Si è conclusa l’ottantesima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Come ogni anno, si tratta di un vero e proprio tour de force sia per i giornalisti, sia per gli accreditati che assistono a tutta la rassegna: file immense (già dalle 7 di mattina) per i traghetti che dalla Serenissima portano al lido; il botteghino online per riservare posti apre invece ogni tre giorni alle 6:30 con un sovraffollamento che causa spesso errori nel sistema… Ci si ritrova insomma come nel film di George A. Romero, Dawn of the Dead: il lido si popola di zombie – con la sola differenza che non siamo grigiastri ma tutti più o meno abbronzati, data la stagione.
Ma veniamo ai film, che certo sono il motore di tutta questa amabile psicosi collettiva.
I Leoni
23 lungometraggi in concorso, di cui sei italiani. Il Leone d’Oro è andato a Poor Things di Yorgos Lanthimos, sancendo il successo unanime che aveva riscosso già tra il pubblico dopo le tre proiezioni alla Mostra. La protagonista è Emma Stone, una delle attrici più amate del momento. Stone aveva già lavorato con il regista greco ne La favorita, altra opera che aveva incantato critici e giurie internazionali, con dieci candidature agli Oscar e una statuetta ad Olivia Colman.
Il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria è andato all’autore giapponese Ryusuke Hamaguchi che ha rotto le barriere nel 2021 facendosi conoscere con il suo Drive My Car. Nel suo film vincitore, Evil Does Not Exist, Hamaguchi osa di più. Indagando il rapporto che c’è, nel suo paese, tra la società rurale e quella cittadina, sparge elementi di suspense in modo quasi impercettibile ma che vi terranno inchiodati allo schermo fino alla fine.
Il Leone d’Argento – Premio per la Miglior Regia l’ha vinto Matteo Garrone con il suo Io Capitano. L’interprete protagonista, Seydou Sarr, ha vinto il Premio Marcello Mastroianni come miglior esordiente. Il viaggio dei migranti visto in tutta la sua crudeltà, da Dakhar in Senegal fino alla Sicilia. Commuove e emoziona ma ci si chiede (o, insomma, dovremmo chiederci) che senso ha, da un punto di vista italiano (essendo sia il regista sia la produzione italiani), non parlare delle responsabilità del nostro paese nelle dinamiche di questo traffico disumano.
Il Premio Speciale della Giuria è andato ad Agneszka Holland. La regista polacca tratta con maestria la situazione dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussia ne The Green Border.
Gli Attori
Peter Sarsgaard vince la Coppa Volpi per la sua interpretazione maschile in Memory, regia di Michel Franco. Un film che non lascia indifferenti e riesce a trattare con delicatezza due situazioni infernali che, nell’amore, ritrovano la primavera della vita. Jessica Chastain, coprotagonista, è altrettanto notevole nei panni di una mamma single che combatte ancora gli incubi di un’infanzia che le è stata rubata.
Cailee Spaeny, protagonista del film di Sofia Coppola, Priscilla, ha conquistato la Coppa Volpi alla miglior interpretazione femminile. Priscilla Presley è la moglie di uno degli uomini che ha fatto la storia della musica, Elvis Presley. Seguiamo le dinamiche di questo rapporto “tossico”. Lei non ha diritti, il suo compito è essere presente per lo sposo, rassicurarlo e fare ciò che lui richiede. Un ritratto doloroso che si rifiuta di trattare il vissuto di questa donna aldilà del matrimonio, cristallizzando il ritratto di Priscilla all’insegna della vita di coppia, a dir poco problematica.
Ci sentiamo in dovere di parlare di tre film che non hanno vinto alcun premio. Tre film talmente diversi tra loro che è quasi sconvolgente pensare che facessero parte della stessa competizione nella stessa annata ma che sono, ognuno a suo modo, fortemente emblematici delle tematiche trattate nel corso della Mostra.
Origin
Partiamo da un film che segna la storia della Mostra. Si tratta di Origin, diretto da Ava Duvernay – la prima regista afroamericana a partecipare in concorso per il Leone d’Oro. Una sensazione che lei stessa ha definito “bittersweet”, considerando quante altre registe afroamericane, assolutamente meritevoli di far parte della manifestazione non siano mai state invitate. La sua opera rompe gli schemi, ispirandosi ad uno dei saggi più importanti degli ultimi anni, Caste: The Origins of Our Discontents, scritto dalla vincitrice del Premio Pulitzer, Isabel Wilkerson. (E qui dobbiamo precisare: è stato tradotto in più lingue ma non in italiano.) Un punto di vista che indaga la situazione di sfrenato razzismo contemporaneo negli Stati Uniti trovando una connessione tra la Germania nazista e l’India, fino ad argomentare che l’odio instillato non trova radici nel razzismo ma nell’idea di “casta”, usata per soggiogare una parte della popolazione. Potente e affascinante, il suo film non ha entusiasmato la critica, ma per chi scrive resta una delle opere più dirompenti della Mostra.
Kobieta Z…
Altro film polacco, Kobieta Z… (Woman Of…) gode di un estetismo affascinante. Andrzej si sente sbagliato, vorrebbe indossare abiti femminili, truccarsi e mettersi lo smalto. Nella Polonia comunista degli anni ’80 non trova spazio per questa sua “doppia” identità. Andrzej (Małgorzata Hajewska-Krzysztofik), dovrà aspettare anni prima di poter uscire allo scoperto e dedicarsi alla sua persona, cercando risposte scientifiche per spiegarsi cosa lo rende “diverso”, finché il tempo non gli mostrerà che non è solo. Uno dei film che con più cura descrive il mondo transgender, le difficoltà e i rifiuti da parte della società, ma anche un’ode all’amore che non si ferma davanti a questi ostacoli e vede oltre. Nel cast troviamo anche l’attrice Joanna Kulig, che ha guadagnato notorietà internazionale nel 2018 con Cold War. La regia a quattro mani è firmata da Małgorzata Szumowska e Michał Englert.
La Bête
La Bête, di Bertrand Bonello è la storia di un amore che compie un viaggio nel tempo, assimilando i diversi modi di amare delle epoche messe in scena. Léa Seydoux interpreta una pianista, poi una modella, poi un’attrice. Al suo fianco troviamo George MacKay, un attore formidabile che riesce a dare le giuste sfumature di fascino e ambiguità al suo personaggio. Dalla Parigi inondata alla Los Angeles contemporanea, l’amore non vissuto diventa incubo e tormento ma anche sogno e promessa, fino alle inevitabili conseguenze dei non-detti. Il rifiuto si trasforma in crimine e non sappiamo più come orientarci in una realtà distorta dalla tecnologia. Gli schermi si confondono fino a prendere il posto degli specchi in un mise en abyme che entusiasma e spaventa: riflesso della nostra contemporaneità.
Come sempre, l’attenzione maggiore va al Concorso ufficiale ma Venezia ha ospitato anche altre sezioni: Orizzonti, Giornate Degli Autori e Classici, che si divide in Restauri e Documentari. Una galoppata per il cinema contemporaneo e storico che ci permette di capire meglio la realtà nella quale viviamo e le nostre radici, non solo cinefile ma concrete, fattuali… perché, d’altronde, a cosa si ispira il cinema?
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