalie Portman) sta studiando il ruolo che dovrà interpretare. A quella maschera può dare un volto vero e proprio, così come una figura, una casa, delle relazioni: la donna, Gracie (Julianne Moore), protagonista della storia sceneggiata, esiste davvero, è ancora viva e acconsente a rispondere a domande e chiarire dubbi sulla sua vita. Per il bene del cinema, per un’onestà che l’arte richiede ma soprattutto per sé stessa.
“Sé stessa” – ma, cioè, chi? Gracie ha un passato ingombrante, nel quale è rimasta intrappolata. Il suo sé è frutto di una società che non l’ha rispettata e le sue scelte la condannano ad essere ricordata come uno sbaglio. Scatenando un umorismo che fa riflettere sulla risata, May December pone domande scomode mettendo al centro i costrutti sociali, accordi taciti e invisibili.
Gracie si ritrova a dover accompagnare un’altra sul sentiero ombroso che ha percorso vent’anni prima, quando si è innamorata e ha dato inizio ad una relazione con un ragazzino di 13 anni. Quel ragazzino è oggi suo marito, Joe (Charles Melton), e non sarà il solo personaggio ad avere una vera e propria crisi d’identità. (May December, letteralmente “maggio dicembre”, è un modo di dire inglese che significa proprio una relazione tra due persone che hanno una sostanziale differenza d’età.)
Una revisione del passato regala nuovi punti di vista e nuovi “ruoli” ai quali aggrapparsi: Joe si sente ora vittima della sua amata. Torna adolescente per sopperire al “tempo rubato” mentre Elizabeth si sovrappone sempre di più a Grace, a ritmo di un’ambiguità che regala suspense. Lo spirito ingenuo di Gracie, assolutamente distaccata dalla realtà, vince sull’avidità “adulta”, cieca, di Elizabeth, che tanto vive il gioco dell’attore da sottrarsi ad un’umanità che non sa più come interpretare.
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