Ogni volta che riprendo in mano il libro Cuore (1886) di Edmondo De Amicis mi stupisco di come possa essere stato considerato una lettura adeguata e istruttiva per gli allievi delle scuole elementari. A parte ogni considerazione sulle tirate guerrafondaie che esaltano l’esercito e il sangue versato per la patria, nel libro Cuore sono presenti con grande abbondanza descrizioni orripilanti, narrazioni agghiaccianti e anche un certo compiacimento nell’insistere su particolari macabri.

Già in data 21 ottobre, scrive il protagonista Enrico sul suo diario: “L’anno è cominciato con una disgrazia”. Si tratta del valoroso scolaro Robetti che, per salvare da un investimento un compagno più piccolo, è finito con un piede sotto una ruota dell’omnibus. Ma questo è niente rispetto alle ammonizioni che il padre rivolge a Enrico nella successiva giornata del 2 novembre, quando lo esorta così: “Sai quanti uomini si piantarono un coltello nel cuore per la disperazione di vedere i propri ragazzi nella miseria, e quante donne s’annegarono o moriron di dolore o impazzirono per aver perduto un bambino? Pensa a tutti quei morti”.

È lo stesso padre buontempone, si fa per dire, che all’apparire della prima neve, quando Enrico ne gioisce e gioca con gli amici, gli ricorda torvo: “Ci sono centinaia di scuole quasi sepolte fra la neve, nude e tetre come spelonche, dove i ragazzi soffocano dal fumo o battono i denti dal freddo, guardando con terrore i fiocchi bianchi che scendono senza fine. […] Voi festeggiate l’inverno, ragazzi. Pensate alle migliaia di creature a cui l’inverno porta la miseria e la morte”.

C’è poi il vecchio moribondo nel racconto mensile L’infermiere di tata, la cui agonia è descritta minuziosamente: “Il suo viso diventava color violaceo, il suo respiro ingrossava, gli cresceva l’agitazione, gli sfuggivan dalla bocca delle grida inarticolate, l’enfiagione si faceva mostruosa”. Per non parlare poi del passo sui bambini rachitici o di quello, addirittura grottesco, in cui il padre – ancora lui – ricorda a Enrico i suoi doveri morali verso i più deboli con una barocca elencazione di vecchi cadenti, accattoni, storpi, ciechi, rachitici, muti, orfani, famiglie in lutto, prigionieri incatenati, lettighe d’ospedale e funerali: come ha osservato il critico Tamburini, sembra che il quartiere dove vive Enrico a Torino sia un lazzaretto o una corte dei miracoli.

Ma l’apoteosi dell’orrido si raggiunge con il racconto mensile Sangue romagnolo: ricordo ancora il viso atterrito dei miei compagni delle elementari mentre la maestra ce lo leggeva ad alta voce. Il gesto eroico del piccolo Ferruccio, che fa scudo con il suo corpo per proteggere dal colpo mortale di un assassino l’amata nonna, ricevendo lui la fatale pugnalata, sarà probabilmente rimasto negli incubi di parecchie generazioni di scolari.

Senza condividere gli eccessi di Arbasino, che ha ravvisato nel libro Cuore una tendenza pedofila e sadica che raggiunge il suo acme solo con la morte (possibilmente violenta) di un bambino, non si può tuttavia trascurare la presenza di numerosi aspetti orrorifici nella narrazione del De Amicis. Il libro Cuore è ancora oggi una lettura per molti versi interessante, ma come Vangelo delle scuole elementari ci appare quanto meno inappropriato.

Arthur Lombardozzi